Dialogo tra un mistico e un ateo

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MONACO: Ascolta, la questione è una sola: o l’uomo si autoredime oppure ha bisogno di salvezza e non può darsela da se stesso. Lapalissiano.

NICHILISTA: Ti concedo la narrazione mistica dell’indigenza umana. La condizione umana esprime il nostro inestricabile rapporto con il Nulla. Niente più.

MONACO: E io ti concedo l’elaborazione poetica della nostra inopia. Io pratico da decenni l’ascesi e lo sciamanesimo. Lo svuotamento del nostro io non è il richiamo del Nulla ma serve a far posto al Divino.

NICHILISTA: È sorprendente questa perpetua fluttuazione della Divinità che al contempo sarebbe all’origine di tutte le cose e tutte le vuole penetrare. Una sorta di onnivora onnipotenza.

MONACO: I grandi saggi dicono che non si diventa altro che ciò che si è. Alla stessa stregua, non si può che possedere ciò che si ha già.

NICHILISTA: Vacci piano. Il Nulla ha la medesima vocazione. L’essere di tutte le cose non è altro che la falsa coscienza di sfuggire al vuoto e all’annientamento alle quali sono votate.

MONACO: La nostra alterità rispetto a Dio è la cifra del nostro disagio esistenziale. L’armonia integrale può nascere solo con il superamento di questo secolo.

NICHILISTA: Io non vedo alcun disagio. La falsa coscienza di cui parlavo è solo un istinto primordiale di sfuggire ad un destino segnato. L’esistenza è un mistero, un arbitrario sottrarsi temporale all’eterno Nulla.

MONACO: Parli di Mistero. Sei sul mio territorio. Ti dirò di più, se le religioni, che a nulla servono se non a dare una rappresentazione per quanto claudicante di ciò che sta Lassù, hanno qualcosa di interessante lo devono ai Misteri di cui sono portatrici. E l’esistenza è, a buon diritto, uno di questi.

NICHILISTA: Senti senti. Orbene non l’eternità, la predestinazione divina, non la grazia ma adesso convieni che l’esistenza è mistero.

MONACO: Alla stessa stregua del tuo Nulla – che debordando consente alle cose di essere –, Dio, essere perfettissimo, non dimentichiamolo, crea il tempo e tutto ciò che esiste fuori di Lui per pura gratuità.

NICHILISTA: La stessa gratuità di chi tira un calcio ad un pallone in preda alla noia. Il tuo Dio si sarà sentito irrimediabilmente solo.

MONACO: Tutt’altro. È la sua pienezza che trabocca, l’amore infinito che vuole arrivare ovunque e crea per inondare ogni cosa del suo benefico afflato.

NICHILISTA: Poi qualcosa è andato storto, il processo si è inceppato.

MONACO: È la temporalità che costringe alla gradazione, nell’ottica divina tutto è compiuto dall’eternità e tutto è bene, tutto è penetrato.

NICHILISTA: Io vedo solo un’eterna dissipazione, una perenne entropia, un vuoto abissale che ci avvolgerà e che non impaurisce perché, quello sì, sarà compimento, un dolce naufragio, per dirla coi poeti.

MONACO: Siamo dunque una passione inutile? Una mente sadica e perversa poteva concepire tutto ciò.

NICHILISTA: Anche l’accettazione di un destino ineluttabile può essere fonte di armonia. Non sarà piuttosto sadico il tuo Dio che immola la sofferenza sull’altare della redenzione universale e getta finanche il pianto di un bambino nel crogiolo della futura beatitudine?

MONACO: Non ti consola sapere che tutto ha un senso, ascritto su un piano escatologico?

NICHILISTA: No, per niente, vorrei che gli afflitti fossero consolati in questo eone.

MONACO: A che la consolazione se tutto va in putrefazione comunque?

NICHILISTA: Siamo esistenze ed esistenti in questo tempo, fatto di memoria e consolazione.

MONACO: Sono concetti altissimi: memoria e consolazione. L’irruenza di Dio nella storia, questa è la grande consolazione e la liturgia ne è perenne memoria.

NICHILISTA: Ma il tuo uomo-Dio non doveva consolare gli afflitti? Dare ai miti la terra? Tutte promesse incompiute.

MONACO: Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? Ricordi queste parole terribili che Dio rivolge a Giobbe, uomo giusto, che tentava di penetrare nella mente di Dio?

NICHILISTA: Se i giusti sono redarguiti gli insolenti non potranno neanche immaginare di porre domande allora. Eppure sia giusti che insolenti subiscono le conseguenze delle loro esistenze che non hanno chiesto. E io sfido divinità o demoni a dimostrare che non siamo vittime di un’oziosa vacuità preferibile alla terribile necessità che incombe sul destino umano lambito dalla provvidenza divina.

MONACO: La mia fede riposa in Dio a dispetto di una realtà che non comprendo. Se mi fosse richiesto di rinunciare alla ragione, all’evidenza dei sensi in nome della Verità o addirittura di rinunciare alla Verità per stare con Dio, lo farei senza esitazioni di sorta.

NICHILISTA: Ecco il manifesto perfetto del fanatico.

MONACO: Il mondo e ogni cosa vivono indipendentemente dalle nostre artificiose interpretazioni. Il nostro peccato più grande è quello di voler com-prendere tutto, appropriarcene. Questo è attributo divino. Non ci resta che annullare la nostra volontà nel Tutto, in esso troviamo riparo. E io questo tutto lo chiamo Dio.

NICHILISTA: C’è una vocazione congenita in tutto ciò che esiste all’annichilimento. Qualcuno ha scritto che financo Dio sente un irresistibile richiamo verso l’assoluto Nulla.

MONACO: Paradossale. L’eternità è un continuo inizio, tu evochi un troncamento fatale. Tutto inutile, dunque, i nostri sforzi e le nostre speranze?

NICHILISTA: Ti sbagli. Le cose sono ancora più preziose quando sono effimere.

MONACO: Sono certo che sei in errore. Ci vediamo dall’altra parte.

NICHILISTA: A sbagliare sei tu. Non ci vedremo ma ti chiedo di non abdicare ai tuoi doveri anche stando solo in maniera transeunte da questa parte.

MONACO: Sei un gran briccone, non c’è che dire.

NICHILISTA: Tu un giocatore che mette sul piatto beni indisponibili perché illusori.

7 responses to “Dialogo tra un mistico e un ateo

  1. Dialogo interessante.
    Tuttavia, il monaco qui tratteggiato non è un mistico. Essendo la mistica tutt’altra cosa rispetto a quanto il monaco dice.

    1. Temo BobMax che lei non abbia mai letto di Meister Eckhart piuttosto che Charles de Bovelles, o Angelo Silesio

      1. Il monaco, se fosse autentico mistico, non contrapporrebbe Dio al Nulla del nichilista. Andrebbe invece incontro al nichilismo, perché è proprio attraverso il Nulla che occorre andare.

        Per il monaco Dio è ancora un ente, seppur perfettissimo.
        Non è questa la strada mistica.

        “Prego Dio che mi liberi da Dio”
        “Chi crede non è ancora figlio di Dio”
        Questi sono alcuni esempi tratti da Meister Eckhart. Dio si fonde nel Nulla.
        Cosa resta tuttavia, rispetto al nichilismo?

        Che questo Nulla è Bene!
        Dio = Bene questa è l’unica indispensabile teologia per la mistica. Ogni altra affermazione, qualificazione, è solo superstizione.

        A riguardo, trovo particolarmente interessante “Lo specchio delle anime semplici” di Margherita Porete.

        I distici di Silesius sono illuminanti, ma non possono essere utilizzati in un confronto con un nichilista.
        Occorre invece provare ad accedere con lui, seguendo il suo pensiero, all’ateismo mistico. E lì, sperimentare il naufragio, la situazione-limite (ben descritta da Karl Jaspers).

        1. Mi sembra una lettura troppo intrisa di schematismi e categorie precostituite. Per i grandi mistici il Nulla non è una ipostasi, sia pur negativa, che si confonde con Dio ma semmai è un elemento maieutico, ma pur sempre “mezzo” per arrivare fino a Dio. L’occhio che guarda il sole non può che chiudersi e non può fissarlo; la naturalità della creatura di fronte al Creatore produce questa annichilimento che si rigenera nella luce dell’immensità. Chi non crede può continuare a pensare che si tratti comunque di un abbaglio. Il nichilista che si an-nulla (che entra nel Nulla dunque) può vedere parimenti questo processo come virtuoso; il senso del cupio dissolvi in fondo è proprio questo. Quindi le categorie di Bene o Male dipendono molto dalle latitudini.

          La dialettica Nulla-Dio forse trova la massima espressione mistica in un filosofo (sembra un paradosso). Parlo di Mailänder il quale riteneva il Nulla principio originario da cui lo stesso Dio fu attratto al punto da…suicidarsi. Il mondo non è altro che la cadaverizzazione di Dio. Siamo all’apogeo del nichilismo e del misticismo.

          1. Sì, il Nulla può essere anche inteso come mezzo per giungere a Dio.
            Tuttavia, nel nostro esserci, ciò che non c’è è nulla. Di modo che Nulla è il termine che meglio si confà.
            Anche perché evoca il limite di ciò che c’è, oltre il quale traspare il nulla.
            Intenderlo come mezzo, può depotenziarne la valenza. Nel nostro esserci mondano, Dio è effettivamente Nulla.
            Ed è proprio questo Nulla che il mistico deve accettare.

            Perché è la scissione originaria soggetto-oggetto che deve essere ricomposta. E ciò può avvenire solo tramite me stesso, rinunciando a me stesso!
            In questo senso, i concetti di Bene e di Male non dipendono dalle latitudini, perché dipendono esclusivamente da me, qui e ora.
            Di modo che, non è più una questione di credere o non credere, bensì di essere.

            Cioè posso essere Dio o non esserlo.

            Non vi è altra libertà. Quello che chiamiamo libero arbitrio è un’illusione: tutto quello che avviene, capita per necessità o, a darlo per possibile, al caso, niente perciò a che vedere con la libertà.

            Rinunciando a me stesso posso essere Dio, e allora sono libertà.
            Se non rinuncio, propriamente non sono, non sono libero.

            Non conosco Mailänder, ma da quanto mi dice ritengo che abbia trascurato la scissione originaria soggetto-oggetto.
            Ciò che è, non può esserci.

            Dio non c’è, in quanto… è.

            (La mistica esprime a mio avviso il culmine della speculazione filosofica, peraltro presente seppur in altra forma, in tutti i grandi filosofi sia orientali sia occidentali)

          2. Mi scusi questo mio sintetico modo di esprimere concetti solitamente non ovvi.
            Che possono però risultare condivisibili una volta riconosciuta l’inesistenza di ogni oggettività in sé, e di come il soggetto tragga il suo stesso esserci proprio da tale oggettività.

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