«Filosofia dell’esposizione»

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Tommaso Ariemma, dottore di ricerca in filosofia, insegna Estetica presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce. Il suo percorso filosofico, non propriamente allineato rispetto all’accademia, è per certi aspetti interessante e con piacere riportiamo qui un documento («Manifesto della filosofia dell’esposizione: tesi e percorso»), redatto in parte proprio per Sitosophia, che illustra tale percorso con le parole dello stesso Ariemma.

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Che cos’è la filosofia dell’esposizione?
Per “filosofia dell’esposizione” intendo 1) un ripensamento delle categorie fondamentali del pensiero occidentale, siano esse centrali (essere, nulla, identità, singolarità, mondo) o collaterali (animalità, nudità, opera d’arte); 2) una filosofia dal vasto potenziale analitico. Essa analizza i modi di esposizione e tali modi vanno dalla cosmesi all’opera d’arte, dall’identificazione personale alla clonazione; 3) un’esposizione filosofica capace di essere allo stesso tempo sperimentale e popolare.
La filosofia dell’esposizione è possibile in virtù di una tesi ontologica: nulla si sottrae all’esposizione. È una tesi che pensa l’essere delle cose a partire da una radicale estromissione del nulla. Al nulla si nega l’esposizione. Da cui deriva che tutto ciò che è viene compreso all’interno dell’esposizione. Nessuna cosa può essere separata dall’esposizione. Esposizione vuol dire: essere in relazione, in contatto, mai integro, mai puro uno. L’uno si dice solo del nulla. Questa tesi, che si trova in appendice al mio più recente studio Estetica dell’evento. Saggio su Alain Badiou (2012) è solo uno dei risultati di un cammino di ricerca e di analisi cominciato con la pubblicazione della mia tesi di laurea Fenomenologia dell’estremo. Heidegger, Rilke, Cézanne (2005).

Un attraversamento del pensiero contemporaneo
In Fenomenologia dell’estremo mi sono occupato di Heidegger e della sua concezione della singolarità sensibile e dell’arte, cercando di portare con me i risultati filosofici del pensiero francese contemporaneo (Deleuze, Derrida, Nancy), alla ricerca dell’orizzonte dell’esposizione, indicato in questo primo testo con il termine “estremo”. Il problema che l’opera si pone è il rapporto tra l’articolazione del senso, attraverso il linguaggio, e la sensibilità, ovvero ciò che viene definito l’estremo.
L’estremo è innanzitutto la soglia tra l’essenziale e il singolare, tra la parola e il sensibile, soglia che non si configura come eccezione, ma come trama dell’esistenza, vero e proprio orizzonte, ignorato e occultato dalla nostra tradizione, che ha tentato di separare o gerarchizzare le due polarità fondamentali dell’essere al mondo. Con il termine “estremo” si intende qualcosa di irriducibile al linguaggio o alla pura sensibilità, qualcosa che sfugge all’opposizione proprio/improprio.
Contro Heidegger e la tradizione fenomenologica, che ha subordinato la singolarità all’essenza e all’ideale, l’essere-così all’essere puro e semplice, si tenta di pensare un tale orizzonte a partire dall’opera d’arte, ovvero dalla messa in opera di tale orizzonte. Rilke e Cézanne sono gli artisti che, in modo esemplare ma anche problematico, hanno rivelato nelle loro opere quella zona di indiscernibilità tra il singolare e l’essenziale. Successivamente, negli studi che compongono Il nudo e l’animale. Filosofia dell’esposizione (2006) l’orizzonte dell’estremo, ovvero dell’esposizione, viene interrogato esplicitamente a partire dal concetto di nudità. Ma tale concetto va decostruito e ripensato, a partire dalla sua relazione con l’animalità, concetto anch’esso scivoloso per la nostra tradizione di pensiero.
L’indagine sceglie come “alleati”, Nancy, Derrida, Deleuze, per porre le basi di una filosofia dell’esposizione, che non può fare a meno di trattare l’arte come oggetto privilegiato (Baudelaire, Melville, Rodin, Bacon), in quanto messa in opera della nudità, dove per nudità non si intende una pura passività, o in generale una purezza, ma un rispondere a ciò che accade. La nudità – e l’arte che la mette in opera, rivelandola, così, operosa – è un movimento, una passione attiva, e nient’affatto il termine di un processo di spoliazione.
Ne Il senso del nudo (2007) vengono puntualizzati e ribaditi i risultati delle ricerche precedenti. La nudità viene tematizzata come il contrario dell’integro e del puro, indiscernibile da un effetto di velo che l’accompagna sempre. Così pensata, la nudità risulta altro da ciò che la nostra tradizione ha “inventato”, ovvero altro dalla purezza o dalla mancanza, e piuttosto indiscernibile dal velo, al quale era sempre stata opposta. La nudità raggiunge la sua vertigine nell’erotismo e nell’esperienza della democrazia, ovvero la vertigine del qualsiasi e del chiunque.
Nelle mie ricerche, più che semplici oggetti di studio, autori come Deleuze, Derrida, Nancy sono divenuti, dunque, alleati, strumenti, ma anche oggetto di critica. In molti casi tale critica viene formulata proprio a partire da una caratteristica delle mie ricerche, che si servono delle loro riflessioni complessivamente, come se formassero un’unica tessitura, quando singolarmente ogni loro percorso  presenta diverse reticenze e insufficienze.
Nel mio Logica della singolarità (2009), ad esempio, sostengo che è impossibile formulare una tale logica senza mettere insieme le loro riflessioni, coerentemente con la logica della singolarità che viene formulata nel testo. La singolarità, infatti, va sottratta all’individuo come singolo, e pensata come apertura ad altre singolarità. All’interno di dinamiche di implicazioni e esplicazioni, essa non si distingue dalla nudità.
Sensibilità, singolarità, nudità, opera d’arte, sono pertanto i temi che hanno caratterizzato ciò che ho chiamato “filosofia dell’esposizione”.

Il potenziale analitico della filosofia dell’esposizione
Con L’estensione dell’anima. Origine e senso della pittura (2009) prende avvio una specifica analisi dei modi di esposizione, partendo da una teoria dell’arte, in particolare della pittura, già abbozzata nelle ricerche precedenti. Tuttavia, adesso l’esposizione artistica viene considerata alla luce di altre modalità di esposizione.
La pittura diventa quel modo di esporre che esprime un orientamento di segno opposto rispetto a quello istituito dalla tradizione occidentale. Essa mina il primato del visibile, turbando la visibilità: un quadro non esprime mai niente che si può ben vedere, ma sempre qualcosa che si sottrae alla visione estendendo la nostra sensibilità.
All’interno della pittura si dà a pensare l’estensione dell’anima, che si declina in una molteplicità di modi: 1) come l’esteriorizzazione dello psichico nell’opera d’arte, che ne complica l’unità e l’integrità, 2) come l’estensione della sensibilità generata dall’oggetto artistico nello spettatore, 3) come natura irriducibile dell’anima, irriducibile soprattutto alle note declinazioni metafisiche che hanno pensato l’anima come indivisibile e inestesa, interiore piuttosto che esteriore.
La pittura porta con sé un modo di esporre che è insieme una diversa direzione di pensiero rispetto a quella imboccata dalla nostra tradizione
Con Immagini e corpi. Da Deleuze a Sloterdijk (2010) tale tradizione viene analizzata a partire da quei modi di esporre che hanno caratterizzato la cultura occidentale, come i fenomeni di costume quali il topless e lo strip-tease, o il design. In tale analisi viene inoltre approfondito e ripensato il concetto stesso di immagine, per poter avanzare una ricerca non limitata ai dogmi della tradizione.
Si pensa  all’immagine  come se fosse ora un oggetto, ora una produzione della mente. L’indagine sulla pittura del resto si muoveva anch’essa prevalentemente su queste due polarità. Ci si ferma cioè all’immagine-oggetto e all’immagine-pensiero. In realtà si trascura, in tal modo, una dimensione importantissima dell’immagine e cioè quella prodotta dal gesto corporeo. I corpi umani fanno figura all’interno di spazi caratteristici. L’attenzione verso l’immagine-corpo indirizza verso una concezione più ampia dell’immagine: ovvero verso una “circolazione” dell’immagine, un rapporto atmosferico con l’immagine stessa. Non possiamo fare a meno di assorbire immagini e di fare immagini. C’è un circuito tra immagine interna e immagine esterna, reso possibile proprio grazie al corpo, che costituisce delle vere e proprie atmosfere sociali.
Non si può pertanto analizzare un’immagine senza analizzare l’atmosfera in cui essa si inserisce. Atmosfera che si scopre essere culturalmente orientata. L’Occidente ha dato un determinato posto alle immagini e una determinata funzione: devono essere funzionali a un processo di visualizzazione. Ma l’Occidente ha compreso anche la sua natura atmosferica, soprattutto nel caso del design. Per cui, insieme a un processo di visualizzazione, si ha un processo di climatizzazione. Il termine termoestetica viene introdotto a questo punto per indicare l’analisi dei modi per gestire l’atmosfera sociale, costituita dal circuito immagine interna, gesto, immagine esterna. Nel caso della pornografia si ha un inevitabile riscaldamento simbolico dell’atmosfera, mentre nel caso del design la “coolness” sarà la tonalità atmosferica caratteristica. Il controllo delle atmosfere simboliche generate delle immagini permette il controllo dei soggetti che si nutrono di tali immagini.
Nell’ambito dell’analisi dei modi di esporre un ruolo non meno importante riveste la diffusione della chirurgia estetica, a cui è dedicato lo studio Contro la falsa bellezza. Filosofia della chirurgia estetica (2010).
La diffusione della chirurgia estetica si è imposta a un certo punto come questione ineludibile. Questione che, nel campo dell’estetica filosofica, non è mai stata trattata in modo specifico. A partire dalla diffusione di quest’ultima, come tento di dimostrare, è possibile entrare nel merito di importanti questioni filosofiche sull’ordine e il caos, sul tutto e le parti, sulla percezione di sé e del mondo, sulle tendenze non solo estetiche, ma anche politiche della nostra cultura. Con Contro la falsa bellezza ha inizio anche l’adesione al movimento italiano della pop filosofia, che, all’interno del mio percorso, coincide con una filosofia dell’esposizione, capace di esporsi in modo più ampio: attraversando la cultura di massa, soprattutto con uno stile di scrittura capace di arrivare al vasto pubblico.
L’analisi dei modi di esporre è proseguita nei saggi successivi Il mondo dopo la fine del mondo. Facebook, l’arte contemporanea, la filosofia (2012) e Estetica dell’evento. Saggio su Alain Badiou (2012). Nel primo vengono tracciate le opposte polarità del contemporaneo campo dell’esposizione, incarnate rispettivamente da Facebook e dall’arte contemporanea, alla luce del dispositivo dell’identificazione di massa. Si indagano qui due strategie dell’apparire, due modi differenti di mostrare cose e persone. Due modi differenti di interagire con un mondo di riferimento, ovvero con le incognite che questo mondo pone. Da un lato l’arte contemporanea lavora all’ampliamento del suo mondo, dall’altro Facebook avanza una sorta di tribalizzazione del mondo del web, ovvero un controllo del suo caos. Nel secondo testo, dedicato al filosofo Alain Badiou, la filosofia dell’esposizione si confronta criticamente con il filosofo francese, decostruendo la sua filosofia dell’evento. La gran parte degli interpreti più critici nei confronti di Badiou si concentra sulle sue riflessioni politiche, trascurando i principi della sua filosofia e soprattutto la dimensione estetica della sua riflessione. Io ho preferito soffermarmi, con finalità decostruttive, su questi ultimi aspetti. Ho così potuto constatare, che, oltre al pensiero “gridato” e più spettacolare (contro Sarkozy, per una riaffermazione del comunismo, l’odio per la democrazia occidentale, etc.), c’era un pensiero silenzioso compatibile con l’organizzazione estetico-politica del nostro tempo. Il pensiero di Badiou è oggi uno specchio (grande, maestoso) dove si riflette “filosoficamente” il nostro tempo e la nostra tradizione filosofica: essi si raccolgono intorno a eventi clamorosi, ossessionati dalla perdita e dal divenire in qualche modo immortali. Accanto a questi studi è stato contemporaneamente necessario un ripensamento dell’estetica in generale (Estetica. Manuale per giovani artisti, 2012), pensata come filosofia dell’esposizione e, pertanto, come orizzonte di ricerca inattuale rispetto all’anestetizzazione diffusa della nostra società.

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