Il discorso sociologico della tarda modernità

Il Nuovo Melangolo, 2007
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La sociologia della conoscenza, la sociologia politica, la filosofia politica e la scienza politica sono delle discipline autonome che però vanno congiunte nel momento in cui si intende «rivalutare il carattere ermeneutico delle scienze sociali», dacché da sole esse non sarebbero sufficienti per comprendere appieno la nostra contemporaneità sociale politica e ontologica, meglio definita come «tarda modernità». Questa la programmatica premessa di Francesco Giacomantonio nel suo Il discorso sociologico della tarda modernità. Individui, identità e democrazia (Il Nuovo Melangolo, 2007), presentato nel 2004 come tesi di dottorato di ricerca in Filosofie e teorie sociali contemporanee presso l’Università di Bari.

L’agile volume affronta propedeuticamente (nel primo capitolo) i concetti di modernità, postmodernità e modernizzazione rivisitandoli alla luce delle più importanti teorie sociologiche e filosofiche (Touraine, Giddens, Lyotard, Habermas, Beck e Bauman per dirne alcuni); tale analisi costituisce la base teorica per discutere (nel secondo capitolo) della soggettività tardo-moderna e in particolare (nel terzo capitolo) dei rapporti di questa con la sfera politica. Tali rapporti diventano oggetto della seconda parte del volume, nei cui capitoli si discute ampiamente della democrazia, dei diritti umani, del cosmopolitismo e della globalizzazione in maniera assolutamente puntuale e seria; per infine enucleare i limiti del – e le principali critiche al – modello democratico occidentale.

Pare opportuno rendere rapidamente conto delle principali asserzioni che l’autore propone su questi temi – che sono ampi e diversi – per dare più spazio a quest’ultimo oggetto del volume. Innanzitutto, cos’è la postmodernità? Per Giddens rappresentava la radicalizzazione estrema delle categorie moderne, mentre Lyotard la definiva una sorta di “salto discontinuo” rispetto al passato, «rispetto alla semplice modernità». «Perciò il dibattito tra modernità e postmodernità è inquadrabile essenzialmente come un dibattito tra ragione e nichilismo, tra gerarchia e eguaglianza, tra un modello olistico e inclusivo dell’ordine sociale e uno individualista ed esclusivo» (p. 21). A dispetto di ciò, la tarda modernità conserva «una parziale continuità con la modernità, mentre la postmodernità è intesa come un balzo sostanziale che non permette più un legame diretto con la modernità, è intesa cioè come un balzo che, in buona misura, è anti-modernità» (pp. 31-32). La cultura dell’epoca attuale viene definita “narcisistica” e, sulla base delle letture di Lasch e Bauman, «si fa strada l’idea della precarietà e della sopravvivenza come elementi con cui i soggetti contemporanei devono confrontarsi» (pp. 50-51). In gioco è il rapporto con la tecnologia: da un lato, la negazione dell’individualità tenta di ripristinare l’illusione di un’unità tra uomo e natura e, dall’altro, tale spinta definita narcisistica non è altro che un prodotto del processo di globalizzazione acceleratosi nell’ultimo ventennio. Oggi

la tradizione, a causa dell’enfasi posta sul momento dell’innovazione viene rigettata; la religione perde molta della sua efficacia rassicurante a causa soprattutto della nuova percezione più immediata del tempo che vanifica la procrastinazione del godimento e i sacrifici in vista di obiettivi morali; i gruppi di riferimento tradizionali cui l’individuo si appigliava, come la famiglia e la nazione sono divenuti inaffidabili; il lavoro diventa una dimensione di sempre più difficile accesso e, spesso, anche quando esso viene raggiunto non soddisfa adeguatamente l’aspettativa di integrazione dell’individuo, forse perché in genere le attività lavorative si mostrano squilibrate rispetto alla preparazione che è stata necessaria per il loro raggiungimento (p. 77).

Risulta così che l’autonomia e la centralità dell’università e del sapere in generale perdono la loro rilevanza, con la conseguenza che la società tende a non interrogarsi più su se stessa «e che le sue dimensioni tradizionalmente più importanti, dal lavoro all’istruzione, dall’etica ai sentimenti sono schiacciate sull’istante» (p. 55). L’individuo è oggi propriamente schiacciato – dice in maniera piuttosto efficace ancorché cruda Giacomantonio – dalle «intemperie teoretiche e morali del pensiero occidentale» (p. 43), teso verso una vera e propria «estremizzazione di un processo di civilizzazione». Ora, la tarda modernità – viene spiegato – tende ad affermare «più il problema dell’identità che non quello della soggettività, ovvero più il problema della collocazione che quello dell’azione» (p. 37). A questo proposito, Touraine – ricorda Giacomantonio – notava che «la pruduzione del soggetto è possibile solo se la coscienza non separa né il corpo individuale dai ruoli sociali, né le figure antiche del soggetto dalla volontà presente di costruire se stesso come persona» (p. 60). Dal soggetto alla sfera politica il passo è breve: questa si contraddistingue, rileva l’autore, per l’autorità e per l’interesse. Entrambi questi aspetti però non l’hanno preservata da una “crisi dell’agire politico”; va compreso infatti che «la crisi della sfera politica, della libertà e dell’agire soggettivo è il risultato di una condizione sociale, quella della tarda modernità riflessiva, la cui più grande aporia si realizza nella mancanza di una dimensione adeguata all’instaurarsi delle mediazioni politiche» (p. 81). Ecco l’urgenza di un’analisi della democrazia occidentale, che viene condotta in buona sostanza sul fronte dei diritti umani e su quello del cosmopolitismo. Per quanto riguarda i primi, rintracciati tanto nelle politiche quanto nelle ideologie, la «crisi sostanziale» è chiara quando si attesta che la loro difesa è «diventata il linguaggio per legittimare l’attività di intervento delle forze armate occidentali dal 1991 ad oggi» (p. 92): molto efficacemente Giacomantonio rileva che, invece, «adottare i valori occidentali insiti nei diritti umani non dovrebbe implicare il fatto che si debba dare a tali valori anche un contenuto occidentale» (p. 93). Per quanto riguarda il cosmopolitismo, esso viene definito «la dottrina che nega le divisioni territoriali e politiche, affermando il diritto dell’uomo e, in particolare, dell’intellettuale a definirsi cittadino del mondo» (p. 98), tuttavia tale definizione può trascurare la banale e logica costatazione che l’unità politica è un paradosso della storia umana dacché, per sua essenza, essa non può essere al tempo stesso universale e determinata dal contesto, dal quale necessariamente la società partorisce la propria specifica dimensione politica.

In un’ottica più generale, viene infine discusso il senso della democrazia nel nostro tempo, tra vantaggi e limiti. Se, da un lato, «il modello democratico consensuale si mostra più adeguato per garantire la transizione alla democrazia, [dato che] più si avvicina agli elementi di mutua persuasione e connessione, in luogo dell’interesse individuale e dell’attaccamento al potere» (p. 129), sembra ostacolare la tirannia, concede diritti minimi garantiti (la libertà, l’autodeterminazione, il progresso, l’uguaglianza politica), tende alla pace e alla prosperità (tutto ciò secondo i teorici della politica cui Giacomantonio dà credito), dall’altro la democrazia contemporanea presenta diverse difficoltà. Prima fra tutte la crescente complessità sociale: «il sistema di tipo democratico […] non è adeguato, sotto molti aspetti strettamente funzionali, alle condizioni di complessità in cui la società occidentale si trova […] perché le soluzioni politiche richiedono un consenso che è diventato difficile da ottenere con procedure formali» (p. 133). Non mancano altre problematiche, tra le quali il fatto che

i protagonisti della vita politica nelle società democratiche attuali sono non degli individui, ma sempre più le grandi organizzazioni pubbliche e private, partiti e sindacati; […] l’assenza di cultura politica, a causa del conformismo di massa e l’apatia politica; accanto alle élites democratiche si sono affermati gruppi impegnati nella rappresentanza di interessi particolari; famiglia, scuola e istituzioni sanitarie continuano a essere rette da criteri sostanzialmente non democratici; persistono, soprattutto negli ambiti dell’economia e delle comunicazioni di massa, logiche di potere nascosto o invisibile (p. 134).

Non ultima, il fatto che «è difficile bilanciare il bisogno di autonomia da parte dei rappresentanti politici o dei burocrati con la necessità di limitarne l’autonomia per garantirsi della loro attendibilità» (p. 155). In poche pagine viene anche indicata la serie di passaggi storici cruciali che hanno condotto all’«instabilità della democrazia contemporanea».

Il testo si presenta come una lettura dotta e ben condotta, accompagnando il lettore attraverso temi molto diversi per quanto legati indissolubilmente. Le tesi che vengono avanzate si possono rintracciare con più facilità nelle considerazioni finali che, appunto, chiudono il volume. Giacomantonio ha tentato in esso di mostrare i rischi celati dietro progetti di «democrazia allargata attraverso l’avvicinamento tra forme di socialità, di civiltà diverse» (p. 159), di cogliere nella società tardo moderna una degenerazione «che si può verificare […] sia che l’individuo si apra al mondo, sia che egli si chiuda in se stesso» (p. 164), di intravedere «sottosocietà e controsocietà, che scorrono parallele alla società “istituzionale”, più che in ogni altra fase storica» (p. 165), fase nella quale «la democrazia è ormai intesa […] solo come chiave di distribuzione di indennizzi conformi al sistema, ossia come un regolatore per il soddisfacimento di interessi privati: questa democrazia può rendere possibile il benessere senza libertà […], è una poliarchia, è rappresentativa e si sviluppa in verticale» (p. 170), manca di valori – di senso – e non permette di sviluppare valori “orizzontali” come, ad esempio, il cosmopolitismo.

Parte interessante – per quanto minima – del volume è dedicata a questioni metodologiche. Posto che «i paradigmi epistemologici della filosofia e delle scienze sociali, attraverso cui studiare la dimensione politica, sono divenuti inadeguati o, quantomeno, non sufficienti, a sviluppare una concezione valida della democrazia» (p. 132), Giacomantonio – nonostante valga quanto qui detto in apertura – giudica di primaria importanza la sociologia della conoscenza nello studio della teoria della democrazia, conferendo a questa disciplina il suo senso più filosofico. Tant’è che, conclude l’autore (con un “forse” di troppo), «il discorso sociologico della tarda modernità mostra che abbiamo ancora bisogno di studiare gli uomini, le idee e la loro interazione all’interno della società: la filosofia può così continuare ad avere almeno un fine, nell’epoca in cui troppi, forse incautamente, ne denunciano la fine» (p. 171).

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