I demoni di Gödel

Bruno Mondadori, 2008, pp. 253
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Se si potesse dare una definizione convincente della realtà matematica,
si risolverebbero molti tra i problemi più difficili della metafisica.
Se si riuscisse a includervi la realtà fisica li si sarebbe risolti tutti.

Godrey H. Hardly

Un incontro tra il rigore del saggio, gli estri dell’intuizione poetica e l’intricata fluidità del romanzo giallo; un’alienazione nel mondo (per taluni) ideale e astratto della formalità logica, nel fantastico regno delle Idee universali necessariamente perfetto dunque lontano dal suo gemello opposto in cui consumiamo il quotidiano. Un percorso a ritroso nella vita di quel giovane logico di Brno che a soli ventiquattro anni mise in crisi il mondo logico-matematico con un teorema insuperato ed insuperabile. Ecco cos’è I demoni di Gödel. Logica e follia di Pierre Cassou-Noguès (Bruno Mondadori, Milano 2008): un viaggio nella vita di Kurt Gödel, un giallo tra fobie, inquietudini, ansie e donne; demoni, angeli e numeri, tutto non casualmente posto, bensì meravigliosamente armonico, curato e ben costituito grazie al continuo supporto e la minuziosa analisi dei testi gödeliani e le ottime capacità espositive dell’autore. Di più: I demoni di Gödel è l’analisi dell’esistenza e dell’esistente, un fascinoso percorso in un mondo perfetto, incorruttibile e così profondamente razionale da condurre a “follia” ogni uomo che per sorte abbia avuto la (s)fortuna di esperirlo. Che sia questo il destino del razionalista?

Il saggio è diviso in cinque brevi, forse non troppo agili, capitoli: il primo dedicato ad una descrizione sommaria, ma ben curata, della vita di Gödel (La follia di Godel); il secondo a quella realtà non empirica nella quale sembrava vivere il logico stesso, troppo convinto che i suoi interessi filosofici non potessero essere ben accolti dallo spirito neopositivista del tempo per essere pubblicati (La realtà degli oggetti immateriali); il terzo al Teorema che valse a Gödel la fama di logico più importante della storia, secondo solo ad Aristotele (L’incompletezza); il quarto, una breve digressione su Emil Post (come recita bene il titolo, Il caso Post: una breve digressione), semi-dimenticato nella storia della logica sebbene la sua sia un’opera tanto vicina a quella di Gödel stesso; infine il quinto, un capitolo interamente dedicato alla metafisica gödeliana (Elementi di metafisica), in stretta continuità sia con il primo che con il terzo capitolo. Il testo, com’è chiaro già dal titolo e dall’articolazione dei capitoli, non è dunque l’ennesimo sulla spiegazione, dimostrazione e, soprattutto, interpretazione del Teorema. Non è l’introduzione all’incompletezza, piuttosto è una seria valutazione del pensiero e della vita di Gödel, nella quale la logica viene ad assumere una parte certo cospicua ma non assoluta.

Con la pubblicazione del volume al lettore italiano viene aperta, forse per la prima volta, la possibilità di considerare l’interezza della filosofia gödeliana e non più solo qualche sparuta citazione, nei testi più insoliti, volta a difendere la tesi più trita.

Il Gödel che emerge come fantasma riportato sulla Terra dalla memoria dei lettori e dai frequenti richiami ai suoi scritti, è molto più attento alle conseguenze metafisiche del suo teorema che a quelle matematiche, affascinato, rapito dall’incredibile mondo numerico, tanto da pensarli come prova ineluttabile dell’esistenza di Dio e degli angeli. La “follia” dunque della logica: non una patologia necessitante cure e particolari attenzioni mediche, piuttosto la “follia” del visionario, di colui che, a differenza dei più, riesce a vedere con occhi sempre nuovi non contaminati dai pregiudizi del sociale e – perché no? – della scienza. E per questo sembra, a ragione, “folle”: è il ribaltamento della “normalità” del senso comune.

Alla base del pensare gödeliano c’è la convinzione che il mondo sia profondamente razionale e non ci sia spazio per la casualità: è la monadologia del filosofo che più di ogni altro ha influito sul suo pensiero, Leibniz appunto, a convincerlo che tutto sia armonicamente costituito e rispetti leggi necessarie, perfette, divine per l’esattezza. Ma se Dio avesse sbagliato qualcosa nei suoi progetti? Forse le monadi potrebbero uscire dalla loro maestosa armonia e ribellarsi ai corpi che dinamicamente costituiscono: allora esse avrebbero il potere di uccidere, di disintegrare i corpi e con essi la realtà. Le fobie del logico sono le conseguenze dirette di un eccessivo spirito di razionalità, un razionalismo esasperato perché lì dove la conoscenza avverte la sua fallibilità, allora si apre lo spazio per l’indeterminato.

È il 26 agosto del 1930, Gödel ha solo ventiquattro anni quando, al caffè Reichsrat di Vienna, annuncia quella scoperta che andrà solo a consolidare la già avviata crisi sui fondamenti della matematica aperta anni prima da Russell sull’opera di Frege e che aveva portato Hilbert a voler dimostrare la completezza del sistema matematico, dunque dell’aritmetica elementare come sua costituente. Cassou-Noguès presenta brevemente e piuttosto informalmente il Teorema d’Incompletezza, con una lunga discussione sui sistemi formali e la macchina di Turing. Se il pensare gödeliano implica che necessariamente tutto debba poter essere conosciuto, eppure l’uomo sperimenta l’incompletezza dei sistemi conoscitivi, cosa resta del razionalismo a fondo le sue stesse tesi? È se è possibile che la matematica sia non la creazione divina, bensì la sua stessa essenza come poter manipolare simboli tanto estranei alla mente umana? È possibile conoscere solo ciò che creiamo deliberatamente, pertanto un oggetto che conosciamo solo in maniera imperfetta, o presuppone un materiale esterno a cui deve la sua origine, oppure rinvia a processi di creazione in una parte inconscia della nostra mente. Gödel sembra minare a fondo e distruggere le fondamenta del suo stesso credo: per quanto si possa infatti dire sul Teorema, resta che il suo autore fu profondamente turbato dalle conseguenze logiche che esso implicava. Se gli enti dunque postulati dalla matematica e dalla logica fossero determinazioni umane, allora essi sarebbero conoscibili in tutte le loro conseguenze e i loro sviluppi, ma dato che qualcosa travalica i nostri sforzi conoscitivi, evidentemente non siamo noi gli autori del mondo numerico. I numeri e gli angeli abitano un mondo a parte, un cielo d’idee al di sopra del mondo sensibile, così come i corpi abitano quello sensibile.

La sua metafisica era forse davvero l’indizio della “follia”, ma adesso che anche la logica è dalla parte degli angeli, di Dio e dei demoni, di monadi che prendono il sopravvento sul loro creatore, Gödel si sente fortemente turbato. D’altra parte, è davvero strano pensare come un teorema di logica matematica abbia potuto mettere in crisi un “paradigma” tanto consolidato nella storia del pensiero, ossia la completezza della matematica, e insieme contribuito ad alimentare la “follia” dei suoi cultori. Qualcosa che “si limita” ad asserire che ogni sistema formale tanto ampio da poter assiomatizzare al suo interno l’aritmetica elementare se è coerente non è completo, dunque non è altresì capace di dimostrare la sua stessa coerenza in virtù di ragionamenti che si esprimono nel sistema stesso ha cambiato la storia di tanti. Ma il dilemma è «forse la prima proposizione rigorosamente provata a proposito di un concetto filosofico»1. Se dunque esistono proposizioni indecidibili, all’interno di ogni sistema formale e coerente, quale posto assume il razionalismo gödeliano? La mente deve necessariamente risolvere tutti i problemi che è capace di porsi.

Sono questi i problemi che fanno della letteratura su Gödel una contorta interpretazione e reinterpretazione di ciò che il logico volesse significare senza troppe spiegazioni. Ognuno sembra “tirarlo” dalla propria parte e in tutto questo il volume ha il merito di non sbilanciarsi in troppi, arguti e banali commenti senza aver prima analizzato dovutamente i testi stessi di Gödel che, ricordiamo, tacciono per lo più dimenticati e impolverati negli archivi dell’Institute for Advanced Study di Princeton.Volendo dunque restare alle carte, egli credeva necessaria una “rivoluzione” all’interno della matematica perché fosse non fondata sulla meccanicità del ragionamento ma sulla potenza dell’intuizione. Se il cervello è niente meno che una macchina di Turing, un sistema formale (quindi incompleto) capace di processare un numero finito di informazioni grazie a regole interne di manipolazione (un numero finito di assiomi), la mente eccede ogni riduzionismo, dacché in virtù di “qualcosa” è capace di risolvere l’indecidibile (gödeliano). Edgar Allan Poe in Mellonta Tauta immagina un uomo del futuro che ami prendersi gioco dei suoi avi (ossia degli uomini del XX secolo), i quali rigorosamente rifiutavano ogni proposizione che non venisse dal metodo dell’a priori (deduttivo), o dell’a posteriori (induttivo), come se non conoscessero assolutamente niente dell’intuizione. Gödel è della stessa idea, ovvero che sia possibile superare l’incompletezza della matematica solo attraverso una sua reinterpretazione intuitiva, che la nostra sia dunque solo una tappa preliminare nel cammino della conoscenza: la nostra matematica non è un rispecchiamento del divino, non descrive un mondo ideale, piuttosto riproduce, per quanto possibile, il pensiero di Dio stesso. È tutto straordinariamente spaventoso negli incubi della vita gödeliana.

Tuttavia, ecco il punto, è impossibile che qualcuno operi tale rivoluzione matematica, perché il cervello umano è un sistema formale (incompleto), dunque capace di procedere solo per sistemi incompleti e necessariamente ogni attività umana è dettata dalle potenzialità del cervello stesso.

Nessun formalismo […] può abbracciare la totalità del pensiero astratto. […] Nessun formalismo che sappiamo esprimere pensieri corretti (e solo pensieri corretti) può cogliere tutto il nostro pensiero astratto2.

Ma se la mente oltrepassa ciò è necessario che il suo sia uno sviluppo che avvenga solo dopo la morte, in un’altra vita: uno sviluppo infinito e un’intuizione assoluta, capace di rilevare in un colpo solo l’universo matematico, sarebbero impossibili nel normale funzionamento della natura creata. Se Gödel tuttavia è erede della metafisica di Leibniz, allora Dio non può lasciare che tutto finisca al momento della morte, ma soprattutto il divino artefice non può essere un ingannatore e deve poter rimediare all’incompletezza logica del mentale umano garantendoci la vita eterna, una visione immediata della totalità e della verità. Resta aperta un’altra possibilità, quella del goethiano patto tra l’uomo e il demonio e dunque una conoscenza della verità non rimandata ad un’altra vita, bensì posseduta nella pienezza del tempo. È il Faust ricordato nelle corrispondenze con la madre a inquietare l’animo del logico. E se Dio perseguitasse i logici che cercano la Verità?

A differenza di Gödel, Emil Post patì davvero la follia, tanto da aver passato più tempo in clinica, sotto sedato con continue sedute di elettro-shock, che dietro la cattedra. Se il Teorema di incompletezza dimostra l’esistenza di proposizioni indecidibili per l’aritmetica dunque per la matematica, il progetto di Post è di gran lunga più ambizioso, tanto quanto irrealizzabile e irrealizzato: dimostrare l’esistenza di proposizioni assolutamente indecidibili. Gödel non ne fu mai pienamente convinto, il suo razionalismo impediva esiti tanto estremi di pensiero. Ma Post fu sfortunato, Gödel sembrava aver dimostrato un teorema insuperabile e il giovane Alan Turing aveva definito il pensiero finito e formale, progetto al quale anche Post lavorò duramente. La breve digressione di Cassou-Noguès non è tuttavia la storia di un fallimento, bensì quella di un folle amante della vita e del sapere e che forse come tutti gli innamorati finì la sua vita nella speranza di possedere quell’altrui vita desiderata mai interamente posseduta, la verità in questo caso. Abbiamo ragione dunque di credere che il Teorema di incompletezza e il progetto dell’indecidibilità assoluta di Post rappresentano, insieme, la massima aspirazione alla Mathesis Universalis di Leibniz e la costante consapevolezza della sua impossibilità.

La riflessione sulla vita è necessariamente una riflessione sul tempo, tanto quello dell’esistenza, quanto quello che la Teoria della Relatività einsteiniana ha brillantemente disfatto: il tempo si costituisce solo nel rapporto tra l’osservatore e l’osservato. L’universo gödeliano è immobile, fuori dal tempo – categoria (umana) del pensare il reale razionale e sistematico – e che tuttavia consente la possibilità di un viaggio a ritroso nel suo più intimo ventre: se l’universo non conosce tempo, allora nulla diviene, nulla scompare in senso assoluto. Anche qui Gödel è poco chiaro, si contraddice asserendo prima la possibilità del viaggio, poi l’impossibilità tecnica (come raggiungere la velocità della luce?) in un universo che di per sé si lascerebbe attraversare da “viaggiatori temporali”. Per quei paradigmi sul viaggio nel tempo a cui la letteratura fantascientifica ci ha abituato, sarebbe impossibile per qualsiasi soggetto modificare la vita, o semplicemente interagire con un altro soggetto in un altro mondo passato: la totale determinazione del reale esclude ogni modificazione non prevista.

E se il libro è, come accennavo inizialmente, un incontro non può non chiudersi con l’incontro stesso: uno strano individuo che atterra all’«International Agency for Space and Time Travel» spiega all’autore del testo di aver vissuto – in un dialogo che insieme a quello introduttivo è emozionante, avvincente, romanzesco, incredibile, forse il culmine della prosa di Cassou-Noguès – quella stessa vicenda un indefinito numero di volte e che tutto indefinitivamente si ripeterà come un eterno viaggio nell’illusorietà del fluire temporale. Come se il lettore debba prima faticare attraverso l’incompletezza logica e la metafisica degli angeli e dei demoni ed insieme a lungo attendere per quell’incontro atteso in cui lo stesso protagonista del libro si svelerà ai suoi lettori. E come tutti gli incontri anche quello con Gödel regala una meravigliosa possibilità: lasciare che esso modifichi la percezione della vita e con essa della realtà, o lasciare che passi via, inosservato. E se qualcuno pensasse che in fondo non ci sia nulla da imparare dalla “follia” di un logico, allora questa è proprio la ragione per leggere ancora un libro in più.

Suggestionati forse dalla lettura del testo, sembra quanto mai lecito credere che se fin dagli anni della sua diffusione il Teorema d’incompletezza fosse stato accompagnato dalla summa del pensiero gödeliano e ad esso giustamente associato, forse non ne sarebbero state avanzate le più estrose interpretazioni, né tanto meno si sarebbe configurata una così netta distinzione tra il teorema, oggetto del culto3 di generazioni di logici, e la sua filosofia, erudizione per filosofi perdigiorno. Forse allora che in fondo anche Cassou-Noguès ha voluto scrivere sul teorema, facendo però, a differenza di molti, una lunga premessa (il libro intero) per poterlo meglio comprendere, non alla luce di un nuovo formalismo in cui esprimerlo, bensì attraverso i sentimenti e le inquietudini che erano proprie di Gödel. Se nonostante le attente 253 pagine e la ben articolata, romanzata, trattazione, il testo sembri mancare nel fornire al lettore quella chiave d’accesso al pensiero del logico, che di fatto renderebbe più facile l’interpretazione dei suoi lavori, più che di Cassou-Noguès il demerito – se così vogliamo chiamarlo – è proprio di quel genio folle e terribile tanto assorto nei suoi patimenti da dimenticare di lasciare, a noi posteri, un’attenta visione della sua vita. Pensieri contraddittori, frasi sconnesse dalle altre, prive di senso, periodi in cui sembra prevalere una tesi, altri in cui è l’opposta a far da padrona. Un labirinto quella vita, alla quale sembra mancare ancora un’uscita.

È pur vero che la polvere sia abbondantemente caduta sulle sue carte, ma volutamente Gödel ha nascosto, ancora in vita, gli appunti filosofici e chissà forse, convinto razionalista quale era, nell’idea che i tempi a lui contemporanei non fossero ancora maturi per la rivoluzione matematica e dunque nella speranza che in un periodo a lui posteriore gli uomini, così come quelli di Mellonta Tauta, avessero abbandonato la rigidità degli schemi di pensiero e fossero spediti, non nella ricerca, ma nell’intuizione della verità. E se dunque oggi i tempi fossero maturi, allora da qualche parte del mondo qualche “folle” giocherebbe con demoni e teoremi, ma l’incompletezza ha distrutto la premessa razionalista da cui ha preso le mosse, la possibilità di superarla, dunque i tempi non saranno mai abbastanza maturi per l’intuizione logica. Essa non è propria del temporale.

8 responses to “I demoni di Gödel

  1. Stupendo, caro Emilio! Un recensione fantastica! Mostra cosa debba essere la logica, come non sia mai svincolata, 'astratta', 'formalistica'. Grazie davvero di questo scritto.

  2. Grazie ragazzi, ma il merito è anche vostro che attraverso questo spazio e il vostro esempio mi avete sempre incoraggiato a buttare giù qualche riga dopo la lettura dei testi. E poi naturalmente un grazie pubblico a Davide per i suggerimenti!

    Nella speranza che il lavoro possa continuare…

  3. Davvero una bellissima recensione! Complimenti.

    Caro Emilio, volevo chiederti se (ed eventualmente come) nel libro si parla della prova ontologica dell'esistenza di Dio costruita da Goedel. E' un argomento di cui mi sono occupato poco tempo fa e che mi intriga molto.

    Chi volesse approfondire, qui, cercando bene nella pagina, troverà la versione in PP di una mia conferenza tenuta per un circolo di matematici, nonché il mio saggio in word da cui l'ho ricavata (che peraltro è sfociato in uno scambio di e-mail con Odifreddi, che all'inizio non ha gradito ma poi ha finito con l'accettare la mia critica al suo modo di concepire la struttura formale della prova di Anselmo: lo scambio è disponibile in rete da qualche parte).

    Ciao!

  4. I capitoli sulla metafisica fanno molto riferimento al pensiero di Godel sul divino, sebbene manchino riferimenti diretti alla prova. Dal teorema emerge chiaramente la propensione di Godel al realismo matematico e quindi – nella sua "follia" – all'esistenza di angeli e demoni determinanti ogni cosa (sebbene il realismo a cui Godel fu intimamente legato risalga già dal 1925, ad un periodo quindi antecedente il Teorema stesso). Come scrivo nella recensione, Godel era un profondo razionalista, quindi se qualcosa travalica le nostre conoscenze e tutto DEVE poter essere conosciuto, evidentemente non siamo noi uomini gli artefici del mondo matematico: esso è indipendentemente dall'essere conosciuto (realtà matematica è uguale a dire Dio). Insomma, non ci sono riferimenti diretti nel testo (quindi nè formule nè argomentazioni logiche), ma dalle tante citazioni credo lei possa ben vederci.

    Francesco Berto ha scritto di recente un libro STUPENDO sul teorema, Tutti pazzi per Godel(edito da Laterza 2008) e nella seconda parte del testo (sono due in tutto) discute sugli esiti e gli sviluppi del pensiero godeliano.Credo sia veramente interessante per chi voglia capire l'importanza che il teorema ha giocato nella logica moderna (la sua dimostrazione logica) e sugli studi filosofici (il testo da me recensito invece è uno sguardo al pensiero di Godel). In particolare un capitolo è dedicato al platonismo matematico (realismo) che però è in lungo e largo confutato…quindi…anche per la matematica e la logica non credo ci sia tanto spazio per Dio.

    Ancora una parola a questo punto dovrebbe però essere spesa "sull'ontologia metafisica" a cui molti logici fanno riferimento e a cui in fondo Godel stesso credo pensasse scrivendo del divino. Non il dio della fede (Gesù,Allah…), bensì il dio Ragione. A riguardo rimando (in parte) a un mio breve appunto.

    Riporto una citazione di Gabriele Lolli dal testo di Berto sul realismo matematico p.191

    «

    Chi parla di enunciati aritmetici veri presuppone che la realtà di N sia direttamente accessibile alla conoscenza come lo spazio di Euclide, perché non dice come si faccia a stabilire che un enunciato è vero; la situazione non è diversa da quella di chi ha imparato fin da bambino a ritenere di avere conoscenze dirette su Dio, recepite in realtà attraverso i discorsi dei grandi; probabilmente ci si convince poi, assumendo di avere delle conoscenze, che gli esseri umani abbiano facoltà adatte a fornire quelle conoscenze, non analitiche ovviamente, in un caso la fede e nell’altro un’intuizione speciale»

    Esiste in ogni caso un testo edito da Bollati Boringhieri curato proprio da Odiffreddi sulla prova di Godel, ma non ho assolutamente idea di cosa si tratti.

  5. Emilio, il volumetto Boringhieri di cui parli alla fine è esattamente quello su cui mi sono basato io nella mia analisi della prova di Goedel dell'esistenza di Dio. Se vai al link che ho messo sopra e apri la mia presentazione in PP, trovi una esposizione esauriente del suo contenuto.

    Ciao

  6. In effetti mi sono reso conto della sua conoscenza del volume non appena ho finito di scrivere il commento precedente e ho aperto il link indicato. non appena lo leggo le farò sapere.

    Grazie

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