Coscienza

Laterza, 2009
26 Comments

Laterza ripubblica uno dei libri cult degli studi sul mentale, edito nel 1991 da Little, Brown & Co. (New York-Boston-London) e tradotto in italiano per la prima volta nel 1993 per conto dell’editore Rizzoli: Coscienza. Che cos’è di Daniel C. Dennett1.

L’idea generale è demistificare il mentale e con esso la coscienza: lungi dall’essere il nodo di Gordio per la filosofia, essi esigono su di sé uno sguardo depurato da quell’avversione alla scienza che secoli di mal filosofia (o senso comune) hanno innestato in noi. L’analisi scientifica – ha motivo di sostenere Dennett – non elimina ciò che di bello è nel reale, piuttosto reca ancor più meraviglia negli occhi degli osservatori. L’astronomia contemporanea non ha nulla da invidiare, in termini di bellezza, alla cosmologia greca: a salire in cielo non è più un dio col suo carro infuocato, ma è forse diminuita la meraviglia umana nei confronti delle cose? Una stella, che è ragion d’essere della nostra vita e che si muove nell’universo, ha qualcosa di meno affascinante rispetto ad Apollo?

Il testo è articolato in tre parti di non agile lettura: a un’introduzione generale ai quesiti indagati (Problemi e metodi, pp. 31-119), segue il nocciolo della teoria dennettiana sul mentale (Una teoria empirica della mente, pp. 119-319), per poi lasciare spazio alle questioni filosofiche più discusse e controverse (I problemi filosofici della coscienza, pp. 319-509), seguite da due Appendici (Appendice A per i filosofi e Appendice B per gli scienziati).

Dennett muove un serio attacco alle filosofie dualiste – con molteplici riferimenti a psicologia, neurologia e computer science – attraverso un approccio evoluzionista al mentale: non esiste né un luogo in cui gli eventi del mondo esterno diventano coscienza, né la coscienza in se stessa. A pag. 235 si sostiene, infatti, che siano stati tre i fattori ad aver contribuito alla costruzione della coscienza umana: l’evoluzione genetica, la plasticità fenotipica e l’evoluzione memetica. È probabile che la selezione naturale abbia favorito quelle specie che più velocemente di altre “capivano” come adattarsi all’ambiente, rimodulando non solo il proprio comportamento ma perfino il proprio organismo. L’esigenza di rimodularsi e riprogettare se stessi per fronteggiare le più svariate circostanze ambientali (per lo più avverse alla sopravvivenza) è ciò che gli studiosi chiamano “aggiustamento post-natale del progetto”:

Il cervello plastico è capace di riorganizzare se stesso in modo adattivo in risposta alle particolari novità incontrate nell’ambiente dell’organismo, e che il processo tramite il quale il cervello riesce a fare ciò è quasi certamente un processo meccanico fortemente analogo alla selezione naturale questo è il primo nuovo mezzo di evoluzione: l’aggiustamento post natale del progetto nei cervelli individuali2.

Non solo quindi gli organismi meglio cablati fin dalla nascita tendono a produrre una progenie con migliore chance di sopravvivenza rispetto ad altre, ma tale chance aumenta se il sistema nervoso presenta una certa plasticità, ossia possibilità al mutamento.

Dennett prende in prestito dal biologo evoluzionista Richard Dawkins l’idea che la mente non sia solo “selezione naturale” ma anche “evoluzione culturale”. Nel cervello si innestano tutti quei significati che esso stesso ha prodotto e che finiscono per plasmarlo: non solo siamo il risultato di millenni di adattamenti evolutivi, ma perfino di reinterpretazioni culturali (memi). La sostanzialità dell’ipotesi sta nel pensare che la cultura plasmi le strutture del sistema nervoso al pari dell’evoluzione genetica: non solo prendiamo in prestito i geni dai nostri predecessori, ma perfino i loro memi. Quella complessa struttura che è il cervello, inizialmente preposta alla sopravvivenza dell’individuo, è venuta in tal modo ad assumere connotazioni simboliche e semantiche: la mente è il luogo d’intersezione tra cultura e biologia.

La coscienza umana è essa stessa un enorme complesso di memi (o più esattamente, di effetti provocati dai memi nel cervello) che si può comprendere egregiamente pensando al funzionamento di una macchina virtuale «neumanniana» implementata sull’architettura parallela di un cervello che non era progettato per attività del genere3.

La coscienza non rappresenta un mistero: siamo gli zombi di Chalmers, privi della res cogitans cartesiana, di quel fantasma nella macchina (Ryle) di cui è imbevuta gran parte della cultura tradizionale e altrettanto privi di un unico centro (neurale) nel quale le percezioni del mondo esterno diventerebbero coscienza. Il Sé come coscienza non è chefenotipo esteso” (Dawkins), l’estensione (protesica) del proprio essere, parte dell’equipaggiamento biologico fondamentale degli individui. Come i castori collaborando costruiscono le dighe, le termiti si aggregano a milioni per costruire i propri castelli e l’uccello giardiniere australiano elabora “templi” per il corteggiamento, così ogni individuo appartenente alla specie “Homo sapiens” crea un sé, fila una trama di parole e atti (Wittgenstein) con le altre creature che lo «protegge dall’esterno», gli «fornisce mezzi di sostentamento» e «incrementa le sue fortune sessuali» (p. 462). Il Sé non è il Direttore del Teatro mentale, ma quella rete di parole e gesti (ancora Wittgenstein) che noi esseri umani «incorporiamo, ingeriamo, secerniamo e intrecciamo come ragnatele in sequenze narrative auto-protettive» (p. 464). E all’interno della prospettiva naturalistica, alla quale Dennett vuole rimanere fedele, diventa fondamentale capire come il cervello possa produrre le auto-rappresentazioni che sono il Sé. Non a caso il capitolo nel quale si argomenta sul Sé (La realtà dei Sé, pp. 458-480) è inaugurato da una citazione dal Trattato sulla natura umana di David Hume, nel quale il filosofo scozzese espone l’idea del Sé come somma di percezioni: cosa significa cogliere se stesso se non imbattersi in una particolare percezione di freddo o caldo, amore o odio, dolore o piacere? Potrebbe mai dire qualcuno di percepirsi?

Su questa linea Dennett è severo nei confronti dei qualia, le «proprietà intrinseche dell’esperienza cosciente». Tanto per essere chiaro sulla questione, nel terzo paragrafo del dodicesimo capitolo (Quali qualia?, pp. 410-457), Dennett riporta due citazioni, rispettivamente di Wilfrid Sellars e Sydney Shoemaker4, dalle quali emerge che il problema è quello di giustificare le «qualità secondarie» (Locke) degli oggetti, proprietà come colori, aromi, gusti e suoni e che in tempi recenti alcuni “qualiofili” (sempre stando a Dennett) del calibro di Thomas Nagel e Frank Jackson (due classici esempi di untori della Sindrome dei filosofi5) hanno riportato sulla scena con la suggestiva immagine del pipistrello e della neuroscienziata Mary (ingabbiata in un mondo in bianco e nero). Per Dennett la questione è aver scambiato una carenza di immaginazione con una necessità filosofica: i “qualia” non sono altro che complessi di disposizioni celebrali culturalmente acquisti. Un bevitore di birra avvezzo a quel gusto amarognolo e un giovane bevitore sprovveduto all’Oktoberfest hanno l’illusione di avere qualia differenti (gusti, odori, sensazioni), solo perché la lunga e maturata esperienza del primo è assente nel giovane palato del secondo. In linea di principio – sostiene Dennett – se un musicologo avesse evitato con cura qualsiasi forma di contatto con la musica posteriore al 1725, proverebbe le stesse sensazioni (cosa si prova a…) di un abitante di Lipsia che in quella stessa data si recava in chiesa per sentire una cantata corale di J. S. Bach. Allo stesso modo, se una cantata di Bach fino ad oggi sconosciuta venisse scoperta dagli studiosi e per una pura fatalità le prime cinque note fossero identiche alla canzone dei sette nani (Andiam, andiam a lavorar!), «non saremo noi mai in grado di ascoltare la versione di Bach come egli la intendeva o come gli abitanti di Lipsia l’avrebbero recepita» (p. 431). E la divergenza è semantica e culturale, non di fatidici qualia6.

È necessario dunque un nuovo metodo d’indagine sulla mente e la coscienza, l’eterofenomenologia, capace di porsi scientificamente (prospettiva neutrale “in terza persona”) dalla parte dell’esperienza soggettiva e di sostituire l’idea della coscienza come “Teatro cartesiano” con quella delle “Molteplici versioni”7.

Quello di Dennett pare essere una sorta di “naturalismo aperto”, o “funzionalismo evoluzionista”, che muove serie polemiche all’idea di un “Teatro cartesiano della mente”, che risolve il mistero filosofico della coscienza, che conferisce peso sostanziale non solo al dato biologico-neurale nella formazione della mente ma all’umano nella molteplicità delle sue forme sociali e culturali, mediato dal categorico rifiuto che la mente sia qualcosa per la quale non esiste la possibilità di un resoconto oggettivo e che considera l’introspezione, un metodo “in prima persona”, un’illusione filosofica. Dennett non è, a rigore, un funzionalista (almeno in senso “classico”) per la semplice ragione che, come afferma nelle appendici al testo, spiegare la coscienza implica riferimenti sia al funzionamento del cervello (esperienze coscienti come eventi portatori di informazioni nel cervello) che ai cambiamenti della memosfera. Seppure sia evidente il suo debito nei confronti di Wittgenstein – “guardare” le persone agire in mancanza di conoscenze definitive sul celebrale – Dennett non esclude poi, però, la possibilità di un robot cosciente, se opportunamente programmato (cfr. p. 480).

Non sembra, pur tuttavia, che ciò tolga credito a quell’impianto teoretico evolutivo che Dennett ha lungamente argomentato nel corso del testo? Se l’individuo è la somma dell’adattamento evolutivo e memetico, allora – stando al lessico di Dennett – il software implementato nell’umano non è sia l’uno che l’altro? Programmare un robot non dovrebbe equivalere a filare una tela di relazioni e parole con il mondo? È lecito pensare che il cervello sia un sistema di elaborazione dell’informazione e la coscienza l’elaborazione stessa, ma come si spiegherebbe che essa sia «fenotipicamente estesa»? Pare altrettanto lecito pensare che i qualia siano «disposizioni celebrali culturalmente acquisite», ma che dire della “dolorosità del dolore” o della “pruriginosità del prurito”?

I punti di contatto con il comportamentismo sono piuttosto sospetti e comunque esistono studi che confermano la tendenza, già nota ai tempi di Leibniz, ad un impossibile resoconto “in terza persona” del mentale. Per quanto la validità di tali studi sia tuttora contesa, resta il fatto che guardare il cervello significa praticamente guardare niente e, dunque, che il resoconto del soggetto è un punto cruciale per l’analisi della coscienza; non, come vorrebbe qualcuno, “the Ghost in the Machine”, ma relazione costante tra l’individuo che sa d’esserci e il mondo.

26 responses to “Coscienza

  1. Carissimo prof. grazie per i complimenti. Ma dato che si tratta di uno dei suoi-libri-pilastro, come le sembrano i problemi che ho cercato di evidenziare?

  2. Caro Emilio, mi pare che tu abbia evidenziato i problemi giusti. Dennett non è il Vangelo, è chiaro, e il suo approccio è giustamente controverso. Ma la serietà del suo modello eterofenomenologico delle molteplici versioni e la non disponibilità a cedere spazio ai "dolci sogni" misteriosi, cioè alle illusioni filosofiche sulla coscienza (come le chiamerà in seguito), sono a mio parere la strada giusta da seguire per comprendere la mente.

  3. Molto interessante la recensione che lei fa, ho letto "sweet dreams, illusioni filosofiche sulla coscienza" e adoro il suo modo di porsi davanti al problema della coscienza…credo che il suo modo di pensare sia un intermediario tra filosofia e scienza, un modo di filosofare che va di pari passo con la scienza senza esternare false supposizioni che derivano da un ragionamento a priori

  4. Ho trovato interessante tale interpretazione di mente: considerarla il luogo di intersezione tra cultura e biologia rende anche più facile l'affrontare un discorso sui qualia, inoltre non trascura il fondamentale problema dell'adattamento all'ambiente; un discoso simile sull'evoluzione e la plasticità fenotipica è affrontato da G.Bateson, nel suo "Mente e Natura", anche se (decisamente) non con la stessa accuratezza di Dennett.

    Sono curiosa di leggere questo libro, e termino qui: a quanto pare oggi è in corso un litigio tra i pulsanti della tastiera e le dita delle mie mani, e ho già fatto una (doppia) brutta figura in un'altra occasione…

  5. Nessuna brutta figura, sta' serena!

    Io, invece, tra Bateson e Dennett non ho dubbi: preferisco il primo, per la capacità di offrire serî spunti alla riflessione molto più e meglio che il secondo.

  6. Signori,grazie per i commenti a distanza di tempo. Non ho letto il testo di Bateson – e Sonia sa il motivo – ma il problema mente/natura di certo è uno dei più affascinanti. Riguardo Dennett, non posso nascondere che la lettura si faccia in certi passi noiosa – le cose sono ripetute continuamente!, però sono rimasto profondamente colpito dal suo modo di discutere sul mentale: non siamo troppo abituati a pensare a priori filosofia e scienza in maniera antagonista? Una teoria di certo che ha punti deboli – quella di Dennett, ma che non si nasconde in affermazioni "fatte".

  7. Salve a tutti.

    Sono un profano, e questo probabilmente determinerà la qualità della mia domanda.

    ho comperato il libro questa estate incuriosito dal titolo. non sono proprio nuovo a letture introspettive, tuttavia, come scrive il recensore, il libro "non è di agile lettura".

    secondo voi un uomo della strada, di cultura media (o forse medio alta), curioso, ma non abituato alla materia, ce la fa a leggerlo?

    Grazie per le vostre risposte.

    Alessandro

  8. Caro Alessandro, grazie per aver letto la recensione. Non so cosa si possa intendere per "letture introspettive", ma in ogni caso sarebbe meglio sapere qualcosa di specifico sulla filosofia della mente. Il rischio non è tanto quello di non capire, ma quello di annoiarti!

  9. Caro Emilio, grazie per l'azzeccata risposta! in effetti durante la lettura si entra in certi labirinti verbali nei quali mi perdo, e lì la palpebra tende a calare …

    Quindi sarebbe veramente interessante se potessi consigliarmi una paio di testi "introduttivi" alla filosofia della mente, se esistono, così metto in stand by Dennett e mi faccio una prima idea.

    Grazie per il tempo dedicatomi.

    Alessandro.

  10. Caro Alessandro,

    io ti consiglierei come lettura "introduttiva": Introduzione alla filosofia della mente di F.Michele, Carocci.

    Di sicuro ti aiuterà a capire un po' di più Dennet…e poi ti consiglio di leggere anche qualcosa di J. Searle…

    Scusate se mi sono intromessa…

  11. Grazie D.

    prenderò sicuramente il libro che mi hai consigliato.

    se sopravviverò alla lettura … mi farò risentire.

    Un abbraccio a tutti

    Alessandro

  12. Ehi Alessandra, non è mica una chat privata tra me e D., quindi niente "scuse": hai fatto davvero bene ad intervenire.

    Da parte mia il suggerimento che posso darti è quello di seguire i programmi che il prof. Biuso tiene a lezione…ok…non l'intero programma, ma solo la parte introduttiva alla disciplina.

  13. Ehi, non e' mica male questo sito! posti un paio di messaggio, e ZAC, ti trovi dellaltro sesso … e senza spendere una lira …vabbe' scherzavo ..

    ma questo prof. Biuso fa delle dispense o similari, che siano reperibili su internet? oppure c'e' un corso su internet?

    nel frattempo ho ordinato il libro suggerito da D.

    vi faro' sapere.

    AlessandrO

  14. Ho fatto un pò di confusione tra nomi. In ogni caso, il prof. tiene corsi di Filosofia della Mente alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania; suggerivo il sito semplicemente come luogo dove poter reperire informazioni sulle questioni in esame. RIguardo le dispense, non credo ci sia qualcosa.

    ciao ciao

  15. ok, grazie per l'info.

    ho dato un'occhiata al suo sito: deve essere uno tosto. forse potrebbe aiutarmi a capire le ragioni e i modi di una visione anarchica. magari un giorno gli scrivo …

    nel frattempo aspetto il libro.

    Ciao a tutti

    Alessandro

  16. Non lo so se esistono buone introduzioni alla filosofia della mente. Io ho molte difficoltà a capire di cosa esattamente si parli quando si parla di filosofia delle mente, o meglio mi pare di capire ciò che con quella etichetta si dovrebbe intendere. Per me è una disciplina molto sfuggente. Tempo fa lessi un bel libro di Andrea Bonomi (Eventi mentali), dopo quella lettura la conclusione più appropriata che trassi a proposito della filosofia della mente fu quella di considerarla come una succursale della filosofia del linguaggio (di più: della filosofia analitica del linguaggio), incoraggiato dal fatto che molti filosofi della mente furono dapprima filosofi (analitici) del linguaggio: dunque filosofia analitica del linguaggio mentalistico, cioè del linguaggio attraverso cui ci riferiamo o parliamo di stati mentali contenutisticamente (proposizionalmente, per così dire) determinati. Certo, non ci vuole molto a capire che questa visione è una visione piuttosto angusta della filosofia della mente e che di filosofia della mente si può parlare anche in altri termini, p. es. nei termini della filosofia della scienza, vale a dire come riflessione metodologia sulla scienza (o sulle scienze) cognitiva (cognitive), ma anche su altre scienze che del mentale si occupano con metodologie alternative a quella della scienza cognitiva, p es. la psicoanalisi.

    Insomma, non la faccio lunga, a me pare che la filosofia della mente non dovrebbe essere considerata come una disciplina filosofica a sé stante – con questo non volendo dire che non siano giustificati corsi di filosofia della mente, anzi –, ma piuttosto come un indirizzo tematico che la filosofia del linguaggio o la filosofia della scienza possono intraprendere. A volte questo non è chiaro e si finisce col considerare la filosofia della mente come una disciplina sostantiva che ha un oggetto di studio, la mente, intorno al quale pretende di costruire teorie sostantive senza il necessario supporto empirico scientificamente disciplinato.

  17. Segnalo, per chi ne fosse interessato, che Laterza ha in questi giorni pubblicato una "Introduzione alla filosofia della mente" di Alfredo Paternoster. Non ho ancora letto il libro, ma ho già avuto modo di apprezzare il rigore analitico e la chiarezza espositiva dell'autore in un altro suo lavoro, "Il filosofo e i sensi", che è una introduzione alla filosofia della percezione.

  18. Gentile Prof. Dennet, leggendo il suo libro sulla coscienza mi è venuto il
    pensiero che la specie umana, senza rendersene conto sta programmando la sua autoestinzione, è sconcertante.
    cordiali saluti: Claudio Castellani.Monopoli.(BA) ITALY.2013/28/4.

  19. beniamino franclin definì l’umo, animale costruttore di macchine, oggi la simbiosi uomo macchina si è realizzata all80% alla lunga, mi domando questo dove porterà, prima ho visto un filmato sul cervello quantico, se siamo noi col nostro cervello a creare la realtà, cos’è mai reale? non lo sappiamo più,
    siamo diventando tutti allievi di gorgia che soleva dire : nilla esiste e se anche esistesse non lo potremmo conoscere e se lo potessimo conoscere non lo potremmo comunicare. ma sesto empirico nel suo adversos matematicos alla fine
    affermò :il numero non esiste. regalarono un libro a mia madre, morta da molto tempo di uno capace di far apparire le cose dal nulla, ammesso che esista il nulla, è tanto vero dell’interazione tra macchina e uomo, chi vi dice che io non sia una macchina che vi sta scrivendo? ecco perché ho detto che l’umo sta progettando inconsapevolmente la sua autoestinzione, paradossalmente a furia di programmare sta deprogrammando il suo cervello, anch’io sono convinto che mente=cervello, ma il cervello si può vedere, la mente è una funzione del cervello ma non è definibile, mente =mente, e poi se vogliamo seguire le parole mente verrà da mentire, perché in fondo tutto
    è nell’inconscio e la parte cosciente è solo il 10% di questo. ma per fortuna vi sono più cose in cielo ed in terra di quante ne possa contenere la nostra filosofia (da Amleto).non voglio essere polemico,ma ho troppo sofferto nella vita.

Scrivi un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.