Ogni rivoluzione è vana

Tratto da Gwynplaine, Camerano (An) 2012, pagg. 122-123
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Poiché il lavoro propriamente detto non è mai un’attività che si spiega pel solo gusto di spiegarla, così richiede sempre che la volontà vi sia determinata mediante una qualche coazione – sia essa la sferza, la fucilazione, la minaccia di morir di fame, la voglia d’arricchire, ecc. – e quindi richiede che la volontà sia non libera, ma in istato di schiavitù.

Giuseppe RensiPoiché il lavoro avrà sempre questo carattere, poiché a determinarvi la volontà umana sarà sempre necessaria una qualche coazione, poichè il fatto essenziale è, non già la forma di coazione che si usi, ma quello della coazione al lavoro per sè, quello cioè che il lavoro nella maggior parte dei casi è un’attività che non si esercita pel solo gusto di esercitarla, e che pure si deve lo stesso esercitare – così ogni rivoluzione al riguardo è perfettamente vana. Essa cambia l’accessorio, cioè le forme della coazione. Non riesce nemmeno a scalfire il fatto principale, quello in cui la schiavitù consiste, che cioè bisogna lavorare piaccia o non piaccia, che bisogna piegare il libero spirito ad un lavoro che è sempre coatto semplicemente perché non è l’attività che si spiega pel solo gusto di spiegarla e che trova nell’atto dello spiegarsi la sua piena soddisfazione. Che m’importa che io sia oggi coatto al lavoro perchè, in regime di salariato, se non ho voglia di lavorare il «padrone» mi licenzia, o che domani, in regime comunista, io sia del pari coatto al lavoro, perché, sebbene padrone anch’io, coi miei tremila compagni, dell’officina, se un giorno non ho voglia di lavorare, la «commissione interna» non mi liquida la mia percentuale giornaliera? Che differenza? Nell’uno e nell’altro caso lavoro per la pressione che esercita sulla mia volontà quel fatto esterno alla sfera della mia attuale attività di lavoro, che è il bisogno o il desiderio di guadagno. Nell’uno e nell’altro caso io sono dunque del pari coatto. Dopo la rivoluzione che avesse instaurato il comunismo, nel gregario ingenuo e fanatico a poco a poco la delusione verrebbe a galla con questa espressione: «ma se si deve, come prima lavorare, allora è la stessa cosa» – espressione, con la quale tralucerebbe finalmente alla sua coscienza che la schiavitù non è il regime capitalista, ma il lavoro in sè e che è pressoché indifferente e tocca solo punti secondari ogni rivoluzione che non sia la rivoluzione impossibile: – quella che tolga dalla terra la necessità del lavoro. Il lavoro è schiavitù. La necessità del lavoro è perenne. Dunque perenne sarà e dovrà essere la schiavitù. Da queste verità già limpidamente viste ed affermate dallo spirito greco, non c’è via d’uscita.

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