Quale secolarismo oltre l’Occidente?

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Se dovessimo considerare la sociologia strictu sensu, nei suoi più recenti sviluppi, probabilmente questo breve articolo non avalla affatto nessuna proposta sociologica. Tuttavia, la sua caratteristica è di avere un approccio diversificato e integrato all’argomento, poiché questo è ciò che la complessità dell’era moderna richiede.
Le tradizioni locali e la diversità dei paesi non europei, infatti, si scontrarono con l’espansione dell’Occidente in tutti i suoi stadi (guerre di religione, esplorazioni e colonialismo, globalizzazione), tanto che è difficile parlare di tali argomenti in maniera tradizionale. Una scienza riceve nuovi input dal confronto con le altre: il processo del sapere, per proseguire, ha bisogno di contaminazione senza confusione.

Definire la secolarizzazione implica sempre definire la religione:

Abbiamo bisogno di una sostanziale, esclusiva e reale definizione della religione, che in linea di base potrebbe essere: un sistema unificato di credenze e pratiche relative ad una sovra-empirica realtà trascendente codificata da un’autorità religiosa che unisce tutti coloro che vi aderiscono in una sola comunità morale. Di conseguenza, arriviamo alla seguente definizione di secolarizzazione: un processo, grazie al quale i vecchi sistemi religiosi globali e trascendenti sono confinati nelle moderne società funzionalmente differenziate in sottosistemi accanto ad altri sottosistemi, perdendo in questo processo le loro pretese globali su tali sottosistemi1.

Iniziando da questa citazione di Dobbeleare, si è in grado di comprendere quanto l’una definizione implichi l’altra. Ma ci si può ritenere soddisfatti? Ci sono presupposti validi da cui cominciare una larga e puntuale analisi della nostra modernità? La risposta è no, dal momento che l’autore sembra discutere solo della cultura occidentale, prendendo la religione in maniera trascendente e sovra-empirica (quindi, assolutamente separata dalla realtà terrena), costituita da pratiche rituali e regole morali osservate dai suoi membri, e stabiliti da una leadership religiosa centrale. L’Occidente non è l’intero nostro mondo.
Bisognerebbe mettersi in cerca di un dispositivo teoretico più forte, evitando il “pregiudizio dell’Occidente”. Intendo farlo sia tenendo in considerazione nuovi fenomeni (come le spiritualità senza-chiesa2 o “appartenenti non-credenti” e “credenti non-appartenenti”3) sia applicando il metodo della “ridescrizione”4, il quale permette di non rigettare il discorso di Dobbeleare. Questo metodo richiede alcune nuove strategie (come il già menzionato non rigettare precedenti concezioni, il loro depotenziamento – o, per usare un’espressione di Derrida, “decostruzione” – e lo spostamento del baricentro in un altro punto), che permettono di dare nuovi significati alle parole.
Adesso si può formulare il problema: come si possono fornire alla secolarizzazione nuovi significati che la rendano meglio adattabile per capire la nostra realtà complessa e multilivello? Poiché la società contemporanea non è afferrabile in un solo (potremmo ora dire obsoleto) modo; più semplicemente: lo si può fare?
Grazie alla metodologia esposta, si può trattare la dicotomia religione/secolarizzazione come non mutualmente esclusiva, a partire dal primo termine della coppia. In questa accezione, il contributo di Casanova mi sembra ragionevole: «Dovremmo pensare al processo di secolarizzazione, ai cambiamenti e alle riprese di religiosità, e ai processi di sacralizzazione come a processi globali costituentisi reciprocamente, piuttosto che a sviluppi mutualmente escludentisi»5. Circa la religione, invece, si può riconsiderare la prospettiva epistemica attraverso cui guardarla. Per eludere il “pregiudizio dell’Occidente” di molti studiosi, propongo la seguente definizione: la religione è un sistema definito, e non del tutto stabilito, di credenze, valori e pratiche, costruito su alcune inappellabili verità fondanti chiamate dogmi. Per i suoi credenti si tratta del modo in cui la realtà è, e di conseguenza del modo in cui leggerla e verso cui essa è orientata.
Basando la mia proposta su un’assiologia generale, piuttosto che sulla “religione in se stessa”, o su precedenti posizioni storiche di pensiero o su più vecchie metafisiche ecc. che infine condurrebbero a una visione “naturale” dell’oggetto, sono stati coperti tutti gli ambiti: cognitivo (credenze), etica e morale (valori), rituale (pratico), escatologia, teleologia e il sacro (dogmi e strutture della realtà). Così, pensando la religione in quanto ambito puramente culturale, possiamo trattare ogni concezione religiosa. Ciò significa pure rispondere ai quattro famosi interrogativi kantiani: cosa posso conoscere? cosa devo fare? cosa posso sperare? cos’è l’uomo? In una parola: Weltanschauung. Si potrebbe obiettare che in tale visione, in pratica, ciascun gruppo di credenze potrebbe essere una religione — anche ateismo, veganesimo, estropianesimo e molte altre nuove pratiche (spirituali o meno). Ebbene, sarò d’accordo col mio detrattore. Ogni credenza vuole un atto di fede. Anzi, il mio scopo non è affatto quello di entrare in dissertazioni teologiche, ritengo piuttosto che da quest’ultimo punto si possa avviare il discorso sulla secolarizzazione.
Storicamente, la secolarizzazione è radicata nel Medioevo europeo. Il sæculum, in quanto tempo profano delle laiche vicende umane, era contrapposto alla realtà vera, trascendente ed eterna della rivelazione cristiana. Il processo di secolarizzazione, come continua lotta tra temporale-spirituale o Imperatore-Papa, ebbe la sua svolta con la Riforma Protestante, che costrinse la Chiesa di Roma ad appellarsi “cattolica” al fine di porre delle distinzioni nella cristianità. Dietro questa denominazione stava la Controriforma6.
Con la laicizzazione le porte della modernità furono aperte. Casanova sottolinea come la secolarizzazione-laicizzazione fosse il processo di differenziazione dei poteri verso un nuovo equilibrio, in cui la Chiesa romana stava perdendo la propria totale egemonia sulla vita pubblica quotidiana.
Sebbene si entri nell’età moderna, la secolarizzazione rimane pur sempre un evento storicamente circoscritto. Se dovessimo considerarla come una categoria sociale teoretica, alcune questioni risulterebbero dalla storia stessa: il diffondersi della cultura europea, con colonizzazione (conquista fisica) prima e globalizzazione (conquista virtuale) poi, stabilì un nuovo (dis)ordine. Dall’irrompere dell’età contemporanea, non possiamo più semplicemente parlare di secolarizzazione sul piano della storicità; si deve rivendicare un suo uso epistemico.
D’accordo con Weber, si può trovare il perno della nostra era nel “disincanto” [Entzauberung]7. Si tratta del processo globale per via del quale l’uomo assume un progressivo distacco dal mondo. Progressivo, perché il distanziamento andò dai comportamenti (l’attitudine pragmatica a manipolare gli oggetti, originata con l’avvento della scienza moderna nel suo profondo legame con la tecnica) alla conoscenza (il relativismo contemporaneo, dove i significati divengono prodotto umano): «Il processo del disincantamento comporta un cambio di sensibilità: ci si apre a cose differenti, però si è persa una via importante in cui gli uomini erano soliti conoscere il mondo»8.
Cosa significa “magico” [Zauber]? Magico era il mondo in cui gli essere umani vivevano in simbiosi con la natura e tutti gli accadimenti erano simboli, rimandi a qualcosa “al di là”. Ecco il motivo per cui i significati vivevano nelle cose stesse. In questo iato, irrimediabile caduta dalla primitiva innocenza, il Romanticismo prese il suo posto – come tutte le più o meno recenti rinascite della Natura – contro il Positivismo, la dogmatizzazione totale della scienza moderna, da considerare propriamente un’altra religione.
Ora, come si può fornire una definizione della secolarizzazione che si accordi con la visione liberalizzata della religione sopra esposta e che funzioni non solo per l’Occidente? Metodo e prospettiva saranno i medesimi.
La secolarizzazione è il passaggio, originatosi con la tensione medievale tra temporale e spirituale, dal precedente sistema culturale [Weltanschauung] del mondo magico [Zauber] a quello disincantato [Entzauber], con le rispettive dinamiche e forme di spiritualità9 (certo, con i dovuti distinguo circa le differenze negli eventi storici, nella politica e nella sfera pubblica di ogni paese). È un processo binario dove non vi è alcuna assoluta predominanza di una categoria sull’altra fino alla scomparsa di una di esse.
Almeno due conseguenze sorgono qui: in primo luogo, in questa prospettiva globale si può meglio (e più onestamente) analizzare il caso dei paesi orientali10; e, in secondo luogo, si può affermare che non viviamo in un’era del tutto secolare.
Queste conclusioni sono ben riassunte da Roland Barthes quando in un’intervista afferma:

Le società avanzate attuali hanno un consumo enorme di immagini e un consumo minimo di credenze. Nelle società islamiche avviene il contrario. Così, le società liberali sono meno fanatiche, ma meno autentiche. Sono dominate da un immaginario generalizzato quale non è mai esistito al mondo… Persino la Chiesa cattolica: l’immaginario è intatto, la credenza…11

Come si può notare, grazie anche all’esempio dell’Islam, la manifestazione religiosa è tuttora presente nel mondo — nelle società europee post-comuniste adottata come stendardo di identità e unione, altrove come affare di stato e imprescindibile referente della sfera pubblica, nelle parole di Barthes humus di autenticità. La religione oggi, nella società dell’immediatezza, costituisce un ineludibile piano di confronto tra sistemi culturali diversi.

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