Emil Cioran, George Bâlan. Tra inquietudine e fede. Corrispondenza (1967-1992)

Mimesi, Milano 2017
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Si assiste ad un rinnovato interesse per Emil Cioran. Già in Francia, come nella sua patria natia adesso anche in Italia, e la cosa più interessante è che di quest’ateo-nichilista-gnostico, si interessi anche il mondo cattolico. Lo fece il cardinal Ravasi qualche tempo fa in televisione, ma anche i gesuiti. Tra il 15 e il 16 novembre, presso la Facoltà Teologica di Napoli, si terrà un convegno su Cioran dal titolo “Dio e il nulla. La religiosità atea di Emil Cioran”, il primo del genere in Italia, la cifra di quanto il pensiero cioraniano appassioni e sia trasversale. L’immagine dell’ateo dalla vena mistica sembra acclararsi riguardo al pensatore rumeno. L’ultimo libro curato dal sempiterno Antonio Di Gennaro, ormai uno dei massimi esperti di Emil Cioran in Italia, che raccoglie lo scambio epistolare tra il filosofo con il conterraneo musicologo George Bâlan intercorso tra il 1967 e il 1992, ci chiarisce, forse in modo inequivocabile, il rapporto del filosofo di Sibiu con la fede. Prima ancora, però, di parlare di questo, sarà interessante sottolineare l’importanza della musica nel pensiero di Cioran. Ne La tentazione di esistere egli aveva parlato della musica come creazione tipica dell’Occidente, ancor più della filosofia: «Dove trovare un equivalente di un Monteverdi, di un Bach, di un Mozart?». Anche nei Quaderni, Cioran non manca di parlare della musica elevandola quasi a livelli mistici. Non a caso, nella sua prima lettera, Bâlan scrive al filosofo sottolineando di averne letto la produzione letteraria e di aver compreso i «sensi metafisici della musica» attraverso questa lettura. Curioso che, solo qualche anno dopo, lo stesso Bâlan in uno passaggio di un saggio, dal titolo Le sens de la musique, scriva: «Amare la musica è cosa nobile ma trasformarla in credenza o in religione è aberrazione». Cioran l’aveva collocata al di sopra della teologia e in un moto di disincanto aveva scritto a Bâlan che «bisogna restare fedeli a una sola cosa: la musica». L’ammirazione per Cioran, traspare molto chiaramente in questa lunga e appassionata corrispondenza, è comunque totale, e quando ad un certo punto in una lettera chiama “Maestro” il suo interlocutore, questi lo rimbrotta : «Smetta di definirmi così, la prego». Ma il tono dell’epistolario rimane sempre garbato e a tratti suadente. Bâlan rivela allo stupito Cioran (che scrive «lei è troppo appassionato per essere saggio») di volere scrivere un libro su di lui con l’intenzione di “riabilitarlo” in patria e si adopera per intraprendere un viaggio nei luoghi della memoria della gioventù di Emil riuscendo persino a parlare con il fratello di lui. Cioran, per temperamento, non sembra molto interessato alla popolarità, né in patria, né altrove, scrivendo di sentirsi più a suo agio nell’atemporalità («La storia – si rende conto vero? – non ha più nulla da offrirci») benché offra al suo aspirante biografo ogni contributo utile al suo progetto che diventerà, profeticamente per il teologo e musicologo, “gioia e maledizione”. Aldilà di quella che possiamo considerare la causa efficiente del rapporto epistolare che ben presto si tramuterà in sincera amicizia tra i due intellettuali, la cosa interessante è che in queste lettere Cioran disvela il suo rapporto tormentoso con Dio e la fede, ben lungi da averne una qualche nostalgia: «Sono certo di aver cercato Dio ma sono ancora più certo di avere fatto di tutto per non incontrarlo». Poco dopo chiosa: «Non sarebbe mai apparso nella mia esistenza se la mia solitudine non fosse stata più grande di me».
Ad impreziosire il volume, in appendice, il commovente ricordo che di Cioran e della loro splendida amicizia fa George Bâlan, che peraltro ha acconsentito alla pubblicazione delle corrispondenza intercorsa fra i due in questo volume. Un uomo, Cioran, di estrema gentilezza e calore che strideva con la visione oscura della vita che si legge nei suoi scritti. Riguardo allo scetticismo di Cioran circa la possibilità dell’uscita di un libro che lo riguardasse in Romania, Bâlan rivela che questa previsione si rivelò azzeccata per almeno 29 anni: il volume uscirà a Bucarest solo nel 1996, un anno dopo la morte di Cioran, e ne svelerà tutta la grandezza, oltre la stravaganza e la misantropia. Un altro tassello per rendere Emil Cioran patrimonio del pensiero universale, e – per dirla con Nicola Vacca – insuperabile “pugnalatore della sua epoca”.

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