Apocalissi e conversione

Villaggio Maori Edizioni, Catania 2014
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L’Occidente al setaccio.
Le idee effervescenti di Tempio in Apocalissi e conversione
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Quando si parla di civiltà non vi è il minimo dubbio che si intenda la civiltà dell’Occidente, anche se alcuni studiosi non concordano con questa tesi, sostenendo che tutte le civiltà sono in un certo senso uguali, e che l’Occidente non può arrogarsi una superiorità sull’Eurasia. È una questione complessa che non si può neanche liquidare frettolosamente e con superficialità. Indubbiamente nel passato l’Occidente ha prodotto una civiltà capace non soltanto di conquistare i grandi imperi orientali e sottomettere l’Africa e le Americhe, ma anche di convertire popolazioni di tutto il mondo allo stile di vita occidentale, non solo con la parola ma anche con la spada.

Tempio nel suo Apocalissi e conversione. Sulla catastrofe dell’Occidente (Villaggio Maori Edizioni) assurge a simbolo dell’humanitas l’Occidente, e al contempo intende il termine Occidente in senso metafisico, ossia come l’insieme delle forme di dominio rivolte all’intero pianeta, il mondo, che altro non è che materia prima da utilizzare, sfruttare, consumare, affinché tutto il pianeta diventi mondo.

Un’analisi lucida, spietata, si struttura come impalcatura architettonica antisismica, difficilmente smontabile, su cosa sia oggi l’Occidente. Domande e altrettante risposte si srotolano nel libro sul significato moderno di una civiltà che presenta segni di cedimento esistenziale e non è più in grado di sviluppare una politica condivisa dagli stati, ma neanche di porre un argine agli eccessi di fanatismo religioso e finanziario che provengono da ogni parte del mondo. Ciò che un tempo era, ora non lo è più. L’Occidente forse, adesso, si può identificare solo con la Germania. È venuta meno anche la struttura geografica che – nel passato – era un’area culturale comprendente grosso modo l’Europa e, in senso più esteso, tutti quei paesi europei ed extraeuropei che si riconoscevano nei principi filosofici del mondo greco-ellenistico-romano-cristiano-illuministico.

Rimane in piedi che il termine Occidente si riferisce al sole che cade, cioè che tramonta; una magra soddisfazione.

L’Occidente è nella morsa della globalizzazione, in cui non è dato esistere il vuoto; perpetua da sempre una competizione di supremazia interna ed esterna, che si può semplificare come lotta per l’esistenza.

La prospettiva umanistica comporta l’esistenza di due sottospecie di ideali: uomini barbari e uomini umani, dice Tempio; ai primi si deve assegnare il valore negativo, ai secondi il valore positivo, affinché si avvalori l’assunto che l’uomo deve essere umano, poiché chi non appartiene all’umanità è disumano. E qui scatta il meccanismo di indottrinamento e sottomissione alla civiltà dell’Occidente, che non è un espediente, semmai una verità che deve imporsi per il bene dell’umanità. Ciò che non è umano va punito, estinto, lasciando dire all’autore che il dominio mondiale dell’Occidente è la realizzazione di una formula: homo homini deus, che si traduce in globalizzazione, immane catastrofe, essendo disequilibrio dei diritti umani che vengono concessi in generale da un detentore (Occidente), nonostante siano inalienabili, naturali e universali. Com’è che allora siano appannaggio dell’uomo occidentale? La risposta che fornisce Tempio è incontrovertibile: i diritti si esportano come si esporta un capitale all’estero, con la speranza di un profitto di ritorno. Tutto questo significa tentare d’imporre la logica capitalistica dell’Occidente, configurando il diritto come un vero atto di forza.

Si può capire da quanto esposto sinora che il saggio è una radiografia seria, senza pregiudizi sui mali (patologici) dell’Occidente. L’Occidente non ama più se stesso e della sua propria storia vede ormai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, — così si è espresso Ratzinger. La caduta del cristianesimo e del rispetto verso il sacro ha amplificato il male di esistenza dell’Occidente stesso, nonché il suo ruolo, che appare indefinibile e inconoscibile, stante gli infiniti interessi geopolitici, economici e finanziari. È il caso di dire: Dio è morto, ancora, poiché l’anima di questo benedetto-maledetto Occidente è il denaro. Polli da batteria: questo sembrano essere i cittadini della comunità europea, dove il mangime è il denaro che ingrassa le carni, per renderle pronte a essere macellate e consumate, secondo il principio ormai universale dell’obesità monetaria. È evidente che è assente qualsivoglia principio di morale, di cristianità, di tolleranza e di cultura umanistica. Nichilismo dirompente, dunque? Così Tempio:

Abbiamo così che il nichilismo è un fenomeno intimamente connesso con la storia occidentale; ma il piano slitta di sotto ai piedi, fino a far coincidere i concetti di ‘Europa’ e ‘Occidente’. Ciò che aggiunge Heidegger al discorso di Nietzsche è che non solo il nichilismo è legato alla storia occidentale, ma ne costituisce l’essenza stessa. Il nichilismo non fa parte della storia occidentale, perché non ha una storia; piuttosto, il nichilismo è storia e, nella fattispecie, la storia occidentale, in quanto determina la storicità di questa storia.
Se così stessero le cose, ossia se il pensiero fosse inestricabilmente annodato all’Occidente e dunque essenzialmente nichilista, allora la storia occidentale sarebbe il dispiegarsi di questo pensiero stesso, il quale non sarebbe altro che un modo diverso di nominare il nichilismo.

A questo punto il dilemma viene posto in tutta la sua tragicità:

Il pensiero sarebbe la catastrofe dell’occidente. Ci troviamo di fronte a un dilemma, la cui soluzione è determinante per il destino del pensiero: o la catastrofe è insita nel pensiero occidentale, ossia il pensiero occidentale è la catastrofe per il pianeta; oppure il pensiero è la catastrofe per l’occidente e la salvezza per il pianeta in generale.

Il legame vincolante dell’occidente, il filo che tesse costantemente le trame occidentali, ha un altro e ben preciso nome, ossia la religione che realizza il suo intento di lottizzazione delle anime, in cui il cattolico espropria se stesso, la sua anima, per affidarsi totalmente nelle mani della religione, che è madre caritatevole (?) e premurosa dei bisogni dell’uomo.

L’analisi potrebbe apparire perfetta e giusta, anche laddove Tempio ipotizza lo smantellamento dell’impianto micidiale su cui è fondata l’evangelizzazione di tutte le genti, scatenando uno scontro tra catastrofi: «l’occidente è la catastrofe per il pianeta; il pensiero è la catastrofe per l’occidente». Non è chiaro come di fatto si possa dare atto allo smantellamento. Seppure in linea di principio si è d’accordo con quanto prospettato, non si comprende bene come possa essere smantellata una religione che la secolarizzazione ha resa inespugnabile nella propria roccaforte di fede, nonostante le indicative oscillazioni di fragilità che si perpetuano possano far pensare davvero a un annientamento. Ma la fragilità della religione dal cielo vuoto – così come la circoscrive Galimberti nel suo ultimo libro – ne fa la sua forza, il suo appoggio quotidiano per milioni di credenti. Paradossalmente però quel cielo vuoto del cristianesimo, altro non è che il cielo vuoto dell’Occidente. Una precisazione: Dio è solo bene e giustizia, mentre la vita è bene+male+giustizia+ingiustizia. Nella pienezza del significato e concetto di Dio non vi è dunque la pienezza di Dio, che – si ripete – è soltanto bene e giustizia. Si ha bisogno del Dio cattivo quanto di quello buono (Nietzsche), per conoscere meglio l’ira, la vendetta, l’invidia, l’ingiustizia del Dio che incarna le dualità, assomma a sé vizi e virtù dell’uomo, distilla il male dall’ambiguità della vita. Può un tale Dio esistere? Ammetterlo sarebbe come cancellare il cristianesimo e i suoi appoggi dogmatici. Una cosa impossibile, che produrrebbe altri misfatti. Il cristianesimo ha operato e continua ad operare nella storia, non solo dell’Occidente ma di tutto il mondo; è un’erba infestante che prolifica facendo leva sui germogli illusori di un frutto benedetto, che darebbe la vita eterna. L’uomo dell’Occidente è cresciuto a pane e cristianesimo, la sua vita è scandita di rosari e di croci, di preghiere e di convivenze trascendentali con il sacro, di santità e di tutto ciò che è contemplato nella liturgia di una religione, la quale è asse portante dello sviluppo di una civiltà.

L’uomo è stato privato di un significato divino del male, tant’è che quest’ultimo è stato teorizzato e dogmatizzato con i concetti dei teologi per fornirne una causa che sia sintomo ulteriore di abbandono alla fede. Insomma Dio spiega il bene, tralascia però di fornire un senso all’agire dell’uomo che propende al male. Ecco perché non convince l’idea che il cristianesimo sia un male, semmai una presenza forte, di cui bisogna tenere conto. Si è del parere che alla luce del terzo millennio il Dio cristiano vada invece ripensato nella fede e nella liturgia, un modo – se si vuole – di ammodernare una religione che è stantia, immobile, mummifica, maleodorante nel pensiero e nell’indottrinamento, fuori da una logica di sopravvivenza planetaria che investe in maniera virulenta la coscienza dell’uomo, il quale è nella selva dell’incertezza e dello smarrimento. Il cristianesimo, nonostante tutto, è giovane, i suoi duemila anni non li dimostra, e non si può mettere in discussione il suo confronto con le diversità del mondo, né si possono addebitare ad esso le colpe di un Occidente che vacilla e si schianta al suolo come un gigante.

C’è la necessità di icone da cui ripartire per una visone terza del mondo in cui non è essenziale adorare madonne pellegrine. È impellente il bisogno di scrivere una storia da innestare in un’altra nuova.

Certamente alla base di tutti mali c’è l’economia, la dottrina del benessere. Il denaro l’unico mezzo per il raggiungimento della felicità. Negli anni della miseria lo era. Quando questa è stata – almeno per la maggior parte della popolazione occidentale – debellata, ha consentito all’uomo un miglioramento della qualità della vita; al contempo sono subentrate le delusioni esistenziali che si possono quantificare e misurare nell’insoddisfazione che dà la stessa soddisfazione della felicità, ovvero quanto più felicità si acquisisce tanto maggiore è l’infelicità che ne deriva.

Il senso della misura è venuto meno: è questo il male principale dell’Occidente cristiano che ha segnato il proprio destino prettamente sull’economia, sostiene Tempio nelle sue formulazioni singolari, ampie, sinuose, profonde in cui apre e chiude scenari apocalittici e di conversione. Ma va oltre, prefigura uno scenario di apocalissi e conversioni in un capitolo che ne prende il titolo, confutando e paragonando i suoi assunti con il sacrificio di Cristo – da intendersi come conversione –, mentre l’apocalisse sarebbe dettata da Paolo, il quale piuttosto che piegare se stesso, cerca di piegare il mondo, scatenando in tal mondo la forma del dominio. Qui il dispiegare del dire dell’autore ipotizza uno scenario apocalittico di realismo magico, assumendo i caratteri di un racconto fantastico:

Se l’apocalissi riguarderà il pianeta in generale, si possono avere altri due casi: avverrà qualche grande sconvolgimento che eliminerà l’uomo e altre specie viventi, poche o molte che siano; oppure sarà annientata proprio la Terra, sarà completamente distrutta o almeno resa tale da non poter più ospitare alcuna forma di vita. Nel primo caso, i cicli della creazione riprenderanno il loro corso, alternandosi con tutta serenità e indifferenza ai cicli della distruzione. Nell’ultimo caso regnerà il nulla, sovrano eterno che ci sta concedendo questa breve parentesi che chiamiamo vita.

Indubbiamente le considerazioni di Tempio affascinano a tal punto che richiedono un lettore attento al fine di percepire il tono sottile, catastrofico, profetico, evangelico, di un mondo nella sua interezza, e nello specifico di quel luogo che si continua a chiamare Occidente. Un lettore perfetto, dunque, così come delineato da Nietzsche, che sia un mostro di coraggio e curiosità, un avventuriero nelle righe del pensiero e un esploratore nato.

Il libro (una overdose anche di bellezza filosofica) può essere considerato come un compendio dei mali dell’Occidente, delle sue cause, delle sue profonde anomalie di pensiero, delle sue contraddizioni, dove si predilige nelle analisi il pensiero filosofico che esclude il razionale per privilegiare l’irrazionale nelle forme convincenti della sacralità stessa del pensiero. C’è il piglio indagatore del filosofo in Tempio, che non teme di misurarsi con le contraddizioni che ogni assunto può generare, agisce con fermezza nella formulazione del proprio pensiero, passando al setaccio ogni aspetto che ha una connessione con tutto ciò che riguarda l’Occidente.
Tempio tenta di scalfire pregiudizi e assunti con metodo fin troppo da specialista, in una sorta di manieristico “gioco del rovescio” per offrire al lettore un osservatorio spregiudicato e insolito. Non è un azzardo etichettare Tempio come il saggista avversario implacabile dei Contenuti rimaneggiati e fuori uso. Si tuffa a capofitto nei meandri del pensiero, dimostrando abilità e agilità nelle frequentazioni della filosofia, vestendo i panni del profeta.

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