«Ghost in the Machine»

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Qual è la differenza tra anima e vita? Quando si parla di esseri viventi, sin da Aristotele, si dice che hanno un’anima, pur se con gradi o funzioni diversi. Ma perché, allora, dire che ci sono diversi gradi o funzioni dell’anima e piuttosto non utilizzare direttamente il termine vita? La vita delle piante è caratterizzata dall’anima vegetativa: perché non dire più semplicemente ‘vita vegetativa’? Abbiamo due termini che sembrano interscambiabili; con un bel colpo di rasoio potremmo eliminarne uno.

Cosa aggiunge l’anima alla vita? Nulla: l’anima è la vita. Che un corpo è animato, significa che è vivo. La nota definizione aristotelica secondo cui l’anima è la forma di un corpo che ha la vita in potenza sembra complicare il problema. Ma cosa significa che un corpo ha la vita in potenza? Non si potrebbe dire di un corpo vivo che ha la morte in potenza? E qual è la forma di un corpo che ha la morte in potenza? Perché diciamo che l’anima è la forma di un corpo che ha la vita in potenza, ma non abbiamo un nome per la forma di un corpo che ha la morte in potenza? Di fatto, noi vediamo che alcuni corpi sono o vivi o morti. Ma ci sono corpi che non sono né vivi, né morti: un sasso è vivo o morto? Un sasso non ha vita in potenza, né morte in potenza. A ben vedere, però, non esistono corpi che hanno la vita in potenza: un corpo morto non può tornare alla vita. Alcuni corpi o sono vivi in atto o sono morti. La potenza può sempre passare all’atto; ma non esiste nessun modo per cui un corpo possa passare dalla non vita alla vita. Un corpo non può essere vivo in potenza. Chi ha mai visto qualcuno o qualcosa vivo in potenza? Non ci sono corpi vivi in potenza: o sono vivi, o sono morti, o privi di vita e morte (inerti, potremmo dire). Non essendoci un corpo che ha la vita in potenza, l’anima intesa aristotelicamente viene a mancare, non può essere forma di un bel niente. Un corpo vivo ha la vita: questa è una bella tautologia, ma non se ne può dire di più, perché altrimenti moltiplicheremmo gli enti senza necessità. L’unica cosa che possiamo dire è che la vita è la forma di un corpo vivo in atto che (se proprio vogliamo aggiungere qualcosa) ha la morte in potenza. E la morte è la forma di un corpo morto in atto.

Le Canard digérateur
“Le Canard digérateur” (l’anatra digeritrice) di Jacques de Vaucanson (1739)

Non esistono adamitiche costruzioni di argilla, golem che con il magico soffio o con un emet scritto in fronte acquistino vita. Tuttavia, se proprio non se ne può fare a meno, si può concedere che esista un corpo che ha la vita in potenza: è il corpo meccanico. Un automa ha la vita in potenza. Qui, però, già si odono le critiche e le opposizioni, perché quella meccanica – si dice – non è una vera vita. Un essere vivente nasce, si sviluppa, si riproduce e muore. Ora, questa definizione è vaga, imprecisa. Per esempio, non si può dire esattamente che certi organismi unicellulari muoiano e nemmeno che si sviluppino. La riproduzione crea un individuo esattamente identico al genitore, quindi non si dà sviluppo in senso stretto; quando uno di questi organismi muore, è il genitore o il figlio a morire? Sembra che lo stesso individuo si perpetui nel tempo, senza conoscere morte. Eppure diciamo che sono vivi. Riguardo ai modi di riproduzione, poi, in natura ne esistono talmente tanti e talmente diversi che è difficile trovare un filo che li tenga legati. L’unica cosa che si può dire è che a partire da almeno un individuo se ne genera un altro, non necessariamente dello stesso genere, né della stessa specie (si pensi a certi tipi di innesto, in agricoltura).

Se noi consideriamo un automa, possiamo dire che viene generato; che se ha l’energia necessaria si muove, interagisce con l’ambiente, avverte gli stimoli esterni; che può avere incredibili capacità di calcolo; che può anche riprodursi, ossia creare altri automi (se adeguatamente programmato); che può rompersi definitivamente, ossia morire. L’automa ha la vita, è vivo. Certo, è una vita per molti aspetti differente dalla nostra; ma in fin dei conti non è molto più simile a noi di quanto lo sia un organismo unicellulare? Se riprendiamo la distinzione aristotelica (anima o vita vegetativa, sensitiva, razionale), la vita meccanica, per certi aspetti, si potrebbe collocare tra quella vegetativa e sensitiva (in quanto a differenza delle piante può muoversi e percepire gli stimoli esterni; ma per quel che ne sappiamo non può avere la ‘sensibilità’ degli animali, non può provare vero e proprio dolore, né piacere); per altri aspetti, per esempio per l’impressionante capacità di calcolo, può essere collocata tra vita sensitiva e razionale.

Nessuno si stupisca di queste considerazioni. Le definizioni, i raggruppamenti, le delimitazioni siamo noi a crearli. Se creiamo determinati parametri per definire un essere vivente, non ci dobbiamo stupire se entro questi parametri viene compreso qualcosa che non ci aspettavamo. Abbiamo stabilito (noi e solo noi) la definizione di essere vivente; o la cambiamo o dobbiamo accogliere tra i viventi anche gli automi e rassegnarci a convivere con una vita meccanica.

6 responses to “«Ghost in the Machine»

  1. Non ci sarebbe generazione/corruzione di sostanze viventi se la nozione di ciò che ha vita in potenza fosse assurda. Ma la generazione/corruzione delle sostanze viventi (e non viventi) è sotto gli occhi di (quasi) tutti. La generazione di una sostanza vivente nel tempo t (lasciamo da parte il problema della individuazione di t) comporta l’esistenza di un sostrato non vivente secondo la forma sostanziale sopraggiungente (dunque vivo in potenza) nel tempo t-1 che accoglie quella sostanza.

    ps. Per Aristotele “anima” e “vita” non sono affatto sinonimi. La vita è ciò che si predica dell’anima, secondo la (quasi) definizione che nell’Organon (Categorie) viene fornita per ciò che è “detto-di” in generale.

  2. La mia critica s’appunta proprio su questo: che per Aristotele anima e vita non sono sinonimi.
    E come dico nell’articolo, mostratemi un corpo che ha la vita in potenza, mostratemi un sostrato non vivente a cui si aggiunge l’anima e acquista la vita.

  3. Il genere si dà se e solo se si dà la specie, e la specie si dà se e solo se si dà ciò che Aristotele chiama sostanza prima. Non esiste il felino in generale, ma il gatto, anzi QUESTO gatto, la cui individualità è da ultimo indefinibile. Analogamente, poiché la vita è ciò che è immanente alle sostanze viventi, non esisterà nessun vivente che sia tale in generale. L’essere vivente è sempre di una specie, e da ultimo di una sostanza prima. Chiarito questo, nella generazione di una sostanza vivente, poniamo il minollo, il sostrato riceve la vita e i generi tutti dalla sostanza (seconda) MINOLLO. Poiché, per ipotesi, c’è un tempo in cui il sostrato non è informato secondo la sostanza MINOLLO (altrimenti non avrebbe senso parlare di generazione di sostanze, e tutti i minolli sarebbero eterni, o qualcosa di simile, contro l’esperienza, che invece ci dice che i minolli nascono, crescono, si riproducono e muoiono), esso [il sostrato] è anche privo dei generi, e quindi anche della vita, benché possa avere vita, come altre proprietà essenziali, secondo altre forme sostanziali; queste ultime, però, poiché ogni ente non può essere più di una sostanza, devono perire (ciò che propriamente perisce è il sinolo) per lasciare posto, per così dire, ad altre sostanze. Nota che il problema moderno dell’origine della vita sarebbe totalmente svuotato di senso sotto l’ipotesi della impossibilità del passaggio in generale da ciò che è non-vivente a ciò che è vivente.

  4. Mi corre l’obbligo di segnalare, a proposito della mia affermazione che il genere si dà se e solo se si dà la specie, alcuni scritti di Aristotele.
    In questi giorni ho dato un’occhiata alle sue opere biologiche, in particolare La riproduzione degli animali. Se sei interessato alla questione dell’anima nella filosofia di Aristotele questo scritto è una miniera. Qui il filosofo scrive: «Non si diventa simultaneamente animale e uomo, né animale e cavallo, e così per tutti gli altri animali» (libro II); «In un primo tempo sembra che tutti siffatti esseri [i semi e i prodotti del concepimento] vivano la vita delle piante. Ma in seguito è chiaro che si deve parlare anche dell’anima percettiva e di quella intellettiva. Essi devono possedere tutte queste anime prima in potenza che in atto» (loc. cit.).

    Dunque, sembrerebbe che Aristotele ammetta, nei processi generativi delle sostanze viventi, la possibilità che i generi siano dati senza la specie («Non si diventa simultaneamente animale e uomo, né animale e cavallo»). Tuttavia, a me sembra improbabile che Aristotele pensasse ad una animalità generica. Secondo me è più probabile che l’immanenza del genere nella specie non abbia un significato univoco. In ogni caso, l’affermazione che il genere si dà se e solo se si dà la specie non va considerata come non bisognosa di integrazioni.

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