L’anima e il suo destino

Raffaello Cortina, 2008
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La fallace teologia filosofica di Vito Mancuso

Ed eccola la tanto attesa risposta teologico-filosofica italiana all’ondata di libri contro la credenza religiosa scritti negli ultimi tempi da certi cattivoni atei e materialisti, da Dennett e Dawkins a Odifreddi e Ferraris. Il libro è uscito da poche settimane nella prestigiosa collana “Scienza e idee” della Raffaello Cortina diretta dal noto filosofo della scienza Giulio Giorello (un altro cattivone laico che si è proclamato miltonianamente “di nessuna chiesa”), reca in copertina una fascetta rossa che lo proclama pomposamente, con le parole non a caso di Panorama, “Un autentico caso editoriale e culturale”, ed è preceduto da una lettera paternamente affettuosa di Carlo Maria Martini, maestro spirituale dell’autore. Stiamo parlando di L’anima e il suo destino di Vito Mancuso, genitori siciliani, classe 1962 e professore di Teologia moderna e contemporanea all’Università San Raffaele di Milano.

Arrivando alla prima delle 317 pagine del volume, scandito in dieci capitoli e una Conclusione che comprendono in tutto 129 brevi paragrafi, ci si imbatte in un incipit che fa tremare le vene e i polsi per l’ambizione del progetto: «Il principale obiettivo di questo libro consiste nell’argomentare a favore della bellezza, della giustizia e della sensatezza della vita, fino a ipotizzare che da essa stessa, senza bisogno di interventi dall’alto, sorga un futuro di vita personale oltre la morte. L’argomentazione verrà condotta di fronte alla coscienza contemporanea, in particolare a quella sua parte scettica, se non addirittura atea, la quale ritiene che non vi sia nulla di superiore all’immane potere della morte». Argomentazione? Coscienza scettica se non addirittura atea, cioè laica (come si legge subito dopo)? Una teologia che, come si legge alla fine del primo paragrafo, vuole dialogare con la filosofia e la scienza per costruire un discorso rigoroso e non confessionale su Dio? Uhm, la mia coscienza atea che nuota tra filosofia e scienza non resiste al richiamo e si dispone all’ascolto.

Intanto, vado all’indice dei nomi e scorgo alcune assenze che mi insospettiscono: Hume, Russell, Popper, Dennett, Dawkins, Odifreddi, Flores D’Arcais e Giorello. Come? Filosofi, logici, epistemologi e scienziati laici particolarmente sensibili ai problemi filosofici e metafisici sollevati dalla cosmologia e della biologia, alcuni dei quali (Hume, Russell, Dennett e Dawkins) hanno avanzato argomenti irresistibili contro l’idea stessa di un principio divino – una Mente, il Logos – alla base della “natura-physis” o “essere-energia” (per riprendere le espressioni care a Mancuso), sono totalmente ignorati in un libro teologico che si propone di dialogare con la scienza e la filosofia? E chi saranno mai, a parte filosofi ad hoc come Teilhard de Chardin (di cui considera “santo” anche il nome: cfr. p. XV), gli scienziati contemporanei con cui “dialoga” Mancuso? Ecco quelli chiave: Fritjof Capra (l’autore del celebre Il Tao della fisica), Paul Davies, Ilya Prigogine, Christian de Duve e persino Einstein, dei quali, con notevole furbizia e non poca faccia tosta, Mancuso cita alcune affermazioni metafisiche che non escludono la possibilità che nelle leggi della fisica sia inscritta una tensione essenziale verso la nascita e lo sviluppo della vita. Da queste affermazioni, prese per asserzioni scientifiche solo perché pronunciate da scienziati, il nostro teologo “deduce” il necessario finalismo di stampo aristotelico che fa del cosmo un luogo orientato amorevolmente alla comparsa dell’uomo, della sua anima e quindi della sua stessa immortalità personale, che sarebbe la “quinta discontinuità” cosmica (§ 45), dopo le prime quattro rappresentate dall’origine della materia dal Big Bang, dalla nascita della materia organica, dalla comparsa dell’intelligenza e dall’emergenza da quest’ultima della moralità e della spiritualità (cfr. § 43).

Quando poi Mancuso dedica un paragrafo (il decimo) al “primato del Logos”, basandosi sul discorso di Ratzinger a Ratisbona, e cita con grande approvazione e senza ulteriore commento il celebre argomento del Boeing 747 di Fred Hoyle (la nascita casuale della vita è paragonabile per improbabilità a una tromba d’aria che, spazzando un ammasso di rottami, assembli accidentalmente un Boeing 747), per concludere che la teoria casualista dell’origine della vita è ‘scientifica’ quanto l’affermazione che la casa di Maria è stata trasportata dagli angeli da Nazaret a Loreto (cfr. § 44), si capisce immediatamente che egli non ha mai letto o compreso una parola di Dennett e Dawkins. Il primo, infatti, contro la versione lockiana della tesi del “primato della Mente” (Saggio sull’intelletto umano, IV, X, 10), filosoficamente molto più rigorosa di quella di Ratzinger, ha avanzato un’argomentazione gigantesca e devastante che costituisce tutto il monumentale volume del 1995 intitolato L’idea pericolosa di Darwin e che sviluppa, alla luce della potenza esplicativa dell’algoritmo della selezione naturale, alcune mirabili e occasionali intuizioni cosmogoniche messe da Hume in bocca a Filone nei Dialoghi sulla religione naturale. Mentre il secondo, ne L’orologiaio cieco (1986) e ancor più dettagliatamente nel recente L’illusione di Dio (2006), ha dimostrato con una forza argomentativa implacabile che l’argomento del Boeing 747 di Hoyle, lungi dall’intaccare il lavoro lento di “ricerca e sviluppo” compiuto dalla selezione naturale darwiniana (che non è affatto dominata dal caso, contrariamente a quanto sostengono i nemici del darwinismo come Mancuso), si applica più adeguatamente all’ipotesi del Dio Progettista originario, il quale, incorporando una complessità logica ben maggiore della complessità biologica che è chiamato a spiegare, si deve necessariamente veder assegnata una probabilità così bassa da risultare indistinguibile dallo zero.

Va dato atto a Mancuso che in più punti egli si discosta coraggiosamente dalla dottrina ufficiale della Chiesa, non mancando di criticare alcuni dei pilastri del cristianesimo tradizionale (come ad esempio la nozione di peccato, a proposito del quale sostiene che ce n’è propriamente solo uno che meriti l’Inferno: «la bestemmia contro lo Spirito», p. 232), e non si può non ammirarlo quando, a proposito di Giordano Bruno, scrive: «Bruciandolo sul rogo, la mia Chiesa ha tolto all’Occidente la possibilità di fondare il senso della giustizia e del bene sull’ordine naturale. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti» (p. 20). In tutto ciò egli è guidato però dall’idea un po’ esaltata che, laddove le sue opinioni sembrassero eterodosse, esse sono a suo parere «pienamente ortodosse rispetto alla verità immutabile di Dio quale bene, sorgente e meta della vita del mondo» (p. XV).

Ma non è di Principio Ordinatore immanente, Principio personale trascendente, anima, immortalità, peccato, paradiso, purgatorio, inferno e limbo, temi ampiamente trattati da Mancuso, che qui voglio parlare. La mia coscienza atea mi impedisce di prenderli sul serio per più di cinque minuti anche con tutta la buona volontà di questo mondo. A me interessa il nocciolo della sua argomentazione filosofica, esibito chiaramente e, ahimè, disastrosamente, nel § 44, intitolato “L’origine della vita”. La domanda delle cento pistole è: Perché mai a un certo punto della storia dell’universo è uscita la pallina rossa della vita? Dovendo scegliere fra tre spiegazioni possibili (le uniche che egli riesca a vedere, e già qui si colgono dei limiti enormi nella sua millantata conoscenza delle teorie scientifico-filosofiche in campo), cioè fra il “caso”, il “miracolo” e la “necessità intrinseca”, egli dichiara di abbracciare la terza: «se è uscita l’unica pallina rossa della vita, è perché doveva uscire proprio lei. Dagli informi gas primordiali doveva scaturire la vita. Io sostengo che vi è una finalità intrinseca nella natura, esattamente quella medesima teleologia di cui parlava Aristotele, che so bene essere un supremo tabù per molti biologi contemporanei» (pp. 116-117). Questo passo così candidamente pretenzioso mi ha fatto venire subito in mente un paio di pagine de L’idea pericolosa di Darwin (§ 7.3, tr. it. Bollati Boringhieri 2002, pp. 208-209) in cui Dennett smaschera implacabilmente l’imbarazzante errore puramente logico contenuto in questo tipo di inferenza, classicamente adottata dai sostenitori della versione “forte” del cosiddetto “principio antropico”. L’argomento del tipo di quello adottato da Mancuso non è un tabù, come egli sostiene allegramente, ma una banale fallacia logica che può essere illustrata in maniera semplicissima. Come nota Dennett, nella sua forma “debole” e innocua il principio antropico si basa su una normale applicazione della regola del modus ponens: «se x è una condizione necessaria per l’esistenza di y e y esiste, allora x esiste». In simboli, si tratta del teorema: (((y → x) & y) → x), in cui il “Dev’essere vero che” sta rigorosamente all’inizio della formula. Essa, infatti, non dice che x o y o entrambi sono necessari, ma che è necessario che se y → x e si dà anche y, allora si “deve” dare anche x, dove x e y, nel caso delle scienze empiriche, sono eventi (o descrizioni di eventi) contingenti. La necessità, qui, consiste solo nel fatto che x deve darsi affinché si dia y; il che non significa affatto, come invece pensano erroneamente quelli che argomentano alla maniera di Mancuso, che x e y siano necessari in assoluto. Scrive Dennett: «Riconosco che mi è difficile credere che un tale equivoco e una tale controversia siano stati generati in realtà da un banale errore logico, ma si hanno prove concrete che spesso questo corrisponde al vero, e non soltanto nell’ambito delle discussioni sul principio antropico. Si considerino gli analoghi equivoci che circondano la deduzione darwiniana in generale. Darwin deduce che gli esseri umani devono essersi evoluti da un antenato comune agli scimpanzé e che tutta la vita deve essere emersa da un unico principio, e alcuni, in modo inspiegabile, interpretano queste deduzioni come la tesi che gli esseri umani siano in qualche modo un prodotto necessario dell’evoluzione, o che la vita sia una caratteristica necessaria del nostro pianeta. (…) Quanti credono nel principio antropico (…) pensano di poter dedurre qualche cosa di meraviglioso e stupefacente dal fatto che noi osservatori coscienti siamo qui – per esempio, che in qualche senso l’universo esiste per noi, o forse che noi esistiamo affinché possa esistere l’universo nella sua totalità, o addirittura che Dio ha creato l’universo come l’ha creato affinché noi fossimo possibili».

L’argomento di Dennett, in sostanza, è questo. Che cosa significa, ad esempio, dire che il DNA è una condizione necessaria per l’esistenza degli organismi multicellulari come noi? Significa semplicemente che il DNA deve esserci affinché tali organismi siano possibili, i quali costituiscono così una condizione sufficiente per l’esistenza del DNA. In termini logici questo si traduce così: l’esistenza degli organismi multicellulari come noi implica l’esistenza del DNA (e non viceversa!), e siccome noi esistiamo, allora anche il DNA deve esistere. Ma questo non equivale a dire (come sostengono i finalisti alla Mancuso) né che l’esistenza del DNA sia necessaria in sé, cioè da sempre prevista dalla Natura, né che gli organismi multicellulari come noi siano un prodotto necessario, e addirittura da sempre ‘voluto’ dal Progettista divino, del DNA. Infatti, la molecola del DNA poteva tranquillamente non formarsi e inoltre non c’è contraddizione nel pensare a un mondo dove ci sia il DNA e non ci siamo noi (del resto è stato così per alcuni miliardi di anni). Viceversa, non abbiamo alcuna possibilità di concepire un mondo in cui ci siamo noi ma non c’è il DNA. L’inferenza alla Mancuso, quindi, è un puro e semplice errore logico che nasce da un fraintendimento del condizionale e del modus ponens.

È vero, aggiungo, che il teorema precedente implica la versione modale della regola del modus ponens: ((y → x) & y)x, che apparentemente sostiene un’inferenza come quella di Mancuso. Ma qui x e y diventano enunciati dimostrabili, ovvero descrizioni di ‘fatti’ logico-matematici necessari che nulla hanno a che vedere con i fatti tutti contingenti del mondo in cui viviamo, come la combinazione antropica delle costanti fisiche fondamentali, la formazione degli elementi chimici pesanti e delle molecole inorganiche, la sintesi delle proteine, la comparsa degli organismi multicellulari e la nascita dell’Homo sapiens. Chi ha voglia di sostenere il contrario, cioè che nel mondo possono darsi fatti logicamente e ontologicamente necessari, si autoinfligge un onere della prova filosoficamente insostenibile e scientificamente disperato. Questa cosa ovvia Mancuso avrebbe potuto acquisirla adeguatamente se solo avesse meditato almeno sulla proposizione 5.634 del Tractatus di Wittgenstein, anziché fermarsi a un innocuo aforisma sulla morte di sapore epicureo – «Il timore della morte è il miglior segno di una vita falsa, cioè cattiva» – contenuto nei Quaderni 1914-1916 (cfr. p. 196).

Qua e là, poi, si incontrano delle perle di dettaglio davvero esilaranti. Nel § 7, ad esempio, intitolato “Evoluzione ed evoluzionismo”, in cui Mancuso pretende di separare il “fatto” dell’evoluzione dalla sua “interpretazione” evoluzionista-darwiniana, sulla scorta di uno spericolato riferimento alla nozione di “slancio vitale” di Bergson (un altro fossile pseudofilosofico riesumato da Mancuso, insieme a quello di Teilhard de Chardin), si sostiene niente meno non solo che l’espansione dell’universo è “probabilmente la legge fondamentale della natura” (sic!), ma anche che la “generazione ininterrotta della natura, il motore dell’evoluzione” ne è la riproduzione in piccolo sul nostro pianeta, dato che, se l’espansione è una legge universale, essa deve valere anche localmente sulla terra (cfr. p. 15)! Per Mancuso, quindi, espansione dell’universo da un lato ed evoluzione e differenziazione biologica dall’altro sono praticamente la stessa cosa, o espressioni della stessa cosa (un ordine cosmico razionale, l’Ordine). Gli scienziati, va invece ricordato, quando paragonano la vita alle vere leggi fondamentali, come il secondo principio della termodinamica, sottolineano che una struttura vivente costituisce un’eccezione locale e transitoria all’aumento inesorabile dell’entropia nel cosmo.

Di fronte a un libro come quello di Mancuso, allora, è difficile non ripensare alla celebre conclusione della Ricerca sull’intelletto umano di Hume: «Se ci viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di metafisica scolastica, domandiamoci: Contiene qualche ragionamento astratto sulla quantità e sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale su questioni di fatto e di esistenza? No. E allora, gettiamolo nel fuoco, perché non contiene che sofisticherie e inganni» (ed. Laterza 1996, p. 261).

299 responses to “L’anima e il suo destino

  1. Aggiungerei alla critica che se si vuole ricavare la metafisica dalla fisica, quest’ultima deve essere conosciuta almeno quel tanto che basta per non affermare cose palesemente inesesatte.

  2. In effetti, per fare inferenze alla Mancuso, e soprattutto per farle bere ai lettori che vogliono sentirsi dire certe cose rassicuranti, è assolutamente indispensabile il non saper distinguere tra sapere abbastanza di fisica e credere di sapere abbastanza di fisica.

  3. Ottima recensione su un testo secondo me sterile, perché inopportuno l’autore. L’ho visto su “L’infedele” (La7) l’altro ieri sera insieme a Giorello (docente di Filosofia della Scienza a Milano), Flores D’Arcais (direttore di Micromega) e Schiavone (Rettore Istituto delle Scienze Umane) i quali lo tacciavano – a mio avviso con troppa bontà e dolcezza – di essere fermo ad un “teologia medievale”.
    Erano davvero inopportune le sue risposte capaci solo di mostrare di non aver capito o di evitare la domanda o la critica mossagli dagli illustri interlocutori, inopportuna l’ignoranza della fisica su cui intende basare la teologia che insegna a Milano.
    Un soggetto che per spiegare cosa sia il libero arbitrio dice: “L’uomo è assolutamente libero di scegliere la cosa giusta”, quello che dice Ratzinger in sostanza. Che teologo è uno che si esprime in questi termini?

  4. Quando sono di buon umore.
    Il fatto che Giorello abbia ospitato nella collana da lui diretta un libro come quello di Mancuso è in accordo con la sua idea di “tolleranza” (difesa ad esempio in “Di nessuna chiesa”), agganciata a una linea genealogica che ha come snodi cruciali Milton, Stuart Mill, Popper e Feyerabend. Certo, se si pensa che nella collana “Scienza e idee” il libro di Mancuso è il n. 162 e che il n. 159 è il meraviglioso Rompere l’incantesimo di Dennett, viene da ridere.

    Quando sono di cattivo umore.
    Il fatto che Giorello abbia ospitato nella collana da lui diretta un libro come quello di Mancuso è una pura questione economica. La fascetta sulla copertina strombazza 50.000 copie vendute in un mese, che è una cifra assolutamente insolita per i libri di questa collana. A un Editore fa comodo ospitare ogni tanto libri che faranno inevitabilmente cassa, oltre che grancassa. Non a caso nei “Ringraziamenti” Mancuso rivolge un insolito pensiero all’Editore e al direttore della collana per aver ospitato il suo libro. Insomma, per certi versi, e su scala opportuna, il libro di Mancuso può diventare “Il codice da Vinci” della filosofia neoguelfa italiota (che peraltro oggi è popolarissima, ahimè). E a queste cose la logica di mercato non ci sputa di certo. Tra l’altro, un paio di anni fa, in una trattoria di Piombino, davanti a una zuppa di pesce (avevamo fatto un convegno assieme sulla laicità per il locale Liceo Carducci), Giorello mi ha spiegato che per ogni copia venduta dei libri della collana da lui diretta prende una percentuale ridicola. Ergo

  5. Dal blog di Gad Lerner “parliamo dell’anima” 20/2/2008 post 84

    L’anima, Dio e la polis

    Siamo sicuri che fra anima e politica la separazione sia poi così netta? Sembra piuttosto che il credo religioso risulti diffusamente imperante in politica; dagli USA di Obama alla Francia di Sarkozy si fa un gran parlare di Dio. In Italia poi, sotto la sua ala protettrice, si continua a stipulare ogni genere di santa alleanza a destra, a sinistra e nel mistico centro.
    —–
    Per venire alla trasmissione di stasera, visto che il teologo cattolico Vito Mancuso con “L’anima e il suo destino” si è proposto non di distruggere, ma di “rifondare la tradizione” come egli afferma a pagina 168 del suo libro e considerata la presenza all’Infedele dell’ateo di ferro Flores d’Arcais, ci si domanda se non andrebbe stimolata ad hoc la rivisitazione degli abituali paradigmi interpretativi.
    Insieme a quella dell’anima, andrebbe dunque sollevata la questione ben più pregnante di ciò che significa la parola Dio la quale, nella lingua italiana esalta in modo particolare la ‘triadicità’ di un errante e dialettico ‘io’, la lettera ‘D’ essendo notoriamente legata alla figura del trangolo e risultando l”io’ toujours un autre.
    Dio e la ’sua’ anima potrebbero essere così rivisitati alla luce di una razionalità che sembra perdersi buddhisticamente in se stessa. Sia la ragione della fede che la fede nella ragione ne risulterebbero in tal modo alquanto depotenziate e rimesse in discussione.
    Come depotenziati ne risulterebbero i rispettivi dogmi e le loro traduzioni nella polis.
    L’opposizione ancora invalsa e strumentalmente gestita fra laicità e credenza risulta ormai fittizia: ogni credo è credo in un dio sia esso quello di Mosè che quello ecologico di Bateson. L’antitesi fra le diverse ‘fedi’ andrebbe sostituita con quella più pertinente fra a-teismo e forme di religiosità o di confessionalismo. Agli atei va tuttavia chiarito che la fede nella ragione non esaurisce affatto tutto il possibile. Il mistero rimane e resta anche, loro malgrado, la condizione ultima di ogni umana scienza. Ben diversa questione rispetto a quella che riguarda il rapporto fra mistero e scienza è invece quella che a nessuna chiesa più o meno ‘ragionevole’ è lecito voler imporre del mistero l’autentica ultima rivelazione. Parlare di anima può allora significare il riferirsi ad una dimensione psicologica ed ontologica che ponga in modo del tutto neutro proprio quel problematico rapporto fra la scienza ed il mistero che la avvolge, senza che alcun dio o ragione precostituitl se ne possano fare da garanti.

    Per continuare a discuterne PDemocraticamente:
    http://laicamente.ilcannocchiale.it/

  6. Considerate che comunque Mancuso è un teologo? Considerate che un teologo non è un ateo che non crede nell’esistenza di Dio? Considerate il coraggio che comunque ha avuto nel toccare argomenti intoccabili per la dottrina della Chiesa e che sono cardini del credo della nostra Chiesa? Io sono una credente che è in continua ricerca e che non usa la religione come oppio e credetemi per un credente che pensa, e ce ne sono molti più di quanto crediate voi atei, questo libro è molto interessante e ci induce a non fermarci nella nostra ricerca sulle origini della vita, dell’anima, della morte, del peccato e via dicendo.
    Non credete in Dio ma credete ancora in me: vivere con una fede è molto dura, molto più duro di quanto pensate voi.
    Io non sono studiosa come voi ma mi permetto di dirvi che
    ciò che mi ha sempre fatto rinunciare al dialogo con gli atei è il loro modo, molto fastidioso, di dialogare. Questi articoli me ne danno la conferma. grazie

  7. Cara Rita,
    ognuno trova le conferme che vuole trovare. Vuol dire che cercavi queste. Qui non c’è alcun dialogo perché sono – quelle qui espresse – opinioni personali; un dialogo è fatto di domande, risposte, chiarimenti, precisazioni, altre domande e via dicendo. Non è questo il luogo per trovare un discorso puntuale sulla questione. Una recensione, poi, è un lavoro rigoroso oltre che l’espressione di un punto di vista.

    Inoltre, consiglio di non confondere la teologia con la fede. La fede è una scelta, la teologia è lo studio RAZIONALE della realtà divina. Sarà vero che siamo studiosi: lo siamo perché non rinunciamo al rigore e alla logica. Un teologo, come un fisico un matematico un filosofo uno storico un economista e oni altro studioso, deve attenersi al rigore del pensiero e – come minimo – documentarsi su ciò che dice. Per questo ho detto che Mancuso – e chi come lui – NON PUO’ affermare delle ingenuità abissali sulla fisica quantistica (rispettando il suo progetto di basarvici la realtà di Dio) e presumere di essere teologo serio. Spero di essere chiaro, perché l’ultimo dei miei intenti (ora parlo a titolo personale) è quello di eludere un dialogo con chi ha fede; che invece rispetto (non si nasce mica atei).

    Grazie comunque di essere intervenuta, nella speranza che continui a farlo, con la stessa fiducia che accordo a te in questa occasione.

  8. Sottoscrivo quasi in toto quanto detto da Davide. Se avessi risposto per primo a Rita, da autore della recensione avrei detto più o meno le stesse cose. L’unico punto in cui mi discosto da lui è quando scrive: “Non è questo il luogo per trovare un discorso puntuale sulla questione”. Perché? A me questo sembra un luogo abbastanza adatto, perché lo si può trasformare in una sorta di filo di discussione come in un forum.
    Da quello che dice, Rita sembra aver letto il libro di Mancuso. Se è così, ci dica cosa pensa non tanto o non solo del modo fastidioso che abbiamo noi atei di dialogare con i credenti (per quanto mi riguarda, mi riconosco nel suo ritratto, è inutile nasconderlo, e ammetterlo mi pare un atto di onestà intellettuale) ma dei rilievi logicamente ed epistemologicamente precisi che sono stati mossi da me nella recensione e da altri nei commenti.
    Rita, tu dici: “Io non sono studiosa come voi”. Cosa vuol dire? Sei una studentessa di filosofia che si sente inadeguata a interloquire con un docente come me o con studenti come gli altri che sono intervenuti? E perché mai? Nessuno qui ha usato paraventi da studioso per scoraggiare gli altri. Sono state avanzate delle critiche che sono alla portata di qualsiasi normale studente universitario di filosofia o di qualsiasi cittadino mediamente colto e responsabile delle proprie azioni. O pensi che in materia di fede il metodo scientifico non valga? Se pensi questo, abbiamo un’occasione per parlarne. Potresti scoprire che sei vittima di un grave bias cognitivo che ha degli effetti disastrosi sullo stile di pensiero di un essere razionale, oppure, visto che ci esorti a credere in te, quelli come me potrebbero scoprire aspetti della vita mentale che gli sono preclusi e che vale la pena coltivare. Ma per fare queste scoperte devi essere anche tu disposta alla fatica del confronto critico duro.

  9. Ho segnalato la recensione di Marco Trainito sul sito delle palermitane Cenette filosofiche, nel quale si sta discutendo del libro di Mancuso:

  10. Ringrazio Davide e Marco delle risposte e noto l'enorme differenza tra le due risposte. Caro Davide anche io rispetto chi non crede e la mia risposta era solo per gli atei come Marco che non sanno dialogare con un credente senza stizza, come lui stesso ribadisce. Sicuramente, confermando che non sono una studiosa, Mancuso non conoscerà certamente gli argomenti da te menzionati. Non sono in grado di fare una critica come te che invece li conosci bene. Sbagliando ho creduto che in questo sito si poteva dialogare. Non sapevo che era strutturato in questo modo. Volevo solo dirti che è vero che la teologia è uno studio e non è la fede ma tu sai bene che in qualunque studio è l'uomo nella sua completezza che agisce e non esiste studioso, in quanto persona pensante, in cui non influisce il suo credo, la sua ideologia e altro. Anche lo storico dovrebbe essere solo narratore dei fatti e invece li narra secondo il suo punto di vista. Detto questo grazie ancora Davide.

    Ciao Marco stammi bene. Rita

  11. Di nulla, Rita. Mi sembra doveroso portare rispetto e cercare il chiarimento. Non rispondo in merito a quello che dici a Marco, però non posso nascondere che – a mio modo di vedere – hai notato della stizza laddove invece c'è stato un tentativo molto franco di sentire la tua opinione, come in qualche modo ho fatto io. Ma detto questo, vengo a quanto mi compete.

    Sono d'accordo sul fatto che qualunque uomo si lasci coinvolgere dalle proprie credenze, ma non significa che sia auspicabile. Nel caso della scienza ciò è proprio da evitare. Io non reputo possibile una teologia scienza, per questioni molto complesse che esulano da questo contesto. Però il fattore scatenante è che Mancuso non si pone come semplice teologo ma presume e pretende di fare teologia "a colpi" di meccanica quantistica. E allora vuoi dirmi che senso abbia? E' come pensare di parlare di fisica con gli strumenti del'arte magica medievale. Che senso ha? Addirittura non conoscendoli decentemente!

    Qui non serve essere studiosi, ma bisogna aver chiari ciò che si tenta di fare e cosa si vuol proporre. Mancuso tenta di fare teologia e propone una teoria di Dio che basi quest'ultimo sul Logos che a sua volta sposa appieno degli pseudo concetti scientifici. Insomma, non ha davvero fondamento argomentativo.

    Lo studioso lo capisce al volo, il "profano" (come per certi versi potrei essere anche io, bada) dovrebbe quantomeno stare attento a ciò che legge. Niente stizza, niente paraventi.

    Vorrei dunque sapere la tua, sull'argomento. E non mi interessa certo sapere quante lauree hai conseguito o quanti anni hai, dacché te lo chiedo senza saperli.

  12. Sbagliando ho creduto che in questo sito si poteva dialogare. Non sapevo che era strutturato in questo modo.

    Rita, ma dov'è che hai visto chiusuta al dialogo? E come sarebbe "strutturato" questo sito? Secondo me sia Davide che Marco, in modi diversi, hanno cercato il confronto con te. Se poi tu non vuoi esprimere le tue idee perché ti ritiene poco preparata, allora – scusami – ma il limite è tuo, non certo del sito o dei suoi utenti. E comunque, per evitare equivoci, io credo che per esprimere la proprie idee ed opinioni nessuno sia impreparato, altrimenti quelle idee ed opinioni non sarebbero le proprie!

    Insomma, anch'io ti incoraggio ad esprimere le tue critiche ed a rivalutare questo sito, che è ben più aperto di quanto immagini. Se lo ritieni opportuno, inoltre, puoi iscriverti al nostro forum e porre una nuova discussione sull'argomento!

    A presto,

    Giovanni

  13. Leggendo i vari commenti, trovo sempre la stessa costruzione: voler chiudere l'Assoluto nella logica razionale del Finito. Opera pittosto complessa e che comunque non serve all'uomo. L'uomo a bisogno di proiettarsi all'infinito. Una 90ina di anni di vita sono davvero poca cosa. Tober

  14. Tober, ti confesso di non aver capito bene il tuo intervento. Potresti dire più chiaramente a cosa ti riferisci in particolare?

  15. Semplice, difficile essere Ateo senza Dio; dunque smettiamo di voler chiudere l'infinito nel finito della propria ragione.

    Fino a Rousseau, si riteneva che l'uomo nascesse con un difetto: il peccato originale, ed era dotato dell'inteligenza per raggiungere il regno dei cieli. Dunque la vita era imperniata sul idea che dovesse essere una costruzione verso la perfezione. Poi questa impostazione è stata rovesciata, l'uomo nasce buono e la società lo corrompe. Allora non più la ricerca del bene perche uno nasce già bene. Gli altri diventano bene strumentale al proprio bene. Insomma una concezione Tolemaica dell'essere , cioè o il mondo gira intorno a se.

  16. Di che "infinito" parli, Tober? Chi è che vuole chiudere l'infinito nel finito? In che senso la ragione, che peraltro è in grado di pensare l'infinito, sarebbe "finita"?

    E poi, che c'entra Rousseau, citato come uno spartiacque nella concezione dell'uomo? La sua antropologia era sciocca e dopo di lui c'è stato di meglio (Darwin e Freud, per esempio).

  17. Freud? toglie speranza e responsabilità. Darwin= legge del più forte, positivismo che ha portato ai totalitarismi. La ragione non ha limiti, ma non è infinita, muore con l'uomo, che un finito. O no?

  18. Cara Rita, grazie a te!
    Mi fa piacere sentire le tue chiarissime opinioni. Se lo trovi interessante, possiamo discuterne nel forum. Crea un nuovo argomento…
    Nessun livello di istruzione è “semplice”, l’importante è quello che si sa e come si vuol imparare (oltre a: “se” si vuol imparare)!
    A presto.

  19. Carissimi,

    io non ho criticato affatto il sito, anzi lo ritengo molto interessante! Io ho criticato il modo di porsi a prescindere di alcuni atei e per questo ho fatto la differenza tra Marco e Davide. Forse hai ragione tu Marco, Davide voleva il dialogo quanto te ma sono abituata, ripeto, a trovare il dialogo con gli atei molto "arrabbiato". Questo perchè non si nasce atei?

    Comunque chiuso questo argomento io ho 44 anni e ho un semplice magistero in scienze religiose. Non ho conoscenze sulla fisica quantistica, anche se mi sto avviciando e sono una di quelle credenti in continuo dubbio e anche forte contestazione con determinate parti del clero. Sto concludendo di leggere il libro di Mancuso e anche io trovo un arrampicarsi ai vetri alcune spiegazioni riguardo l'anima. Sopattutto riguardo da dove viene l'anima, un po' meno dove va anche se molto discutibile.

    Sicuramente i punti toccati da Mancuso sono le verità che fanno venire al credente i dubbi ma certamente la sua spiegazione non toglie i dubbi. Riguardo certi dogmi si possono cercare delle spiegazioni, non tanto scientifiche quanto razionali che possono anche portare fuori dall'ortodossia ma credo che molti credenti le cercano, mi riferisco al peccato originale, alla salvezza, alla missione di Cristo. Non posso ora spiegare le mie idee sarebbe troppo lunga. Casomai lo farò in un altro momento. Su alcune verità ci vuole solo la fede.

    Per ora mi fermo qui e non so se sono stata abbastanza chiara. Grazie

  20. tober ha scritto:

    "Freud? toglie speranza e responsabilità. Darwin= legge del più forte, positivismo che ha portato ai totalitarismi".

    Caro Tober,

    lasciando stare Freud (sono tra quelli che hanno delle perplessità sulla scientificità della psicoanalisi, e ciononostante considero la sua antropologia abissalmente più fondata di quella di Rousseau), mi sembra che il tuo riferimento a Darwin tradisca la ben nota confusione tra la biologia evoluzionista (una scienza) e il darwinismo sociale (una sociologia razzista priva di fondamenti scientifici). Sei disposto a buttare a mare Darwin solo perché qualche imbecille ha fatto un uso ideologico e distorto di certe sue acquisizioni?

  21. Si, ma non solo per questo, ma anche perche il concetto evolutivo non spiega per nulla chi è l'uomo, ma caso mai come si è trasformato. L'evoluzione non esiste, cambiano gli strumenti e la capacita di adattazione ma l'essere rimane il solito.(ti risparmio l'es. dei topi che si addatano sempre di più ai vari veleni, dnq trasformazione ma non evoluzione)

  22. Ok, supponiamo che Darwin non possa aiutarci a dare una risposta alla domanda "Chi è l'uomo?" e supponiamo anche che tale domanda abbia un senso, ovvero ammetta una risposta di un qualche rilievo per noi. Ma ti chiedo: chi o cosa mai potrebbe darle una risposta?

  23. Difatti, non sappiamo da dove veniamo, chi siamo, quando moriremo,e dove andiamo. Da li l'insufficienza di voler racchiudere tutto al interno della ragione, cioè l'assoluto nel relativo. Comne diceva Heidegger ormai "solo un Dio ci può salvare" o Tommaso d'Aquino, Fede sorretta da ragione, non viceversa.

  24. … e siccome Dio non esiste, non c'è speranza, per fortuna (un mondo in cui fossimo spe salvi sarebbe un mondo molto diverso dal nostro, e forse non molto interessante, perché riceverebbe da un alieno il proprio senso). Abbiamo solo un po' di ragione per illuminare qualche tratto di strada prima del precipizio. Cosa vogliamo di più dalla vita?

  25. A dire il vero non guardo il mondo con gli occhi di Roquentin da una ventina d'anni, cioè da quando ho raggiunto l'età della ragione (questa sì che è un'espressione sartriana che sono disposto a prendere in prestito). Dietro il pensiero che un mondo retto da Dio sarebbe un mondo ben misero e insignificante c'è un altro ordine di considerazioni, assai lontano da quello di un Sartre.

  26. Ho salvato le sei cartelle della recensione di Marco Trainito. Sono il riassunto di tutte le obiezioni pseudoscientifiche ad un testo complesso e coraggioso.

    Dunque recensione utile. Il recensore invece si distingue per la sua attività di rottamatore. Rottama in sequenza Mancuso, Bergson, Theillard, Freud. In quanto a Giorello fa di più: lo rottama come imbecille quando la sua coscienza atea sia di buon umore e come complice di una bieca operazione commerciale quando l'umore non sia buono.

    Sopratutto Trainito rottama il dubbio. Strilla certezze e ingiurie. Dal basso della sua inutile conoscenza filosofica e della sua evidente ignoranza scientifica giudica e manda.

    Il dubbio è il motore della conoscenza. Lo predicava un povero greco pulcioso e nel dubbio hanno vissuto le coscienze senza aggettivi di tutti i pensatori veri, scienziati o filosofi che fossero. La coscienza atea di Trainito nuota vigorosa nel laghetto delle certezze e lo scambia per il mare.

    Speriamo che invecchiando abbia un soprassalto di consapevolezza. Auguri sinceri.

  27. Caro Paolo,

    vedo che non hai resistito alla tentazione di venire a fare il Troll pure qui, dopo aver seminato perle di alta coscienza critica nei commenti alla recensione di Alberto Biuso relativa all'enciclica Spe salvi di Ratzinger, il più grande coltivatore del dubbio socratico che la storia ricordi. O siete due Beati Paoli diversi?

    Dunque, vediamo. Dl libro di Mancuso sai dire solo che è "complesso e coraggioso". Benissimo: potresti fare qualche esempio significativo, a parte quelli già fatti da me quando gli riconoscevo un po' di "coraggio"? Le mie critiche, anche dure, le liquidi come espressione di arroganza e ignoranza scientifica. Benissimo anche qui. Ma io facevo degli esempi precisi, caro. Tu, invece, non hai usato uno straccio di argomento a sostegno dei tuoi insulti. Poi prendi degli abbagli clamorosi, che testimoniano o malafede o scarsa capacità di capire l'italiano: Giulio Giorello è un mio "idolo" filosofico (se così posso dire, cercando di rendermi comprensibile a chi, come te, sa cosa sono gli idoli), e in più mi onoro della sua amicizia. Che io gli abbia dato dell'imbecille puoi solo immaginarlo, se ti va. In quanto all'operazione commerciale, mi pare di aver detto una cosa semplicissima. Giorello si fa il mazzo a dirigere quella collana di testi in cambio di una percentuale ridicola sulle vendite (me lo ha detto lui stesso, come ho precisato). Di conseguenza, pubblicare un testo come quello di Mancuso è una cosa comprensibilissima in una logica commerciale, che non ho affatto definito "bieca", come tu hai malamente inteso, ma "pura" (e semplice), aggiungendo che nessun Editore sputa su una cosa del genere.

    Una cosa giusta, però, l'hai detta. Sì, insieme a Mancuso, rottamo i suoi principali riferimenti: Bergson e Teilhard. Se hai qualcosa in contrario e se, invece, li consideri pensatori ancora oggi degni di un qualche rilievo filosofico-scientifico, potremmo parlarne.

    Resto in attesa di tue illuminanti segnalazioni sugli errori che avrei commesso e che testimonierebbero della mia inutile conoscenza filosofica e della mia ignoranza scientifica. Educato al razionalismo critico, so che posso imparare solo dai miei errori. Per il resto, mi viene da ridere al pensiero di poter prendere da te lezioni sulla differenza tra dubbio e certezza.

  28. Caro Marco,

    sono un altro Troll, e per di più vecchio. La recensione è piena di insulti e certezze; si vede che la differenza tra dubbio e certezza ti rimane, per ora, chiara e risolta.

    In quanto alle rottamazioni serve cautela ma la cautela, come l'umiltà, si impara da vecchi. Tu hai tempo; te lo auguro lungo e operoso. Sono contento che Giorello ti sia idolo e maestro; allora attento a come ne parli, e magari imitane la misura.

    E' la conoscenza che genera il dubbio; l'ignoranza predica certezze. Leggiti qualcosa di Penrose, di Hawking, di Capra ( che dopo il Tao della fisica ha scritto molto ) di Laughlin e magari di Lao Tzu. Tutta gente piena di dubbi. Vedrai che ti fa bene.

    Poi: complimenti per l'italiano, hai una bella prosa. Molto bene la passione, vedi di regimarla. E abbi più rispetto per l'altrui lavoro, servirà a rendere più proficuo il tuo.

  29. Mi improvviso moderatore perché per ora non posso fare di più. Chiedo gentilmente a Marco di non rispondere ulteriormente a questa ennesima provocazione. Paolo, la prego di finirla qui con gli insulti gratuiti. Questo non è il luogo adatto.

    Grazie a entrambi.

  30. Ok, Davide.

    Solo due osservazioni rapidissime:

    1) più della metà delle letture consigliatemi da Paolo sono mie abituali frequentazioni;

    2) a suo tempo, mandai la mia recensioe a Mancuso, il quale mi rispose, via e-mail, con un bel "Gazie". Evidentemente, Mancuso è persona che capisc perfettamente che la mia recensione, malgrado il tono duro e a tratti sprezzante, è il frutto di una meditazione seria, che per rispetto intellettuale ha messo in campo non slogan e insulti, ma l'artiglieria pesante della logica, oltre alla precisione nei riferimenti, alle critiche motivate e alla chiara esibizione del punto di vista dello scrivente.

  31. mi trovo qui,in questa discussione interessantissima,per caso.Stasera ad Enigma si parlava di sette sataniche,e'intervenuto tra gli altri ospiti,tra cui Umberto Garimberti,l'autore del libro che su questo forum ha dato uno spunto a molti di esprimere le proprie idee e conoscenze.premetto che guardo poca televisione,e quindi non ho avuto modo di conoscere,prima, "dal vivo", Vito Mancuso.Ho ascoltato i suoi interventi,la "pubblicità" del libro,e a fine trasmissione,mi sono precipitata su internet,a cercare la recensione del libro,ad essere sincera ho sbagliato anche cognome nella ricerca,ma il titolo del libro era giusto.Ora Ciò che mi ha spinta ad interessarmi del"l'anima e il suo destino" è stato l'argomento trattato.[Per la perdita di una persona amata,mi trovo ancora oggi a cercare un senso alla vita,che ho perso da tempo, e mi sono spesso imbattuta, spinta dalla disperazione, in libri che non mi davano alcuna risposta,anzi ne uscivo delusa dalla lettura,col tempo ho imparato che il senso della vita devo cercarlo nella vita stessa, non nei libri(ho visto il bellissimo film di Olmi Cento Chiodi)].Del Forum ho apprezzato la vivacità della discussione,le argomentazioni valide e critiche di marco e davide,e le critiche mosse da rita,le provocazioni di paolo.Non mi dilungo di più,anche perchè sono stanca a quest'ora,dopo una settimana di lavoro,(la spinta ad intervenire è stata più forte della stanchezza),vorrei solo dire che se leggerò il libro,lo farò con spirito critico(per quello che mi concede la mia conoscenza,seppur anelata sempre,della fisica e della filosofia),e col desiderio che ho di cercare una risposta al senso della vita,al perchè della morte,a qualcosa che mi spieghi il perchè di tanta ingiustizia e dolore nel mondo,che fanno da contraltare ad una Natura così spettacolare nelle sue manifestazioni.Forse il punto da cui parto è per molti roba già risolta,ma sono qui e al mondo spinta dalla curiosità,dalla voglia di capire,imparare,conoscere.grazie a tutti,un saluto,buonanotte.

    P.S.scusatemi ancora se il mio intervento al forum esula un pò dall'argomento in questione.ciao

  32. Cara Teresa, benvenuta.

    Desidero rispondere a delle domande che non hai posto.

    Credo che Centochiodi di Olmi voglia dire che la vita non è nei libri di teologia! Forse di filosofia, sì. Ma non è come pensi, anzi: nulla è già stato risolto, per fortuna. Al posto tuo, se posso darti un consiglio, non mi fermerei all'interessante lettura di Mancuso…

    Tuttavia so bene cosa intendi e difatti penso che il senso della vita stia proprio in quello che dici: essere spinta dalla curiosità, dalla voglia di capire. Capire che non c'è da capire, ma voler giocare lo stesso.

    Imparare è l'unico gioco rimasto al bambino adulto che siamo.

    A presto,

    Davide

  33. Segnalo che su "La civiltà cattolica" di qualche mese addietro è stata pubblicata una recensione – non molto positiva, anzi- al libro. Un saluto.

  34. Sto leggendo il libro di Mancuso in questi giorni. L'impressione che ne sto ricavando – sono all'inizio, per la verità- è che questo libro – usando il fastidioso corsivo dell'autore- sia una provocazione rivolta innanzitutto alla chiesa cattolica a rivisitare alcune posizioni veramente insostenibili anche per la comunità dei credenti.

    La via indicata, e cioè quella di "ripensare" alcuni concetti in accordo con la ragione e perlomeno non in disaccordo con la scienza, è affascinante per una credente atipica quale io sono, se e nella misura in cui indica una prospettiva di apertura e di ricerca.

    Il discorso di Mancuso manca a mio avviso di forza e spessore (ma mi riservo un giudizio definitivo al termine della lettura)laddove vuole dimostrare delle tesi con argomenti provenienti da discipline forse non abbastanza interiorizzate e quindi comprese. Molte delle vostre affermazioni, tecniche e competenti, danno conferma di ciò.

    Presumo che l'autore del libro si aspettasse critiche, strali e stroncature sia dalla chiesa cattolica che dalla comunità scientifica; gli riconosco dunque il coraggio di essersi esposto.

    Aggiungo che a mio avviso leggere un libro non è mai un atto "neutrale": l'approccio del lettore ha sempre un taglio sottinteso e a volte non consapevole. E allora, di volta in volta un libro potrà dare risposte, aprire domande, indicare percorsi di ricerca e di riflessione, anche di segno uguale e contrario a quello dell'autore.

    Il dibattito che nasce dal confronto quindi, anche se non condiviso, arricchisce enormemente la coscienza e la comprensione del testo, generando nel lettore il quid pluris…

    Grazie pertanto al contributo di tutti voi proseguirò la lettura del testo di Mancuso con degli strumenti in più.

    Daniela, dubbiosa credente, appassionata lettrice, professione avvocato.

  35. Ciao Daniela!

    Il tuo è davvero un bel commento. Se vorrai avviare una discussione più aperta (adesso o dopo la lettura del libro), sarebbe bello che lo facessi sul nostro forum!

    A presto,

    Giovanni

  36. Ciao e grazie per i vostri commenti.

    La discussione mi interessa: è che sono totalmente una neofita del web e non ho capito bene come si fa ad entrare nel forum…. sorry.

    In ogni caso vorrei che definissimo insieme meglio il tema di partenza: poi, si sa, i pensieri prendono strade meravigliosamente imprevedibili!

    Personalmente non mi interessa molto la linea del forum aperto da Rita nel link segnalato da Davide: vi ho dato una rapida occhiata e ne ho visto un'impostazione molto classica. Passatemi una metafora calcistica:

    fede contro ragione: 0-2 (con clamoroso autogol di fede….), ma con i presupposti che vi ho visto il risultato si conosceva già prima della partita, ed allora non c'è molto gusto…

    Mi interessa invece di più lavorare su altri aspetti, che vengono prima della partita, tipo:

    atei e credenti. Ma chi sono gli uni e gli altri? c'è un'area comune dove possano dialogare e scambiarsi delle cose senza cedere all'impulso di dimostrare che una posizione è preferibile rispetto all'altra?

    Se la risposta è affermativa c'è spazio di discussione altrimenti si finisce a discutere sulla storicità di Cristo o sui rotoli di Cumran….tutti temi anche istruttivi ma che spostano l'attenzione a valle. Io vorrei restare a monte.

    Altro argomento (completamente diverso) che introducevo nella mia mail precedente e che discuterei volentieri è quello con cui chiudevo: leggere come atto creativo ed i condizionamenti del creatore – il lettore – sulla creatura – l'idea, l'elaborazione personale della conoscenza, nascente dalla lettura.

    Grazie per l'ospitalità,Daniela.

  37. Salve a tutti

    purtroppo devo ammettere che, dal mio modesto punto di vista, la recensione che ho appena letto, non mi sembra molto coerente con l'argomento trattato e le conclusioni a cui è voluto arrivare il prof. Mancuso. Il suo argomentare inclina verso una riflessione sul significato della vita, l'apertura di coscienza e il destino propriamente detto di quella parte sottile dell'essere umano che in occidente conveniamo chiamare anima, ma che altrove ci si riferisce con altri termini. In apertura del libro, nella lettera del cardinale, si parla dei Nuovissimi, e mi sembra questo il tema trattato; non vedo il motivo quindi di gettarsi a capofitto sui possibili errori scientifici da parte dell'autore, essendo questi usati solo come eventuale supporto alle sue tesi. […]Dal rinascimento in poi l'uomo ha mutato la concezione dell'universo e della sua posizione in esso. Distaccandosi da un archetipo immutabile e celeste, per uno unicamente terrestre e umano, l'uomo occidentale sviluppò una scienza che solo prendeva in esame l'aspetto mutevole delle cose, che si interessava solo del divenire e non dell'essere. Conseguenza di questa visione temporale è la distruzione della concezione sacra dell'uomo e dell'universo e quindi la negazione del loro aspetto immutabile […] (Seyyed Hossein Nasr). Ed è questa la posizione delle eminenti menti che il Sg. Marco Trainito considera indebitamente escluse dal trattato del prof. Mancuso. In suo difetto però sono incluse altrettante eccelse menti, come Ilya Prigogine, Edwin Schrödinger, Fred Hoyle, Werner Heisemberg, che contrariamente a Russel, Occhigreddi, Dawkins e compagnia, sono partidari di una "risacralizzazione del cosmo"(per parafrasare il filosofo della scienza Ervin Laszlo). C'è chi crede nell'eternità dello spirito (ta panta nus), c'è chi crede nella relatività della materia identificando l'UOMO come un "Ego incapsulato nella sua pelle" (terminologia usata da Alan Watts). Come Vito Mancuso io sono partidario dell'evoluzione della coscienza e dell'immortalità dell'anima, ma, a prescindere dalle mie scielte, ritengo il libro "L'anima e il suo destino" non solo coerente con le idee dell'autore, ma anche ricco di numerose intuizioni.

  38. PS: per un banale errore meccanografico, ho scritto male i nomi di Odifreddi e Russell nel mio recente commento.

  39. Caro Mauro,

    se io non ho tenuto conto del discorso generale di Mancuso (e in parte è vero, ma ho anche spiegato perché ho agito così), mi pare che anche tu abbia un po' frainteso il mio argomento contro Mancuso. Laddove scrivi: "non vedo il motivo quindi di gettarsi a capofitto sui possibili errori scientifici da parte dell’autore, essendo questi usati solo come eventuale supporto alle sue tesi", non tieni conto, infatti, che gli errori scientifici erano da me citati di passaggio, il tema centrale della mia analisi essendo la trama logica di fondo che sorregge tutto il discorso di Mancuso. Se ho ragione io, cioè se effettivamente l'argomentazione di Mancuso si regge su un errore puramente logico (e gradirei critiche su questo punto), allora tutto il resto del suo libro è pura e semplice letteratura fantastica (come del resto lo è la teologia, secondo Borges), che uno può accettare solo perché è già cognitivamente predisposto a prestare fede a questo genere di fascinazioni sulla cosiddetta anima e sulla sua presunta immortalità.

  40. Ho letto con molto interessela puntuale recensione di Marco Trainito al libro Vito Mancuso "L'anima e il suo destino".

    Premetto che io non sono certo un filosofo, ma solo una persona che cerca di usare la logica.

    Mi permetto di obiettare che il ragionamento di Marco T. con cui smaschera l'errore logico di Mancuso (nel momento in cui argomenta a favore della nececessità intrinseca dell'origine della vita, escludendo il caso e il miracolo), errore logico che illustra ricorrendo a Dennett e alla regola del modus ponens, è impostato male.

    La domanda da cui partiva Mancuso era: Perché mai a un certo punto della storia dell’universo è uscita la pallina rossa della vita?

    In sostanza Marco T. dimostra che il rapporto causale che lega la vita al DNA o, prima ancora, ai gas primordiali dell'universo, può essere utilizzato unicamente per affermare che questi ultimi costituiscono un presupposto necessario alla vita, ma non certo che la vita sia una conseguenza necessaria dei gas primordiali.

    Il banale errore logico di mancuso sarebbe quello di considerare la vita il destino necessario dell'universo, e non invece una delle sue infinite possibilità.

    Se la vita fosse considerata da Mancuso come un'asettica variabile y, dipendente da una condizione necessaria x, si potrebbe concludere che Mancuso manca di logica ed utilizza in modo errato la regola del modus ponens. Si potrebbe anche obiettare che Mancuso sbaglia non solo il teorema, ma anche il modello: perchè mai parlare di "pallina rossa della vita" tra le infinite "palline bianche della non vita"?. Il modello corretto sarebbe quello di infinite palline bianche, o al limite di infinite palline di colore diverso, delle quali la vita è unicamente una di esse, di pari dignità rispetto alle altre.

    MA IL FATTO E' CHE IL RAGIONAMENTO DI MANCUSO E' DIVERSO.

    Egli non desume la "necessità" della vita dalla citata regola del modus ponens, bensì dal fatto che la vita costituisce l'unica variabile ORDINATA, rispetto ad altre infinite variabili DISORDINATE. Per questo il fatto che sia uscita la "pallina rossa della vita" è secondo Mancuso un fatto così statisticamente improbabile da costituire una dimostrazione di necessità.

    Ciò che divide Mancuso da Trainito, non è quindi il fatto che il primo manchi di logica rispetto al secondo, ma che i due abbiano un diverso GIUDIZIO DI VALORE rispetto alla vita. Mancuso vede nella vita un ORDINE, che la rende unica rispetto a qualsiasi altra ipotesi di "non vita". Trainito al contrario vede la vita come disordine, o caso, o semplicemente come uno degli infiniti ordini possibili.

    Ecco, sono entrati in campo i giudizi di valore. C'è un limite filosofico alla conoscenza. La nostra logica razionale è incapace di comprendere appieno la realtà del cosmo, la verità sull'anima e il suo destino.

    Trovo estremamente arida la conclusione di Hume citata da Trainito (anche se estremamente razionale): sono più affascinato dalla ricerca spirituale di autori come R. Panikkar.

  41. Ringrazio Luca per il suo intervento, che muove da una seria considerazione del punto cruciale del mio argomento contro Mancuso. Vedo che addirittura Luca fa inferenze sulla mia posizione personale, che nella recensione non palesavo, andando molto vicino al bersaglio. Non posso che complimentarmi con lui.

    Solo un rilievo. Quando Luca scrive che Mancuso «non desume la “necessità” della vita dalla citata regola del modus ponens, bensì dal fatto che la vita costituisce l’unica variabile ORDINATA, rispetto ad altre infinite variabili DISORDINATE. Per questo il fatto che sia uscita la “pallina rossa della vita” è secondo Mancuso un fatto così statisticamente improbabile da costituire una dimostrazione di necessità», non credo gli faccia un grande favore, perché peggiora la situazione logica dell'argomento di Mancuso. Basandomi su un passo preciso, in cui Mancuso si richiama esplicitamente alla teleologia di stampo aristotelico («se è uscita l’unica pallina rossa della vita, è perché doveva uscire proprio lei. Dagli informi gas primordiali doveva scaturire la vita. Io sostengo che vi è una finalità intrinseca nella natura, esattamente quella medesima teleologia di cui parlava Aristotele, che so bene essere un supremo tabù per molti biologi contemporanei», pp. 116-117)), io mi concentravo sulla versione più forte della posizione di Mancuso, che mi pare di aver letto correttamente nella sua struttura logica. Se il ragionamento di Mancuso fosse solo quello sintetizzato da Luca, allora la sua posizione sarebbe davvero assurda, perché è impossibile dedurre una necessità da una stima di improbabilità grande a piacere.

    Buone vacanze a tutti.

  42. Mi sono sempre definito ateo,

    ma leggendo il tono "inquisitoriale" di alcuni commenti qui presenti, mi verrebbe voglia di definirmi credente. Sì, perché se alcuni, avanzando i loro commenti, hanno tenuto qui a ribadire la loro mancata preparazione filosofica, timorosi dei severi censori di questa pagina web, non c'è che da militare dalla parte di Mancuso: quale differenza c'è tra voi e la Santa Romana Chiesa, se allo stesso modo vi atteggiate a depositari di un sapere precluso ai profani? Mancuso ha scritto un libro coraggioso, e, se lo aveste letto senza paraocchi, invece di fare le pulci all'indice analitico, avreste potuto trovare critiche dirette al magistero di Benedetto XVI: a p. 34, lì dove si inchioda Ratzinger alla responsabilità delle parole pronunciate a Ratisbona, quando il pontefice invitava ad "agire secondo ragione"; Mancuso raccoglie l'invito incluso in quelle parole, aggiungendo però "se [queste parole] sono vere, e non mera retorica accademica". Un teologo che critica il magistero di un papa: voi sareste in grado di criticare il magistero dei vostri baroni universitari?

  43. Segnalo la dotta ed esauriente recensione
    http://www.lozuavopontificio.net/osservatorio/200
    letta la quale, è legittimo nutrire qualche fondata perplessità circa la veridicità degli insegnamenti teologici impartiti al San Raffaele di Milano.

    Ho letto il libro del Prof. V. Mancuso e vi mando una mia modestissima considerazione puntuale.

    Pag. 88; Cap. 3: – se l'anima origina dal basso, dalla materia (Materia Matrix), si è legittimati a pensare che nei trapianti di organi venga sostituita (magari con qualche scarto negativo o positivo per la "non perfetta coincidenza") una certa percentuale di anima (di e in quale “fase” ideata dal Prof. Mancuso non saprei) del ricevente con altra del donatore; d'altra parte si dice comunemente, in modo figurato, che “il donatore continua a vivere nel trapiantato”.

    Nel caso di amputazione di arto o asportazione di materia (es: appendice infiammata, cisti, masse tumorali, ecc.) si avrebbe una corrispondente diminuzione/perdita di anima ?

    Le persone brutte (come chi scrive e, a maggior ragione, quelle portatrici di handicap mentali o fisici) avrebbero un'anima corrispondentemente “brutta” o “funzionalmente deficitaria” ? In altre parole, le sventure di questa vita si perpetuerebbero anche nell'altra… nell'eternità ?

    Corollario della Chirurgia plastico/estetica (ossia come migliorare l'idea e la forma del proprio o altrui corpo e anima – cfr. pag. 63): nella tipologia d'intervento, assai frequente, di aumento volumetrico del seno (femminile !) con materia plastica (silicone e simili – ndr) si potrebbe/dovrebbe pensare ironicamente …. “tette senz'anima ” !!

  44. Ho letto con interesse tutti gli interventi e devo dire che, come premessa, sono totalmente d’accordo con l’avvertenza di Rita, secondo cui “In qualunque studio è l'uomo nella sua completezza che agisce e non esiste studioso, in quanto persona pensante, in cui non influisca il suo credo, la sua ideologia e altro”. Aggiungo, con Daniela (“Leggere un libro non è mai un atto “neutrale””), che anche il lettore si comporta come lo studioso. Perciò, per chiarire subito l'approccio del mio intervento (ancora Daniela: “l’approccio del lettore ha sempre un taglio sottinteso e a volte non consapevole”), mi affretto a dichiarare la mia vicinanza a Mancuso.

    Devo dire che anch'io ho riscontrato l'errore logico che Trainito rileva; tuttavia non mi sembra un errore tale da squalificare tutto il discorso di Mancuso, come invece sembra ritenere Trainito.

    Il sistema di riferimento in cui si muove il discorso di Mancuso è quello dei fatti tutti contingenti (per dirla con Trainito) del mondo in cui viviamo. Pertanto egli non ricorre alla logica (intesa come scienza), perché si tratterebbe di utilizzare strumenti (asserzioni inferenze teoremi ecc.) che appartengono a un altro sistema di riferimento, quello della logica appunto, in cui, al contrario dell’accidentalità che regna nel mondo fisico, vige l’esattezza e la necessità. Perché allora Trainito trasferisce i suoi strumenti logici nel campo eterogeneo di Mancuso? Perché ritiene che il ragionamento di Mancuso contenga un errore logico, e dunque si sente autorizzato a ricorrere alla logica.

    A p. 114 Mancuso cita il fisico Paul Davies, il quale scrive che “le probabilità contrarie alla sintesi puramente casuale delle sole proteine sono circa 10 elevato a 40.000”; nella pagina successiva troviamo un’altra citazione secondo cui di fronte alle non infinite, ma molto grandi (10 elevato a 12 milioni) probabilità contrarie alla sua formazione, il genoma umano si è formato. Incoraggiato da queste statistiche Mancuso allora si domanda il perché dell’esistenza della sintesi delle proteine e del genoma umano. Si dà tre risposte: il caso, il miracolo e la necessità intrinseca (inciso: qui Mancuso sembra ignorare le altre risposte possibili. Prego Trainito di aggiungerne delle altre, così da avere un quadro più completo). Mancuso scarta il caso perché “il caso può capitare una volta, ma quando si ripete sempre nella stessa direzione verso l’ordine e la crescita dell’informazione non è più un caso” (p. 116, corsivo di Mancuso). Effettivamente il caso si è ripetuto almeno due volte: nel passaggio dalla materia inerte alla vita e poi nel passaggio dalla vita naturale all’intelligenza umana. Scarta poi il miracolo, ovvero il Dio Progettista originario. Resta la necessità intrinseca: la vita è nata perché doveva nascere. A mio modo di vedere l’errore di Mancuso lo incontriamo qui, cioè nel dire: dal momento che un fatto (la vita) altamente improbabile si è verificato, allora tale fatto doveva necessariamente verificarsi. Logicamente è un errore, infatti non sta scritto da nessuna parte che se una cosa altamente improbabile si verifica allora doveva per forza verificarsi. Ma fuori dalla logica e nel mondo in cui viviamo? Non è certo che dovesse andare così, tuttavia è probabile. In attesa di dati più unanimi sull’origine della vita penso si possa sostenere che è probabile, dato che questa vita è nata contro elevatissime probabilità contrarie, che l’universo sia bioamichevole, predisposto alla vita (come dice Paul Davies citato da Mancuso p. 124). Ritengo che fra le tre risposte sull’origine della vita che Mancuso si dà (ma sembra che ce ne siano altre, attendo ciò che Trainito ha da dirci al riguardo), abbia scelto quella più probabile, sebbene non certa.

    Quanto all’argomento del Boeing 747, è vero che esso si rivolta contro il Dio Progettista originario, ma mi sembra di poter dire che Mancuso si trae fuori dal contenzioso, scartando come lui dice l’ipotesi del miracolo e quindi il Dio che incorpora un’inusitata complessità logica.

    Cordialmente, Falorni

  45. Scusate, ho fatto confusione con i corsivi. Quelli presenti nel testo non sono quelli che avrei voluto.

    Falorni

  46. Cari amici, polemizzate pure con Mancuso, ma sia ben chiaro che tutte le critiche qui rivolte a Mancuso non hanno niente a che vedere con la filosofia e la teologia cattolica, Mancuso non è un filosofo cattolico, e la teologia cattolica non ha nessuna responsabilità per quello che dice Mancuso.

    Per inciso, ho guardato il sito dell' Università San Raffaele, e nell'elenco dei Docenti il nome di Mancuso non c'è.

  47. Ma scusa Leon, scrivi "Docenti" con la D maiuscola e "cattolico/a" con la minuscola? Ma mi meraviglio di te!

  48. Caro Ginoscorre…, Docenti è sostantivo, cattolico è aggettivo. La grammatica è un po' meno fantasiosa della fantateologia di Mancuso.

    Davide, grazie della segnalazione.

  49. Caro Leon, chiedevo soltanto se tu puoi fregiarti dell'imprimatur dei Cattolici con la c maiuscola (ovvero il Vaticano), in virtù del quale ti è concesso il discernimento di ciò che è filosofia e teologia cattolica e ciò che non è.

  50. caro Leon, nel tuo primo intervento hai scritto che "Mancuso non è un filosofo cattolico, e la teologia cattolica non ha nessuna responsabilità per quello che dice Mancuso". Mi sembrano affermazioni assai ardite, soprattutto se dovessero venire da una persona che non ha un'autorità riconosciuta in materia (potresti anche averla, non so, ma se ce l'hai sei tenuto a dichiararti). Secondo me avresti dovuto precisare che la teologia di Mancuso non ha niente a che fare non con la teologia cattolica (cioè universale), ma con la teologia cattolica esaminata e approvata dai teologi ufficiali del Vaticano. Ma forse pensi che non esista e non possa esistere alcuna teologia cattolica che non ottenga l'imprimatur dei suddetti. In tal caso, scusami e perdona la mia irriverenza.

  51. ginoscorre,

    ma sei tu quel mattacchione che si è registrato con questo nome all'esame di filosofia del linguaggio? :-)

    Ti aspettavamo con una certa ansia…

  52. No, Marco T., non sono quel ginoscorre. Se ce ne sono anche dalle tue parti si vede che i ginoscorre proliferano… :)

  53. Salve, l'autore della recensione dice che la selezione naturale darwiniana non è dominata dal caso. Non sono un esperto ma questo è quello che si sente dire di solito. Mi piacerebbe perciò sapere quali altri fattori la muovono. Grazie

  54. La selezione naturale è spinta dalla tendenza del "più adatto" a sopravvivere, dacché meglio adattato al suo ambiente. Questa "lotta per la sopravvivenza" è il fattore principale, cui si affiancano l'uso e il disuso degli organi esterni e interni, il clima, le abitudini dell'individuo e, più importante di tutti, la selezione sessuale.

  55. Ok grazie Davide. Mi chiedo ancora: cos'è che fa sì che un individuo sia favorito quanto a selezione sessuale, clima, organi esterni e interni e abitudini?

  56. Quanto a selezione sessuale se riesce ad accoppiarsi e riprodursi efficacemente, lasciando suoi discendenti. Al clima risulta favorito il meglio adattato, dunque chi sopravvive e quindi possibilitato a riprodursi; gli organi interni ed esterni del favorito sono quelli meglio adattati all'ambiente; così le sue abitudini.

  57. Buongiorno a tutti.

    Premetto che non sono credente ma solo pensante. Incontro per caso questo sito dopo aver letto il libro di cui parliamo. Spero di poter intervenire più compiutamente in altro momento, ora vorrei solo segnalare questo: in tutto il libro di Mancuso ho trovato tre elementi: uno inquietante, uno utilizzabile, uno latitante.

    Il primo è il concetto di "progresso", visto come principio ordinatore che dal caos chimico arriva fino a produrre addirittura un sentire spirituale; indubbiamente su ciò una certa attinenza esiste, non riesco a nascondermelo e mi atterrisce. Il problema, semmai, è perché dopo aver visto mettere a soqquadro l'intera stanza, si dovrebbe provare riconoscenza e allegrezza nell'assistere al tentativo di rimettere tutto in ordine. Non si poteva evitare semplicemente il disordine iniziale? Mancuso non risponde o lo fa da cattolico, quindi in modo insoddisfacente.

    Il secondo è il principio "d'amore". Su questo credo che ogni uomo di buona volontà possa essere d'accordo, e credo sia il vero messaggio importante di Mancuso, l'unico che possa legare credenti, pensanti e dormienti.

    Il terzo, invece, è ciò che più mi ha rattristato poiché manca di presenza nel suo testo. Il "male", ossia il dolore. Niente di ciò che Mancuso scrive giustifica il dolore. Non solo il dolore umano, ma il dolore dell'intera vita cosmica. Per vivere si uccide e si fa soffrire, sino a soffrire a nostra volta. Ebbene nulla giustifica ciò. Il logos del principio ordinatore che trascura gli individui per seguire il proprio fine è quanto di più infernale esista, altroché Belzebù. E ciò è fondamentale proprio perché contraddice l'idea più bella di Mancuso e del Cristianesimo, ossia l'idea dell'amore. Come può la creazione essere opera d'amore quando sopravvive solo grazie alla sofferenza? Su questo attenderemo per l'eternità una risposta dai credenti.

    Un'ultima cosa: ho letto in un post precedente che qui si fa TEOLOGIA RAZIONALE. Scusatemi ma non ho potuto trattenermi dal ridere… È il più bell'ossimoro che abbia mai letto. Abbiate pietà per la mia ignoranza, ma ho sempre letto filosofia e teologia come fossero poesie, romanzi d'avventura. La razionalità lasciamola ai geometri che non devono far cadere i ponti. Lasciamola a chi costruisce i campi di concentramento. Se si fantastica di teologia, benché siate chiarissimi accedemici di preclara cultura, ammettiamo che stiamo parlando di una cosa di cui non sappiamo assolutamente nulla, altroché raziocinio. Stiamo facendo della belle poesia, che può farci sognare e star bene, ma guai a prenderci sul serio: un Dio prima o poi ci prenderà a calci per la nostra presunzione di capirlo.

    Scusatemi ancora

    Andrea

  58. Condivido molte delle cose che scrivi, Andrea.
    Solo una cosa.

    Niente di ciò che Mancuso scrive giustifica il dolore. Non solo il dolore umano, ma il dolore dell’intera vita cosmica. Per vivere si uccide e si fa soffrire, sino a soffrire a nostra volta. Ebbene nulla giustifica ciò.

    La teodicea di Mancuso, in effetti, fa ridere. Quando, poi, si mette a parlare dei portatori di handicap, fa piangere. Però non capisco se per te è importante che qualcuno fornisca una teodicea convincente. Vuoi davvero una giustificazione alta del dolore o, come mi sembra, sei consapevole che una spiegazione del dolore, se c’è, è terra-terra?
    Tra l’altro, sarebbe interessante smembrare la parola “dolore” (troppo generica) e specificare, caso per caso, di cosa parliamo esattamente.

  59. Caro Andrea,

    rispondo solo su ciò che mi chiama sebbene anonimamente in causa. Il post precedente cui ti riferisci è il mio; mi fa piacere che tu rida, però ti invito a rileggere quel post perché – chissà, magari avrò mancato nell'esporre il pensiero in modo disambiguo ma – credo tu lo abbia totalmente frainteso. Leggendo il pensiero che hai espresso poi al riguardo della razionalità (di cosa essa sia e a chi possa servire) credo di aver capito che il fraintendimento era una necessità.

    Un caro saluto.

  60. Caro Marco,

    grazie per la tua risposta.

    La teodicea è ciò che comunque mi impedisce sempre di prendere troppo sul serio le speranze religiose. Ho scritto anche un libretto a questo proposito, appena pubblicato.

    Non trovo giustificazioni al dolore, e forse tutta la mia attività di scrittura si impernia proprio su questo, tant'è vero che un mio lavoro appena terminato parla di arcangeli guerrieri disillusi dal silenzio di Dio di fronte al male del creato, mentre ciò su cui scriverò ora è il romanzo di un prete esorcista che scopre quale sia il vero Male (che non è certo quello delle indemoniate da parrocchia e da film dell'orrore).

    Quale dolore, dici.

    Smembrarlo? No, non intendo smembrarlo. Intendo affrontarlo in toto per qualsiasi essere lo stia provando. Sia esso uomo o cellula. Sia esso pianto o annichilimento chimico. In ogni forma il risultato è comunque la sconfitta di Dio, la sua inutilità, il suo disastro. Come perdonarlo?

    Potrei sopportare un Dio malvagio, quindi, ma non un Dio incompetente.

    Scusate l'intrusione, non sono certo un esperto come voi, e grazie d'avermi accolto.

    Ciao

    A.

  61. Infatti, Andrea, da ammiratore di Cioran, pure io riesco a prendere sul serio solo le teologie gnostiche: stuzzicano la fantasia molto meglio delle favole mielose sul dio d'amore. Per parafrasare Heidegger alla luce di Cioran, solo un funesto demiurgo ci può salvare, nel senso che solo un dio diabolico merita la sfida filosofica degli atei in rivolta. L'altro, come dici tu, è al massimo inutile. Per sua fortuna non esiste.

  62. Caro Andrea

    nel volto dell'Agnello sgozzato per l'eternità, nel grido d'abbandono di Cristo sulla croce il Cristianesimo conosce il dolore del mondo. Nessuna giustificazione. Il nostro dolore, il dolore del cosmo è e sarà sempre uno scandalo. Ma nel volto del Figlio dell'Uomo il Cristianesimo conosce anche l'amore, l'amore che non giustifica ma lenisce, perchè ci affida il balsamo della pietà.

    Con simpatia, Falorni

  63. Ottimi post questi ultimi, davvero condivisibili. Riguardo alla parola d'amore, ho proprio intenzione di scrivere un pezzo al riguardo, come unico elemento attuale di distinzione (ma anche di possibile futuro accordo) fra Cristianesimo, Agnosticismo, e Islam. Il gesto e messaggio d'Amore dev'essere l'attuale cifra su cui da un lato l'Occidente può continuare il proprio cammino di progresso razionale e caritatevole, e dall'altro è esattamente il problema conflittuale col moderno falso Islam retrogrado. Io credo che l'Occidente sia figlio di due grandi valori, e se ce ne dimentichiamo piangendoci addosso per la "mancanza di valori" siamo ciechi e pigri. Questi valori sono la Carità evangelica e la Ragione illuminista: dalla prima discendono tolleranza, uguaglianza, diritti umani, fratellanza; dalla seconda discende la critica della ragione perfino su sé stessa, il che combatte superstizione e ignoranza. Vedo l'Occidentale come un uomo pronto a dubitare, a studiare, ad amare, a tollerare. Non vedo queste cose nell'attuale falso islamico. Perciò, io non cristiano, propugno una Chiesa cristiana che smetta di interessarsi a ciò che succede sotto le lenzuola e si rimetta a urlare con tutto il fiato il proprio messaggio evangelico d'amore, a differenza di quanto non fa questo Islam. Solo così potrà da un lato riaccogliere la stima di quanti non sono cristiani e dall'altro sfidare solennemente quanti vogliono imporre teocrazie barbare.

    Sull'argomento mi permetto di segnalare questo:

    http://www.loccidentale.it/articolo/le+spose+bamb

  64. Buongiorno a tutti,

    mi avete gentilmente ospitato a giugno, quando iniziai la lettura del libro di Mancuso. Andando a zonzo su internet in un momento di relax mi ero imbattuta casualmente nella recensione – stroncatura del libro e nei successivi commenti.

    Sono arrivata in fondo al libro e aggiungo alle mie impressioni iniziali, che sostanzialmente mi sento di confermare, due ulteriori piccole chiose.

    Il testo di Mancuso ha avuto il grandissimo pregio di stimolare la discussione. Prendiamo questo sito, ad esempio: la recensione è di febbraio e siamo a settembre…..

    Quando un tema continua a svilupparsi nella testa, vuoi perchè hai letto un capolavoro (non è certo il caso di Mancuso), vuoi perchè hai letto un saggio controverso, si realizza il miracolo della "lettura creativa": sei altro da prima.

    Altro pregio del libro di Mancuso è quello di avere lanciato una specie di "sfida" ai potenti della chiesa cattolica: per ragioni opposte a quelle di Marco Trainito, le gerarchie ecclesiastiche si sono scatenate contro al nostro con altrettanto ardore.

    La sfida è quella di sfrondare la fede dal dogma inutile – anzi, dannoso della psiche del credente pensante – per verticalizzare sul "comandamento nuovo", vera rivoluzione "copernicana" compiuta da Gesù, troppo spesso distorto dai potenti della storia con conseguenti, aberranti ed attuali spargimenti di lacrime e sangue.

    Condivido il pensiero di Andrea e sul tema del "funesto demiurgo" vi segnalo, casomai non l'aveste letto, il capolavoro di J. Saramago, "Il vangelo secondo Gesù".

    E' poesia pura di sconvolgente bellezza.

    Daniela

  65. Cari amici,

    dato che gli ultimi interventi hanno sollevato il tema fondamentale del male e quindi della teodicea, vorrei condividere con voi qualche osservazione in merito, appoggiandomi al libro di Mancuso.

    Il primo sentimento che assale ogni uomo che abbia senso della giustizia è l'angoscia di fronte al male nel mondo. Ivan Karamazov dice di rifiutare non Dio, ma il mondo da lui creato. Un mondo che sin dall'inizio della storia è un immane macello, un mondo edificato sul sangue degli individui di ogni specie vegetale e animale. A partire dagli erbivori che uccidono l'erba brucandola. Fino alla nostra civiltà, che si regge sul petrolio. Petrolio, ovvero fanghiglia ricca di resti di organismi animali formatasi in lontane ere geologiche. Noi ci chiediamo allora: e questo presunto Dio? Che dio è, se non malvagio, un dio che sempre manda la sua creazione al macello? Mancuso risponde (e non può non farlo) negando il governo del Dio personale sul cosmo. Il Dio padre del Cristianesimo non può mandare i suoi figli al macello. Dov'è (se c'è) questo Dio allora?

    Andrea scrive: “come può la creazione essere opera d’amore quando sopravvive solo grazie alla sofferenza?”. Su questo Andrea attende una risposta dai credenti. Ma una risposta razionale, argomentata, logica, una risposta che si possa comunicare ad un'altra persona solo e soltanto con le parole, una risposta di cui si possa discutere in una conferenza, una risposta da annunciare come una scoperta scientifica, una risposta da mettere in un libro la cui esclusiva lettura salvi l'umanità dal baratro di indifferenza e disperazione che la circonda… Questa risposta non c'è. Andrea e tutte le persone in attesa di una risposta su Dio che giunga loro dall'esterno, come il proclama di un banditore in piazza, non l'hanno trovata in passato e mai la troveranno. Mancuso non può (nessuno può) argomentare l'esistenza del Dio personale; e difatti, quando giunge nel libro a testimoniare la fede in Lui, egli dichiara di credervi soltanto perché la sua esperienza di vita ve lo ha condotto (pp. 132-134).

    A mio avviso è dalla nostra vita, nella sua quotidianità, che possiamo sperare di avere risposte. Naturalmente le risposte che uno si dà possono essere di qualsiasi segno, positivo o negativo. Ma ciò che è decisivo è mettersi in ascolto, con sincerità. Se lo facciamo, se riusciamo a vedere il diritto e il rovescio della medaglia di ciò che ci circonda, allora forse possiamo giungere a dubitare della sofferenza quale verità ultima.

  66. ho letto il libro di Mancuso e lo ho trovato coraggioso e interessante.

    la tesi che il mondo sia fertile e quindi pronto ad accettare la vita e l'evoluzione non è un concetto infondato per vari motivi,il principale è che la vita si è manifestata ed evoluta sulla terra ,inoltre le condizione fisico chimiche che permettono l'esistenza dell'acqua sono fondamentali per lo sviluppo della vita.

    il problema è come considerare l'emergere del pensiero ,dell'autocoscienza,dei concetti astratti.

    Mancuso è monista li fa derivare dal mondo naturale,li ascrive a uno sviluppo ordinato dell'energia,dice che quello che distingue l'uomo dalla natura inanimata e poi dalle piante e poi dagli animali è un surplus di energia.

    Il concetto è discutibile,Popper era arrivato ad una ipotesi dualista , il suo mondo due e il suo mondo tre consideravano i concetti astratti su un livello diverso dalla pura materia, qualcosa di simile all'iperuranio di Platone.

    Altra considerazione da fare è che in Italia il concetto di teologo è considerato strettamente legato alle tesi della chiesa cattolica,altrove non è così,in Germania le facoltà di teologia sono pubbliche e i teologi sono protestanti cattolici,atei,laici.

  67. Un grandissimo scienziato contemporaneo un giorno disse: "Più ci addentriamo nella conoscenza delle leggi dell'universo, più esso ci appare senza senso". Che ridere. Certe volte i grandissimi scienziati sono proprio degli ingenuotti. La scienza moderna nasce estirpando dal cuore di sé stessa la domanda sul senso, giudicandola improduttiva. La scienza non può rispondere alla domanda sul senso, perché la ritiene – correttamente secondo i suoi parametri – una domanda insensata. Ancor più ridicoli degli scienziati (che almeno fanno il loro mestiere) sono quei filosofi che hanno ridotto la filosofia ad ancilla scientiae e quegli scienziati che si mettono a fare filosofia utilizzando gli stessi ferri che usavano un attimo prima nel laboratorio. E' chiaro che con i metodi scientifici e con la logica derivata dai metodi scientifici ogni discorso sul Tutto, sul Senso, apparirà errato, indimostrabile, contraddittorio, fallace. La vera tolleranza starebbe nell'accettare un discorso che si fonda su altri presupposti, su altre logiche, su qualcosa che si può chiamare intuizione, sentimento, pathos e cercare di prendere quanto di buono ci può essere, non impancarsi a unici detentori dell'unico metodo che può giudicare della fallacia o meno di un discorso.

    Al buon Trainito, che come Odifreddi e altri della serie mostra un vero e proprio fanatismo religioso nel difendere il proprio punto di vista, salvo poi confessare al confessionile laico che forse sì, non è stato così tollerante come il suo tollerantissimo maestro Giorello, voglio porre solo alcune provocazioni e suggerire degli spunti di riflessione, così, un po' a caso, tanto lui non dovrebbe farci molto caso se le riflessioni sono a caso…

    1) Lovelock: "Nei circoli accademici, le spiegazioni teleologiche sono un peccato contro lo spirito santo della razionalità scientifica". (Mai sentito parlare di ipotesi Gaia?).

    2) Whitehead: "La scienza è rimasta, prevalentemente, un movimento antirazionalista basato su di una fede ingenua".

    3) Come mai non prende alla lettera la conclusione delle Ricerche di Hume e perde il suo tempo a recensire libri di sofisticherie? Forse si sente mancante di qualcosa?

    4) Non è che per caso che credere e far credere ingenuamente e superficialmente che tutto sia caso stia rendendo un po' caotica la società, l'economia e un po' troppo caotico l'ambiente? O dobbiamo aspettare una qualche dimostrazioncina rigorosa per rendercene conto?

    5) E' così sicuro che tra darwinismo e darwinismo sociale non ci sia alcun nesso?

    6) Capisco che il caso si insinua un po' ovunque, ma che c'azzecca Odifreddi tra Hume e Giorello?

    7) Mi è piaciuta la critica finale a Mancuso, cioè che la vita è "antientropica" e quindi non c'è proprio continuità tra espansione cosmica e vita, ma salto diciamo così; parafrasando Freud l'organico è l'amore che lotta "amorevolmente" contro l'inorganica morte. Ma se è d'accordo con questa tesi, tant'è che la usa a mo' di critica contro Mancuso, allora dovrebbe accettare visioni filosofiche che privilegiano l'organico contro visioni filosofiche che privilegiano il meccanico, il casuale o l'indeterminato. Cioè dovrebbe stare dalla parte degli stoici, di Hegel ecc., non dalla parte di Democrito, Hume ecc. Ma non mi pare proprio, no?

    8) Non mi piace proprio quando si dice: "Il libro fa acqua da tutte le parti, però in quanto crea un po' di casino all'interno della chiesa cattolica, allora ben venga!" Non mi sembra onesto, no?

    Saluti

    Maria

  68. D'accordo, Maria. Ma se buttiamo a mare la logica, come potremo discutere razionalmente? Un dialogo tra monologanti che esternano intuizioni di senso sul Tutto in libertà, cos'è? Dove conduce?

    Ciao

  69. No, non dico di buttare la logica. Dico che esistono tante logiche. La logica è un tribunale, ma ogni pensiero amerebbe scegliersi il proprio giudice giusto senza doversi sottoporre per forza ad un tribunale speciale un po' spietato. La logica di Hegel è per te una logica? Il Sistema di logica di Gentile è una logica? Severino scrive cose del tutto illogiche? Perché, vedi, buttare nella pattumiera, che so, i filosofi che ho citato, solo perché ridotti alla logica formale si scopre che sono fallaci, non mi sembra un buon metodo. Io credo che il Logos, per fortuna, sia più ampio di ogni logistica. Poi, per carità, sei libero di recensire Mancuso o chi ti pare sulla base dei tuoi presupposti e dei tuoi metodi, che però, certe volte, dovresti capire, calzano un po' stretti e possono suscitare anche un sorriso. Può darsi che il semplice "Grazie" dell'autore alla tua recensione vada interpretato in questo senso. Il dialogo fra logiche diverse, secondo me, è possibile. Ad esempio, io ho capito solo dopo 7 anni di matrimonio che mio marito ha una logica tutta sua… addirittura costruisce le frasi in modo inusuale; passata al vaglio di una semplice analisi logica classica fanno acqua da tutte le parti, ma anche una più sottile analisi del linguaggio comune si troverebbe in difficoltà. Solo dopo molto tempo ho iniziato ad apprezzare questa logica intuitiva, rapida, che accorcia tutto, che non si dispiega ma si concentra. Prima, figurati, lo correggevo. Ma ero io che non capivo. Ho dovuto ridare spazio al mio esprit de finesse per comprenderlo, il geometrique non lo afferrava proprio. Ma lui ha saputo attendermi, non mi ha mai corretto. Forse per giudicare di un libro o di una persona ci vuole anche un po' d'affetto, un po' di comprensione, un'apertura che nella tua recensione non ho trovato, anche se non sono affatto sulle posizioni di Mancuso, pur ritenendo stimolante il suo richiamo a certi temi che rischiano di restare ancora troppo negletti perché non riconducibili a una logica scientifica o tecnica. Scusami se ho citato mio marito e non Wittgenstein. Saluti

    Maria

  70. vorrei intervenire sulla grande questione :come giustificare il male, il dolore nella creazione di un Dio?

    Facendo riferimento al libro di Mancuso"L'anima e il suo destino",l'autore vede nel "creato", una realtà autonoma da Dio, un "altro da Dio", con leggi proprie e indipendenti.

    Leggi segnate però dal codice dell'Amore, della Relazione.

    Il Tutto (Dio) si fa "finito" per potersi conoscere, essere, individuarsi.

    Ma ciò che è finito è anche limite, separatezza, Male.

    Tempo, mutamento, morte e nascita, creazione continua.

    Il Male è legato alla finitezza di essere Altro da Dio, ma al tempo stesso è Dio che vuole essere creato, creature, divenire.

    L'amore può vincere il dolore? Non lo so

  71. Maria, solo una domanda: se ti trovassi sull'aereo e il pilota annunciasse che guiderà sulla base di una propria logica e di una propria profondissima e finissima intuizione della Natura, tu cosa faresti? Magari potrebbe aggiungere di essere allievo di Severino, di considerare la tecnica l'essenza del nichilismo e di credere nell'incontrovertibile principio parmenideo dell'eternità dell'Essere. Ti fideresti o cominceresti a preoccuparti?

    Citare Pascal quando si chiacchiera fa fare sempre un figurone, ma qui si sta parlando di conoscenza delle cose del mondo (anche Mancuso è interessato a questo), non delle trite ragioni del cuore che la ragione non può conoscere.

  72. Sono d'accordo sulla casualità del nostro mondo, sul suo indifferente esito, sappiamo tutti che la Terra finirà col sistema solare ,e io penso che noi, come specie umana, ci stiamo preparando l'estinzione con le nostre stesse mani…

    Ma c'è qualcosa che non quadra….

    Quando casualmente è appasa la vita e si è evoluta (sono darwinista convinta)con mutazioni casuali, è intervenuto un principio innegabile di premi o punizioni relative alla..SOPRAVVIVENZA, cioè questa cosa voleva durare possibilmente sempre, riproducendosi, adattandosi in ogni modo.

    Cos'è questa cosa del desiderio di DURARE?

    Rompe ogni indifferenza, sgretola l'apatia del non senso.

    Il pianeta stesso è un organismo vivente e i mostri che noi siamo, stanno sondando spazi aldilà del sistema solare…

    Se poi scendiamo alla fisica quantistica che è la nostra -finora- più intima essenza -scopriamo un universo tutto interconnesso e noi non siamo più i 4 gatti confinati in un cesso abbandonato del cosmo, ma riusciremmo a comunicare ai confini dell'universo a una velocità superiore a quella della luce.

    No ,le cose sono un po' più complicate di ammassi inutili nel vuoto (che,secondo la fisica attuale vuoto non è).

  73. Per Marco Trainito: ma che c'entra!? Da te proprio non me l'aspettavo! E' ovvio che il pilota dovrà usare la logica che serve a pilotare mentre pilota. Per lo stesso motivo ragionando sul Senso, sul Tutto, sul destino ultimo sarebbe da stupidi usare solo una logica da piloti! Non trovi? Ma veramente ti sfugge che quando si parla del Tutto o dell'Infinito non si può continuare a parlare come quando si parla di cose? Mancuso e altri come lui non sono solo interessati alle cose del mondo, ma al Mondo e a Dio. Poi tu puoi anche dire che non è lecito parlare del Mondo e di Dio, perché non può essere oggetto della nostra limitata conoscenza; ognuno è libero di rinchiudersi nelle gabbie che vuole. Ma si può anche essere liberi di spaziare senza sentirsi urlare da dentro le gabbie che il vero, unico mondo è dentro quella gabbia? Certo, tutto questo mentre non si pilotano aerei, of course, oppure dopo aver inserito il pilota automatico…

  74. Ricevuto, Sandra.

    Maria, temo che tu non abbia colto il senso dell'esempio dei piloti. Non parlavo di "logica da piloti", ma di quello che c'è dietro: la conoscenza del mondo fisico. E poi: scusa, in che termini parli tu del "Tutto" e dell'"Infinito" (e passino le maiuscole)? Mi dici qualcosa su di loro?

  75. La logica che i piloti devono usare quando pilotano è la logica che presiede alla conoscenza del mondo empirico. La quale è dunque una logica anche da piloti, ingegneri, calzolai ecc. ecc. Diciamo che è una logica del finito. La logica dell'infinito si muove diversamente. Hegel è per me un progresso rispetto a Kant e la sua logica ha procedimenti incomparabili con la logica tradizionale. Se si giudica la logica hegeliana attraverso quella aristotelica o kantiana, si vede che la logica hegeliana fa acqua da tutte le parti, ma è il metro che non va bene. Purtroppo nella filosofia italiana soprattutto nel secondo Novecento lo spazio che è stato dato al pensiero analitico di marca anglosassone è stato forse eccessivo. Un pensiero intellettualistico che procede di pari passo con l'evoluzione delle scienze e delle tecniche e che per questo sembra sempre all'avanguardia, ma che per molti campi del sapere e della vita è del tutto inservibile. E' una logica del finito, molto in difficoltà quando il tema è lo spirito o l'infinito (tant'è che spesso si propone programmaticamente di eliminare proprio il discorso su questi temi, tacciandolo di insensatezza). Prendiamo ad esempio l'educazione o la riflessione sul senso del tutto, sull'infinito (non come problema matematico). Quello che voglio dire è che per me ognuno è libero di essere popperiano quanto gli pare e piace, ma dovrebbe capire che come non si applica la logica hegeliana alla guida degli aerei, così non si applica la logica del finito alla comprensione dell'infinito. Perché si fanno pasticci. Dal momento che il popperismo è un pensiero del "limite" non dovrebbe essere capace di limitarsi al proprio campo senza debordare? Sul Tutto e sull'Infinito preferisco non dire nulla.

  76. Non mi sembri disposto ad ascoltare su questi temi. Mi sembri invece pronto a mazzuliarmi con un randello popperiano. Preferisco tacere. Posso?

  77. Non mi sembri disposto ad ascoltare su questi temi. Mi sembri invece pronto a mazzuliarmi con un randello popperiano. Preferisco tacere. Posso?

    Certo che puoi, Maria. Che domande!

    Il problema, però, è che tu distribuisci troppe patenti (uno è un filosofo del finito, l'altro dell'infinito, uno è popperiano, per giunta sordo a certi temi, l'altro è scientista, una logica è limitata al mondo empirico, un'altra si applica all'altromondo) e fai delle affermazioni sbrigative presupponendo "cose" (lo spirito, il tutto, l'infinito, ecc.) che magari una piccola discussione la meriterebbero, non ti pare? Questo tuo stile cognitivo, tra l'altro, è uno dei motivi che mi hanno trattenuto, fino ad ora, dall'entrare nel merito di certe tue dichiarazioni un po' avventate. Se tu ti rifiuti di fornire chiarimenti ed esempi su ciò che sostieni, come si fa a discutere?

  78. Maria, ho l'impressione che tu sia un po' prevenuta. Non so chi sei, ma mi pare di capire che ce l'hai con me al punto da fraintendere qualsiasi cosa io ti dica. Non ti ho dato alcuna "patente di avventatezza": ho semplicemente fatto riferimento a "certe tue dichiarazioni un po’ avventate", che sono sotto gli occhi di tutti. Non ho affatto espresso giudizi su cose di te che ignoro. Vuoi che ti faccia un esempio? Quando tu dici che "la logica che presiede alla conoscenza del mondo empirico (…) è una logica del finito. La logica dell’infinito si muove diversamente. Hegel è per me un progresso rispetto a Kant e la sua logica ha procedimenti incomparabili con la logica tradizionale", io vorrei dei chiarimenti. Vorrei capire, per esempio, cosa sai della logica tradizionale, della logica matematica e della logica hegeliana per fare affermazioni simili, perché ho la sensazione (forse sbagliata) che tu non ne sappia molto. Ti avevo chiesto di stupirmi e ti sei rifiutata, lasciandomi nell'ignoranza più assoluta sulle tue effettive conoscenze intorno alle cose di cui parli con tanta sicurezza.

  79. E nell'ignoranza resterai. Capisc'a mmé.

    Io non ti conosco, io non so chi sei, so solo che hai cancellato con un gesto i sogni miei. Sono nata l'altroieri nei pensieri tuoi… eppure adesso stiamo insieme.

    A parte gli scherzi io riconosco umilmente di non sapere proprio nulla né di logica tradizionale, né di logica matematica, né di logica hegeliana, né di logica gentiliana, né di logica booleana, né di fuzzy logic. Non ne so nulla di nulla. Ma tu che ne sai di logica hegeliana? E' per te una logica?

  80. Ah, ma sei una burlona? Potevi dirlo prima! Sul cazzeggio credo che ci potremmo trovare molto d'accordo.

    Sulla logica hegeliana ti rimando a questo. :-D

  81. Torniamo seri. Nella recensione tu dici:

    Dovendo scegliere fra tre spiegazioni possibili (le uniche che egli riesca a vedere, e già qui si colgono dei limiti enormi nella sua millantata conoscenza delle teorie scientifico-filosofiche in campo), cioè fra il “caso”, il “miracolo” e la “necessità intrinseca”, egli dichiara di abbracciare la terza

    Quando Mancuso pone queste alternative si rifà evidentemente a Kant, alla Critica della Ragion Pura (Kant ne parla fra l'altro, non solo nella dialettica, ma anche prima in sede di discussione dei giudizi disgiuntivi, facendo intendere che si tratta delle uniche alternative possibili). Quindi possiamo dire che Mancuso è fermo a Kant. Ma quali potrebbero essere le altre alternative? Puoi chiarire che cosa intendi?

    Per quanto riguarda il tuo "velato" giudizio sulla logica hegeliana non lo condivido affatto. Per chiarirti le idee sulla fondamentale importanza di Hegel per quanto riguarda soprattutto la questione degli schemi, ti invito a visionare questo importante contributo, che provenendo da area anglosassone può forse venire incontro alla tua forma mentis. Il link è questo:

  82. Torniamo seri. Nella recensione tu dici:

    Dovendo scegliere fra tre spiegazioni possibili (le uniche che egli riesca a vedere, e già qui si colgono dei limiti enormi nella sua millantata conoscenza delle teorie scientifico-filosofiche in campo), cioè fra il “caso”, il “miracolo” e la “necessità intrinseca”, egli dichiara di abbracciare la terza

    Quando Mancuso pone queste alternative si rifà evidentemente a Kant, alla Critica della Ragion Pura (Kant ne parla fra l'altro, non solo nella dialettica, ma anche prima in sede di discussione dei giudizi disgiuntivi, facendo intendere che si tratta delle uniche alternative possibili). Quindi possiamo dire che Mancuso è fermo a Kant. Ma quali potrebbero essere le altre alternative? Puoi chiarire che cosa intendi?

    Per quanto riguarda il tuo "velato" giudizio sulla logica hegeliana non lo condivido affatto. Per chiarirti le idee sulla fondamentale importanza di Hegel per quanto riguarda soprattutto la questione degli schemi, ti invito a visionare questo importante contributo, che provenendo da area anglosassone può forse venire incontro alla tua forma mentis. Il link è questo

  83. vorrei chiedere a Marco Trainito che cosa pensa della caratteristica di sopravvivenza a ogni costo presente nel fenomeno vita, faccio riferimento al mio post n.86.

    Sarei grata di una risposta

    ciao

  84. Gentile Maria,

    perdonami se intervengo come moderatore, ma su Sitosophia teniamo alla serietà; che non è solo da applicare ai contenuti – ma anche alla forma. E con la forma, davvero, gli insulti e le allusioni fuori luogo hanno poco a che fare. Ti prego quindi di continuare la conversazione rispettando lo stile cui gli altri utenti del sito si adeguano.

    Ti ringrazio,

    Davide

    Sitosophia

  85. Scusa Davide ma dov'è che Maria ha insultato? in quale post? Forse mi sono perso qualcosa. Quanto alle allusioni fuori luogo ti riferisci al link al video dei Monty Python?

  86. Cari Ginoscorre e utenti di Sitosophia,

    chiedo scusa in primis a Maria perché, rileggendo più attentamente la discussione tra Marco Trainito e la stessa, ammetto serenamente che ho colto in un modo forse errato il tono di certe frasi (non mi riferivo per nulla, comunque, al divertente video); errore dovuto anche a sviste – seppur lievi – dannose. Chiedo ancora scusa dunque a Maria e poi a tutti gli altri utenti. In una battuta, "devo aver letto male".

    Prego però coloro che volessero intervenire nei commenti a restare sempre pertinenti sui temi e non attaccare mai le persone, per quanto velatamente. In un forum o luoghi virtuali come questo, è bene rispettare chi non si conosce ma giudicare e criticare solo gli interventi stessi.

    Un caro saluto a tutti,

    Davide

    Sitosophia

  87. vorrei chiedere a Marco Trainito che cosa pensa della caratteristica di sopravvivenza a ogni costo presente nel fenomeno vita, faccio riferimento al mio post n.86.

    Oh, Sandra, non penso niente di preciso al riguardo. Potrei dire: "E' la vita, bellezza". Ma dubito che si possa trarre qualcosa di significativo per noi da questo fatto relativo alla replicazione delle strutture molecolari.

  88. Quando Mancuso pone queste alternative si rifà evidentemente a Kant, alla Critica della Ragion Pura (Kant ne parla fra l’altro, non solo nella dialettica, ma anche prima in sede di discussione dei giudizi disgiuntivi, facendo intendere che si tratta delle uniche alternative possibili). Quindi possiamo dire che Mancuso è fermo a Kant. Ma quali potrebbero essere le altre alternative? Puoi chiarire che cosa intendi?

    Maria, le alternative a cui pensavo quando scrivevo quella rcensione sono chiaramente crittogrammate nel testo: non sono casuali le citazioni di Dennett e Dawkins, i quali (insieme ad altri) hanno proposto modelli di spiegazione che superano la vecchia antinomia tra "caso" e "necessità".

    Aspetto ancora tue delucidazioni sulle nozioni di Tutto e Infnito.

  89. Ok, mi leggerò Dennett e Dawkins e poi ne riparliamo. Se nel frattempo potessi sinteticamente dirmi quali alternative sono possibili oltre queste tre: caso, necessità, causa esterna (miracolo), mi faresti un gran favore, anche per orientare la mia lettura. Non vorrei che dopo la lettura riesca a ricondurre le ipotesi a una di quelle tre alternative o a un loro combinato. Saluti

    P.S.: non avevo alcuna intenzione di insultare o offendere nessuno. Sono stata solo un po' burlona, qui e là. Ma anche Trainito. Poi, vi prego di scusarmi per qualche intemperanza, perchè io sono solo una studentessa universitaria, triste e solitaria, in una mia stanzetta umida e scrivo al forum mentre ripasso la mia lezione di filosofia, curva sulla scrivania, e la sera mentre guardo il "soffito" penso sempre a Marco Trainito. Va bene la serietà, ma la seriosità no, mai!

  90. la replicazione delle molecole ci dice qualcosa sulle caratteristiche della materia. Sulla "natura" della natura che ha al suo interno la possibilità di duplicarsi,specchiarsi, rinnovarsi , darsi in nascite e creazioni che fino ad adesso non hanno avuto fine.

    Quindi qualcosa dicono, anche fossimo solo noi in questo universo,è indubbio che, caso o non caso, è da lì che veniamo, è lì che abbiamo la nostra matrice, qundi siamo nelle possibilità di questo universo che si rivela imprevedibile.

    In questo senso ha una logica il discorso di Mancuso.

    Ti faccio notare che non parlo da cattolica , ma che sto cercando di capire.

  91. Ok Davide. Nessun attacco personale ma piuttosto tematico.

    A Maria: o ti sei sposata a sedici anni oppure sei una studentessa universitaria grandicella. E l'eloquio "da esprit de finesse" di tuo marito?

  92. Come Maria (l'avevo chiesto in un mio intervento precedente) anche a me piacerebbe che Trainito ci desse qualche indicazione sulle alternative alle cause sull'origine della vita individuate da Mancuso.

    Grazie

  93. Come Maria (l’avevo chiesto in un mio intervento precedente) anche a me piacerebbe che Trainito ci desse qualche indicazione sulle alternative alle cause sull’origine della vita individuate da Mancuso.

    Grazie

    Essendo ultimamente distratto da ben altre questioni, non vorrei qui correre il rischio di una eccessiva banalizzazione. Quello che posso fare è tornare a rimandare a testi facilmente reperibili che a mio parere contengono modi molto più interessanti e fondati di affrontare certe questioni rispetto a un approccio come quello di Mancuso. Ne cito solo due (peraltro già citati nella recensione): L'orologiaio cieco di Dawkins e L'idea pericolosa di Darwin di Dennett. Chi è interessato, vi troverà argomentazioni e conoscenze di ben altro spessore. Se poi uno ha voglia di "ganci appesi al cielo", come direbbe Dennett, si tenga Mancuso e Rosa Alberoni. Padronissimo.

    In sintesi, e usando l'armamentario lessical-concettuale di Dennett e Dawkins, dirò solo che l'alternativa "caso" o "necessità" (intrinseca, cioè risultante da un progetto intenzionale da parte di una Mente superiore, secondo quelli che la pensano come Mancuso) è oggi da molti scienziati e filosofi della biologia considerata un falso dilemma. Non è vero che la negazione del caso cieco è il progetto intrinseco, e non è vero che la negazione del progetto intrinseco è il caso cieco. L'"orologiaio cieco" può lavorare con un algoritmo (anch'esso cieco e "stupido"), quello della selezione naturale, che si articola in una cascata di gru, le quali, nello spazio dei progetti (che Dennett chiama "La biblioteca di Mendel") rendono esattamente quel servizio – la "creazione" della crescente complessità biologica, dagli eucarioti alla mente umana – che molti preferiscono ascrivere a un "gancio appeso al cielo" (Dio o chi per lui). Le cosiddette mutazioni "casuali" non bastano, perché il successo di una esplorazione cieca nello spazio delle possibilità dipende, tra l'altro, dal fatto che questa sia o meno una "buona trovata" e ogni passo avanti modifica il quadro dei percorsi creando quella che vienene chiamata "pressione selettiva".

    So bene di non aver dato una risposta esauriente. Spero solo di aver suggerito una direzione della risposta, ovvero una direzione verso quelle che a mio parere sono le risposte migliori avanzate fino ad ora. Il tutto è materia di dibattito, naturalmente. Ma non c'è dubbio che molte categorie filosofiche tradizionali devono essere considerate inadeguate alla luce delle scoperte più recenti nel campo della biologia molecolare. Per esempio, se uno va a vedere come avviene la diplicazione del DNA nel dettaglio biochimico, si accorge che non c'è niente di misterioso e che tutto è maledettamente "stupido", oltre che fantastico.

  94. Se poi uno ha voglia di “ganci appesi al cielo”, come direbbe Dennett

    Non sapevo che Dennett si rifacesse al Baglioni di Strada facendo:

    "Strada facendo troverai un gancio in mezzo al cielo e sentirai la strada fare battere il tuo cuore…". Interessante.

    Per ginoscorre: lo ammetto, sono un po' attempata, mi sono laureata in lettere classiche e adesso è da un po' che provo a prendere la seconda laurea. Ho tre splendidi bambini: Giorgio, Guglielmo e Federico.

    La risposta di Trainito è ovviamente molto sintetica, ma stimolante. Prometto che leggerò Dennett e Dawkins al più presto. Ci risentiamo.

  95. Bene, Marco Trainito, io concordo pienamente sulla tesi dell'Orologiaio cieco di Dawkins che non c'è finalità o progetto nella selezione naturale perchè il senso è proprio quello della creazione continua e imprevedibile e mi guardo bene dal considerare la nostra specie al vertice di una scala o come compimento di un progetto!

    Noi ci estingueremo e altre diverse forme prenderanno il nostro posto e non le possiamo immaginare.

    Ma la cecità per Dawkins riguarda l'intenzionalità e la finalità nello sviluppo della vita, mentre non può riguardare il processo in sè che non è , come lui stesso sostiene ,casuale.

    Il processo in sè ha le caratteristiche di un orologiaio tutt'altro che cieco la cui finalità è il suo lavoro stesso.

    Ho chiarito il mio pensiero?

    ciao

  96. completo il ragionamento….

    la "discontinuità" per usare un termine di Mancuso, relativamente alla specie umana, è la capacità di creare cultura, informazione, di interferire attivamente con la natura.

    La cultura del Rinascimento, ad esempio, vedeva nell'uomo una capacità di creazione autonoma che poteva far pensare all'uomo come l'immagine del Dio creatore.

    Fuor di metafora, è l'uomo che sta per provocare un "big-beng"

    sotto terra, non il cane, anche se questo non significa che la vita di un uomo sia migliore per forza di quella di un cane.

  97. Sono d'accordo anche con Dennet che la mente umana è una macchina naturale e la coscienza il suo corollario.

    Non credo nel dualismo corpo-mente, ma vedo la materia ,physis, organizzata in modo complesso con macchine mentali capaci d'inventiva e di cambiamento del reale.

  98. insomma la mente è quella macchina che permette a Daniel Dennet di dire: sono una macchina, cioè una funzione dei complessi circuiti neuronali del cervello.

    Daniel Dennet è un robot intelligente.

  99. Marco T. ha scritto:

    “L'orologiaio cieco può lavorare con un algoritmo (anch'esso cieco e “stupido”), quello della selezione naturale, che si articola in una cascata di gru”.

    Che vuol dire “cascata di gru”? Cos'è una gru? Sono andato a cercare la parola sul vocabolario e ho trovato le seguenti definizioni: 1) uccello 2) macchinario edile 3) apparecchio per le riprese cinematografiche e televisive 4) antica macchina bellica.

    Siamo d'accordo sul fatto che in un post è impossibile essere esaurienti, ma, caro Marco T., non tutti sono tenuti a sapere cosa sia una cascata di gru.

  100. Marco T. ha scritto:

    “L’orologiaio cieco può lavorare con un algoritmo (anch’esso cieco e “stupido”), quello della selezione naturale, che si articola in una cascata di gru”.

    Che vuol dire “cascata di gru”? Cos’è una gru? Sono andato a cercare la parola sul vocabolario e ho trovato le seguenti definizioni: 1) uccello 2) macchinario edile 3) apparecchio per le riprese cinematografiche e televisive 4) antica macchina bellica.

    Siamo d’accordo sul fatto che in un post è impossibile essere esaurienti, ma, caro Marco T., non tutti sono tenuti a sapere cosa sia una cascata di gru.

    Hai ragione, Gino. Però premettevo il riferimento alle fonti e sarebbe bastata una piccola ricerca in rete per fugare i dubbi. Sulle nozioni dennettiane di "gru" e "ganci appesi al cielo" puoi dare un'occhiata qui. All'inizio del § 2 trovi questo passo: Con gancio appeso al cielo si intende un processo, un potere o una forza che sottintendono la presenza iniziale di una mente, un’ eccezione al principio che ogni progetto, e tutto quanto appare come un progetto, sia in ultima analisi il risultato di una meccanicità in cui non entrano in gioco né menti né motivi. Una gru, di contro, è un sottoprocesso o una particolare caratteristica di un processo di progettazione, di cui si può dimostrare sia che permette l’accelerazione locale del lento processo di base della selezione naturale, sia che è esso stesso il prodotto prevedibile (o spiegabile a posteriori) del processo di base.

    L'autrice della tesi non mette le virgolette, ma si tratta di una citazione di un passo de L'idea pericolosa di Darwin (§ 3.2, pp. 94-95 dell'ed. it. Bollati Boringhieri 2004). Ti riporto un altro passo di Dennett, che si trova poco prima, alle pp. 93-94, in cui ricorre l'espressione "cascata di gru": "Chi, come me, abbia curiosato tutta la vita per i cantieri avrà notato con qualche soddisfazione che a volte è necessaria una piccola gru per innalzarne una grande, e anche a molti altri osservatori deve essere venuto in mente che in linea di principio si potrebbe usare la gru più grande per permettere, o accelerare, la costruzione di una grande gru ancor più spettacolare. Una cascata di gru è una tattica che si usa di rado più di una volta, se mai la si usa, nei progetti costruttivi del mondo reale, ma in linea di principio non vi è limite al numero di gru che si potrebbero organizzare in serie per realizzare un risultato imponente. / Si immagini ora tutto l''innalzamento' che si deve realizzare nello 'spazio dei progetti' per creare i magnifici organismi e (altri) manufatti che si incontrano nel mondo. Si devono essere percorse enormi distanze a partire dagli albori della vita con le prime entità autoriproducenti, le più semplici, con una diffusione in ampiezza (diversità) e in altezza (pregio). Darwin ha offerto una spiegazione del processo di innalzamento meno raffinato, più rudimentale e più stupido che si possa immaginare – il cuneo della selezione naturale. Compiendo passi piccolissimi – quanto più possibile – il processo può traversare, nel corso di eoni, queste distanze enormi. Questo è quanto sostiene Darwin. In nessun punto è necessario qualche cosa di miracoloso, proveniente dall'alto. Ogni passo si realizza grazie a una salita semplice, meccanica e algoritmica da una base di partenza costruita con gli sforzi compiuti con altre salite precedenti".

    Quali esempi di "gru", poco più avanti Dennett discute il "sesso" (come strumento di riproduzione distinto dalla riproduzione asessuata e rivelatosi una "buona trovata"), l'ingegneria genetica e il cosiddetto "effetto Baldwin".

    Uno degli aspetti più notevoli di questo approccio consiste nel fatto che esso mette definitivamente fuori gioco tutte le teorie che postulano una mente, un'intenzione intelligente (o addirittura onnisciente) all'inizio del processo evolutivo (biologico o addirittura cosmico). Se c'è una cosa che sappiamo con sufficiente certezza è che la capacità di progettare intenzionalmente algoritmi orientati a uno scopo (i giochi, i calcoli, ecc.) è un prodotto tardo, tardissimo, dell'evoluzione. Chi invece vuole il Progettista intelligentone alla base di tutto, deve fornire una risposta chiara (cioè non fideistica e nemmeno assiomatica, vale a dire alla Spinoza o alla Goedel) alla seguente domanda: Come diavolo ha fatto Costui a diventare così bravo da riuscire a progettare un universo?

  101. posso provare a rispondere alla sua domanda? A modo mio?

    Dal suo ultimo intervento,si evidenzia, alla luce degli scienziati e filosofi che lei cita,che l'intero processo evolutivo è una lentissima costruzione che non si poteva prevedere o progettare in partenza.

    Mi pare che questa visione non sia in contrasto con il principio di impersonalità e di "libertà"( nel senso che le leggi naturali funzionano per conto loro senza interventi "dal cielo")di cui parla Mancuso nel suo libro.

    Per Mancuso, se l'ho ben interpretato,la natura è altro da Dio, con le sue leggi e la sua "autonomia".

    Non c'è una divina intelligenza che guida il processo, si fa da sè con le sue leggi intrinseche.

    Mancuso inferisce dal profondo bisogno di amore dell'uomo l'idea

    che Dio sia Relazione.

    Alla sua domanda risponderei in due modi:

    1)non è stato progettato da un Progettista intelligentone, ma agisce impersonalmente con leggi che hanno caratteristiche tendenti alla "relazione ordinata"(sempre per usare il linguaggio di Mancuso)

    2)se c'è un Progettista, come ha fatto a DIVENTARE così bravo da progettare un universo?

    Potrebbe essere il risultato di un universo in cui l'evoluzione è andata oltre la nostra….

    Spero che stavolta mi risponda, sarò via fino a Martedì senza Internet, ci "sentiamo" al ritorno

    Sandra

  102. per completare la mia risposta aggiungo che nel libro " L'anima e il suo destino" l'universo appare più generato che creato, un figlio, non un clone, ha il SUO carattere, è o deve diventare, autonomo.

  103. Ho capito, Sandra, ma Mancuso non dice solo questo. Se vai al § 46, pp. 126-134, egli distingue chiaramente un "Principio Ordinatore immanente" (cui anche tu fai riferimento) da un "più alto Principio personale" e dice che il primo "rimanda" al secondo, il fondamento, anzi la "sorgente" di questo "argomento" essendo "solo, esclusivamente, esistenziale" (p. 133). Poco prima aveva detto che "il problema dell'esistenza o non esistenza di Dio è un problema impostato male. Che Dio esiste, infatti, è del tutto evidente, ammesso che si comprenda che cosa è in gioco quando si parla di Dio" (p. 127). Ecco: io non l'ho capito cos'è che c'è in gioco, malgrado i suoi e i miei sforzi, e quindi continuo a non trovare alcunché di evidente nel discorso di chi vuole vendere come ipotesi ragionevole ciò che per educazione ha imparato ad accettare

    per fede. Io ammiro i suoi sforzi di sganciarsi da certi dogmi della Chiesa e di fondare razionalmente il nucleo essenziale delle sue credenze, ma non mi pare che raggiunga risultati rilevanti, se poi tutto quello che ha da dire è che "il Logos impersonale immanente al mondo si è manifestato come persona, perché c'è stato un uomo, Gesù di Nazaret, che l'ha perfettamente riprodotto in se stesso" (p. 134). Asserzioni di questo genere sono solo catechismo travestito da filosofia per ragazzi e non riescono a nascondere del tutto la loro origine nel pensiero magico (un Logos che si manifesta come persona fa pensare anche a un effetto speciale cinematografico).

  104. credo che la frase (pag 127):"ammesso che si comprenda che cosa è in gioco quando si parla di Dio" fa riferimento al fatto universalmente riconosciuto in ogni tempo che la nostra vita non dipende da noi (data e luogo di nascita, corpo e carattere, morte,ecc…), c'è una" signoria " su di noi che gli uomini hanno chiamato Dio. Ma il vero problema per Mancuso non è questa evidenza del fatto che noi dipendiamo da qualcosa d'altro, ma quale sia questa "identità".

    L'argomento esistenziale per sostenere che questa identità sia "personale" è nella "custodia della bellezza e della grazia della vita personale".

    L'esperienza di essere "persona" e soprattutto l'esperienza dell'amore come fondamento dell'essere,porta Mancuso a ritenere ragionevole pensare all'identità dell'Essere come Amore, principio del tutto coerente con il messaggio evangelico.

  105. Personalmente ritengo che, anche se l'essere , l'universo in cui stiamo e di cui abbiamo esperienza, lo riteniamo un dato di fatto, qualcosa che c'è e funziona con le leggi scientifiche, almeno con quelle che fino ad oggi conosciamo ed è l'unica certezza( parziale) che abbiamo, rimane il fatto che in fondo questo maledetto interrogativo del perchè c'è l'essere che c'è, ci viene in testa.

    Se tu Marco mi dimostri che è sbagliato porselo, grazie, ma tant'è, io vorrei sapere cos'è questo essere che c'è.

    Mancuso dice che, se nella storia dell'Universo è comparsa la persona, ciò può avere una logica oppure no.

    O la faticosa comparsa della vita intelligente personale è qualcosa di improprio, un fenomeno transeunte e bizzarro, oppure la nascita della persona e della libertà personale (qui per Mancuso si identifica la persona come capacità di agire in modo libero)ha una logica.

    Mancuso continua dicendo che dall'Io possono venire le cose più grandi in cima alle quali c'è l'amore.

    Ricordo di aver ascoltato il Dalai Lama dire che noi stiamo bene quando amiamo e siamo amati, solo allora il nostro corpo e la nostra mente, peraltro intimamente legati, stanno in pace.

    L'amore della madre ci permette di vivere e, se non siamo amati, possiamo crescere fisicamente, ma non diventare persone.

  106. Ho letto il libro di Mancuso, anche se non integralmente e un pò velocemente.

    Nonostante abbia trovato diverse difficoltà nella sua posizione, diverse incoerenze, l'ho accolto con simpatia e l'ho trovato interessante.

    Brevemente vorrei qui dire perchè.

    Non mi interessa l'intento apologetico della religione cristiana nè il tentativo di razionalizzazione dei suoi dogmi, che trovo compito irto di insormontabili ostacoli e in fondo persino inutile. In generale l'idea di trasferire i contenuti di una religione in contenuti di una credenza giustificabile razionalmente non mi trova favorevole. Si tratta di una metabasis spericolata che salta i problemi ermeneutici legati ai generi letterari. Senza parlare poi del fatto che un dogma in quanto esito di un dibattito comunitario può aver stratificate delle idee filosofiche ma è soprattutto un equilibrio storico politico tra correnti interne alla storia di una chiesa e trova la sua motivazione non nella ricerca della verità ma in condizionamenti pragmatici legati alla sopravvivenza e all'identità dell'istituzione.

    Non trovo inoltre che l'impianto metafisico di Mancuso riesca poi tanto ad approfondire in modo adeguato la visione cristiana autentica. Molti suoi argomenti riportano ad una intuizione ideale dell'armonia della realtà, e tendono a interpretare la stessa spiritualità in termini platonici-aristotelici come forma ideale. Ora il grande problema platonico-aristotelico è proprio la natura della materia e il dualismo tra intelligibile ed esistenziale. Come si fa ad interpretare l'anima in termini di idea senza riproporre i soliti dualismi?

    Detto questo vorre però dire anche perchè ritengo l'operazione di Mancuso interessante e non ipocrita o peggio ancora opportunista.

    L'autore si è preso le critiche e dei laici e dei padri gesuiti della Civiltà cattolica. Questo sta ad indicare che la sua intenzione è sincera, mossa da un bisogno autentico, indirizzata ad un autonoma ricerca di chiarificazione spirituale.

    Questa intenzione io la vedo nel voler proporre il senso antico di razionalità.

    Che ci sia o non ci sia Dio non è poi questione teoretica. Questione teoretica è secondo me formulare un quadro di razionalità. Personalmente non credo che lo scetticismo, lo sperimentalismo, l'empirismo siano capaci di fornirci questi quadri. Anzi se devo dire schiettamente come la penso, senza poter motivare meglio visto la complessità dell'argomento, credo che la negazione dell'elemento spirituale della ragione (la negazione del fatto che sia razionale porsi domande sul senso ultimo, sugli scopi ultimi, della nostra presenza nell'universo) non soltanto distrugge l'elemento tradizionale e perenne della ricerca della saggezza, ma porta ad una ragione sempre più cieca, meccanica, irresponsabile.

    Non sono un reazionario, sono pronto anche a concepire dei robot pensanti e il trionfo di una scienza sempre più addentro ai misteri della natura. Quello che non capisco è perchè rifiutare i criteri tradizionali di valore che hanno permesso di riconoscere all'uomo una identità spirituale ben precisa. Se un robot fosse intelligente non dovrebbe porsi i problemi di senso che noi stessi ci poniamo e non dovrebbe cercare di risolverli secondo le stesse idee guida che non ci siamo costruiti nei secoli. Perchè rifiutarsi di capire che l'Idea di Bene è una idea di ragione? Questo lo ammettevano Hegel, Husserl, Banfi (marxista) e per essi si poteva porre, in modo critico e metodologico, un problema sull'esistenza di Dio senza essere considerati baciapile. Insomma, Dio non è una cosa ma una idea e senza idee l'uomo è più povero. Non si pensi che l'Idea di Dio sia una banalità come quella dei cento talleri.

    Beh molto presuntuosamente ho detto la mia.

  107. Ah, rispetto ad Hegel, trovo irresitibile il motto di Adorno, secondo cui Hegel sarebbe sempre più vero di Carnap anche se fosse completamente falso.

    Evidentemente formalizzare questo motto di spirito non è facile, tuttavia a me piace lo stesso e ci trovo qualcosa di giusto.

  108. vorrei chiedere a Marco ( e agli partecipanti al forum)se è improprio chiedersi la CAUSA del nostro esserci o dell'essere così come lo conosciamo.

    Cioè se il fatto di porsi queste domande è un vizio della mente che in realtà è fatta per vivere appieno la sua realtà nel mondo e basta, oppure no, corrisponde a un porsi normale nei confronti di ciò che siamo e ci circonda.

    Oppure ancora se la ricerca e le risposte scientifiche sono gli unici dati a cui dobbiamo attenerci, consapevoli del fatto che così è e non ha senso nè logica domandarsi il SIGNIFICATO dell'esistere.

    Spero di essere riuscita a spiegarmi.

    Grazie della/e risposta/e

  109. Sandra, provo a confrontarmi col tuo interrogativo.

    Io direi questo.

    Credo che non si possa identificare la ricerca della causa con la ricerca del significato. Mentre le cause sono fatti, i significati sono valori. La causa di una cosa può essere anche il caso. Tuttavia una volta che ciò che esiste ha per noi valore, anche se è stato generato dal caso, la struttura o forma di questa cosa diventa il senso e il fondamento della sua esistenza. Un pesce x nasce per caso dal fatto che nessuno si è mangiato l'uovo y. Ma una volta nato è fatto per respirare nell'acqua, è questa è la sua identità profonda. Non può dire: siccome sono nato per caso, non ha senso neanche che io abbia le branchie. Un'intera storia filogenetica ha prodotto la necessità che avesse le branchie!!!! a allora usale!!!

    Senza ricorrere a visioni divine e provvidenzialistiche difficili da ammettere da parte di tutti, se anche io sono nato per una combinazione di eventi casuali (direi che anche nell'incontro tra due esseri che saranno madre e padre la casualità gioca un ruolo evidente), il fatto che io esisto ha per me molto valore e anzi nell'approfondimento che io faccio delle ragioni della mia esistenza (approfondimento che mette in gioco la mia libertà, le mie emozioni, la mia intelligenza e relazionalità, le mie scelte, i mie progetti, il mio rapporto con la realtà e i suoi vincoli) posso trovare una serie di valori profondi che danno senso alla mia vita e in un crescendo illuminano il senso della mia famiglia, della società, della storia, della terra, ecc.

    Credo che Hegel quando discute della categoria di causalità e la subordina gerarchicamente a categorie più complesse come l'azione reciproca, in nesso scopo-fine, la vita, il bene, sia comprensibile, a riguardio di ciò che intendeva, proprio a partire da queste semplici considerazioni (che sono anche Kantiane e in cui si ritrovano persino le argomentazioni scettiche di Hume. Altrimenti per me è incomprensibile. Si la causa serva a qualcosa, ma non è lo strumento unico della razionalità. Conosco tra i moderni uno solo che la tiene in etrema considerazione, ed è Spinoza, ma anche lì, si potrebbe discuterne, giacchè Spinoza ha poi altri mezzi per elevare la mente al senso dell'essere.

    Sotto il prossimo.

  110. Mah, Sandra, non ci sono solo le risposte scientifiche, e quelle scientifiche non sono sempre "risposte", ma piuttosto congetture audaci e talvolta affascinanti.

    Per esempio, sulla "causa" del mio "esserci" temo di non avere dubbi e per giungere alla mia risposta certissima non ho avuto bisogno di consultare né gli scienziati né i filosofi, e nemmeno i preti: mi è bastata la parola dei miei genitori, suffragata da qualche tratto fenotipico abbastanza evidente (la mia risposta è meno banale di quanto sembri: molta gente è più sicura di provenire da Dio che dai genitori, e molti genitori giurerebbero che i loro figli li ha voluti Dio).

    Sulla "causa" dell'essere in generale… beh, qui le risposte avanzate sono tantissime, come sappiamo benissimo, se non altro perché è piuttosto difficile scoprire la verità. Personalmente non prendo in considerazione quelle dei preti più o meno da quando avevo 5 anni. Poi, crescendo, ho via via scartato le risposte di quei filosofi in qualche modo impegnati a fornire versioni più presentabili delle stesse risposte dei preti. Ora come ora, su questi temi, sono molto intrigato dalle congetture "cosmogoniche" della fisica teorica, da Edward Tryon a Stephen Hawking, per intenderci, che per me sono i veri eredi di Anassimandro. A tal proposito segnalo questo pezzo di Odifreddi, arguto, spassoso e in qualche modo profondo (ora in Il matematico impenitente, Longanesi 2008, pp. 159-162).

  111. Mah, Sandra, non ci sono solo le risposte scientifiche, e quelle scientifiche non sono sempre "risposte", ma piuttosto congetture audaci e talvolta affascinanti.

    Per esempio, sulla "causa" del mio "esserci" temo di non avere dubbi e per giungere alla mia risposta certissima non ho avuto bisogno di consultare né gli scienziati né i filosofi, e nemmeno i preti: mi è bastata la parola dei miei genitori, suffragata da qualche tratto fenotipico abbastanza evidente (la mia risposta è meno banale di quanto sembri: molta gente è più sicura di provenire da Dio che dai genitori, e molti genitori giurerebbero che i loro figli li ha voluti Dio).

    Sulla "causa" dell'essere in generale… beh, qui le risposte avanzate sono tantissime, come sappiamo benissimo, se non altro perché è piuttosto difficile scoprire la verità. Personalmente non prendo in considerazione quelle dei preti più o meno da quando avevo 5 anni. Poi, crescendo, ho via via scartato le risposte di quei filosofi in qualche modo impegnati a fornire versioni più presentabili delle stesse risposte dei preti. Ora come ora, su questi temi, sono molto intrigato dalle congetture "cosmogoniche" della fisica teorica, da Edward Tryon a Stephen Hawking, per intenderci, che per me sono i veri eredi di Anassimandro. A tal proposito segnalo questo pezzo di Odifreddi, arguto, spassoso e in qualche modo profondo (ora in Il matematico impenitente, Longanesi 2008, pp. 159-162).

  112. Cara Sandra,

    Per chi crede che l'unico compimento possibile all'uomo sia l'esercizio corretto della facoltà logico-razionale, domande come la causa e il significato dell'essere e dell'esserci non hanno senso. La causa del nostro esserci è nè più nè meno la stessa dell'esserci di tutte le altre specie viventi presenti sulla terra, cioè nessuna: siamo uno degli innumerevoli prodotti dell'evoluzione. La nostra causa è l'evoluzione stessa. Allo stesso modo, il significato del nostro esserci è nell'evoluzione, che, come ci ha portato alla propagazione, così ci porterà all'estinzione. Il nostro significato, cioè il nostro più o meno lontano futuro, è l'estinzione della specie homo sapiens.

    Ma chi crede che il compimento dell'uomo stia non nella logica ma nell'ascolto, nell'attenzione umile (cioè non debole o disonorevole come la parola è oggi intesa dai più, ma "terragna", da "humus") verso tutto ciò che ci circonda; chi ritiene che l'uomo abbia disperatamente bisogno di un nuovo patto con la natura; chi sospetta che l'uomo raggiunga il culmine quando lascia essere le cose dentro di sé, sospendendo (attenzione: sospendendo, non eliminando) il giudizio; ecco, queste persone devono andare in cerca di chi non crede, ma fa tutto ciò; e a loro, a loro che vi sono così compenetrati, rivolgere la domanda sull'essere.

  113. ginoscorre

    Ho seguito il forum senza quasi mai intervenire, ma ora te la devo dire. Belle parole le tue, non c'è dubbio. Ma assai fumose: che vuol dire "il compimento dell'uomo non sta nella logica ma nell'ascolto"? Qeste cose le dicono i preti. Sei anche tu un prete? I preti ascoltano molto, si dice, nel confessionale. Certo che se sei un prete hai un nickname proprio stupido. Qui siamo in un forum, non in confessionale, e qui si discute con la logica, non si evita il confronto invitando la gente, come tu fai, ad andare in cerca di santi o che diavolo altro. E menomale che invitavi Marco a spiegare che cos è la cascata di gru. Spiegati tu invece.

    Luigi

  114. rispondo al post 130 di Marco.

    Ho letto l'articolo di Oddifreddi sul nulla.

    L'energia esiste o no, allora? Pare di no se tutto è un gioco di equilibrio vuoto-pieno tendente al nulla, nulla però instabile.

    Particelle ed antiparticelle che si compensano a vicenda.

    Il "nostro dio" sarebbe questo tutto-niente indistinto dove "tutte le vacche sono nere" e noi apparizioni "distinte", flash leggibili perchè distinti del tutto-niente.

    Il nostro substrato profondo quindi è QUESTO a cui torniamo, per la religione indiana noi siamo MAIA ,pura apparenza in un gioco di scatole cinesi.

    Un universo olografico dove tutto è interconnesso e tutto è in tutto. O niente in niente.

    Certo l'instabilità del nulla farebbe risorgere l'eterno quesito del perchè.

    Chissà invece se queste forme tracciate nella tela del vuoto lasciano orme, modificazioni, sono insomma come i fotogrammi eterni di Severino, o scompaiono.

  115. mi rivolgo sia a ginoscorre che a Luigi.

    Non trovo corretto l'attacco a Ginoscorre per avere espresso le sue opinioni.

    Mi pare che il suo invito sia stato frainteso , secondo me ha detto una cosa importante, cioè cercare dentro di sè la propria natura ,il nostro essere tutt'uno con la natura che ci circonda ,la gioia di esserci e di durare

  116. sempre sul vuoto quantistico.

    Ho letto che il punto di energia zero è quello a maggior energia..

    Qualcuno sa indicarmi qualche sito per capirne di più?

    Marco ha citato Tryon e Hawking, c'è un sito divulgativo sulle teorie a proposito dell'origine dell'universo?

    Grazie

  117. ringrazio anche Rosario della sua risposta, se ho ben capito sostiene che non ha importanza tanto PERCHE' sono ma COME sono perchè questo fonda la mia realtà e il mio senso

  118. Si Sandra, hai sintetizzato bene.

    Tuttavia la mia ambizione sarebbe un altra. Poter mostrare che esistono diversi tipi di "perchè" e quindi diversi livelli in cui si può porre quella domanda, tutti livelli "razionali".

    Confesso la mia fede idealista. Mi interessa più il modo con cui l'uomo rende ragione delle cose che la natura delle cose in sè stesse. Per me un romanzo riscostruisce dei mondi possibili e rivela verità pur non denotando alcun fatto osservabile e la mente è un laboratorio di scenari possibili.

    Non che le cose e i fatti non siano rilevanti, ma vi sono alcune cose che anzicchè sapere se esistono o no è più importante sapere se sono coerenti, logiche, benformate, utili. Essere o non essere non è l'estrema questione, Essere in modo da distinguersi e differenziarsi dal non essere è già una questione più interessante. Ci sono delle cose che sono state e di cui avrei fatto volentieri a meno e cose che non sono ancora che vorrei fossero finalmente. "Che cosa" è e "che cosa" non è, è una questione di livello superiore. "Perchè" e "per chi" è buono o giusto o utile che una cosa sia o non sia. E tutti questi ragionamenti pratici noi li facciamo quotidianamente.

    Le affermazioni sintetiche sul nulla che si pretendono tratte da fondate teorie fisiche, sono a mio avviso, non diversamente dai miti degli aborigeni, forme di affabulazione.

    Forse per questo l'intelligente Odifreddi le ha inserite in un articolo-inventario sulle storie del principio.

    Tuttavia la filosofia non dovrebbe raccontare storie. Quello lo fanno già i miti. Mi rifiuto di pensare che la civilizzazione consista nel passare dallo stregone al fisico nucleare chiedendo ai due le stesse cose senza cambiare mentalità. Ma perchè abbiamo questo bisogno che qualcuno ci venga a dire che la terra sta sopra un elefante che sta sopra una tartaruga che sta sopra un serpente che sta sopra un gatto quantistico presente/assente e la sua oscillazione entificante-nullificante?

    Allora preferisco Carnap che ha scritto la "sintassi del linguaggio" per spiegare che lui si occupava della fisica in quanto essa è una forma di linguaggio e solo in subordine anche una ontologia.

    Trattiamo le parole come se fossero cose. Mentalità un pò magica e primitiva. Se raccontiamo favole dovremmo andare a lezione dai primitivi, non c'è bisogno dei fisici o dei matematici.

  119. ma come dicevi tu, anche le favole e i romanzi raccontano verità…

    Invece per me le domande ontologiche su cos'è l'essere e perchè c'è nascono dal fatto crudo della morte personale e dico personale perchè chi dice "sono" non vuole "non essere".

  120. Sto approfittando un pò dello spazio dedicato alla recensione di Marco, che ringrazio e a cui faccio i complimenti per lo stile argomentativo.

    La questione posta da te Sandra mi pare ci riguarda tutti.

    Chi dice sono non vuole non essere= traduciamo chi vive non vuole morire. Però confermano tutte le saggezze che proprio per essere e vivere bisogna rischiare di non essere e in certi casi morire. Per farsi riconoscere "uomini" bisogna non aver paura di morire e di "non essere". Tutti i profeti religiosi attraversano la morte appunto per essere.

    Allora il vero problema non è costodirsi e difendersi contro il non essere ma capire quale essere è capace di contenere il non essere in sè senza dissolversi. La morte c'è, ma c'è qualcosa che vale più della morte?

    Secondo me sì, basta leggere non dico il libro dei morti degli egiziani, ma Machiavelli o Tito Livio. Annibale se avesse avuto paura di morire non avrebbe mai invaso l'Italia, il Principe se ha paura di morire è meglio che si ritira. Che poi si muoia è ovvio, ma come? Ettore sa di morire ma deve lo stesso andare incontro alla morte, e lo stesso Achille. E' vero poi Achille dice a Ulisse che avrebbe preferito vivere a tutti i costi….ma si è guadagnato la possibilità di dirlo e di essere creduto solo perchè in vita non ha voluto la sopravvivenza a tutti i costi, per esempio a costo della gloria.

    Sto prendendo gusto ad intervenire…ora mi quieto.

  121. Per Marco Trainito:

    sempre a proposito della lettura dell'articolo di Oddifreddi:

    nessuno in questo forum, credo, pensa a una soluzione sempliciotta dell'essere con un dio bonario.

    Ma le scoperte scientifiche anzichè azzerare le domande ,le aumentano, accrescono il fascino.

    Che dal nulla, come dice Oddifreddi, nasca un Oddifreddi che dice "siamo nulla", aumenta la suspence, o no?

    Perchè se per noi nulla è nulla, cioè niente, se continuiamo a dar valore alla parola, allora nulla è anche il mio atto di partecipare al forum o il sole che c'è oggi.

    Attendo una risposta

  122. Cara Sandra,

    non temere. Non siamo fatti della stessa materia del nulla, per parafrasare Shakespeare. Non dovresti prendere troppo sul serio certe provocazioni di Odifreddi. Dietro alle sue variazioni ironiche sul nulla c'è semplicemente la tesi, molto plausubile alla luce delle conoscenze più avanzate sulla struttura della materia, che l'energia-materia totale del Tutto sia zero. Ma questo non vuol dire che noi siamo nel Nulla, o che addirittura siamo nulla. Sarebbe una conclusione a dir poco bizzarra. Volendo semplificare, considera che un modo per scrivere zero è A + (-A), e noi, convenzionalmente, possiamo collocarci in A (pensa alla materia e all'antimateria): ma ciò è altra cosa dal dire che A = 0.

    Dunque, puoi stare tranquilla: non sei "nulla"! :-D

  123. Vi segnalo questo dibattito accesosi in questi giorni dopo il clamoroso addio alla Chiesa di Betori e Ratzinger (non alla fede, dunque) da parte della filosofa Roberta De Monticelli, affidato alle pagine de "Il foglio". Interessante il gioco delle parti: il nostro caro amico Vito Mancuso, allievo del cardinale Carlo Maria Martini, dà ragione alla De Monticelli, mentre l'ateo devoto Giuliano Ferrara, tanto per non sbagliare, appoggia comunque Betori e Ratzinger, anche se Dio, alla fine, non dovesse esistere.

    Pur non apprezzando Mancuso (lo si era capito?), ho trovato argute le sue argomentazioni. La De Monticelli, invece, l'ho sempre apprezzata per come ha curato nel 1990 l'edizione italiana Adelphi delle Osservazioni sulla filosofia della psicologia di Wittgenstein, arricchendola con una notevole postfazione, un'utilissima tavola delle concordanze con altre opere wittgensteiniane e un indice analitico molto accurato (non per nulla il libro costava 65.000 lire, che a quell'epoca rappresentarono per me una mazzata sui denti). Tuttavia ritengo assolutamente vana la sua posizione di donna coltissima che cerca di argomentare, contro la Chiesa, cioè contro chi le ha insegnato in cosa credere, e con riferimenti ai Padri della Chiesa e al cristianesimo illuminista, a favore di una dottrina che resta fondamentalmente fondata su una fede che impone alla tua intelligenza di credere in ciò che sai che non è così, come diceva lo scolaretto di Mark Twain.

    Quanto spreco di intelligenze nella cultura italiana compromessa col cattolicesimo! E che sensazione di aria fresca e luminosa quando si aprono certi filosofi angloamericani… C'è per esempio un libro di John R. Searle, Mente, linguaggio, società. La filosofia nel mondo reale (1998, tr. it. Raffaello Cortina 2000), dove uno può leggere uno straordinario paragrafo intitolato "Oltre l'ateismo", in cui si spiega in poche e lucidissime parole, e sulla scorta di Bertrand Russell, come la fede religiosa (qualsiasi fede religiosa) sia semplicemente un modo di rapportarsi alle cose che non ha più alcuna ragion d'essere in un'epoca in cui sappiamo ormai come funzionano esattamente quelle cose (la vita e la morte, per esempio) di fronte al cui mistero gli uomini del passato erano costretti a formulare spiegazioni religiose. Sicché non è più questione nemmeno di diventare atei, ma di andare oltre l'ateismo e di guardare le cose con l'occhio disincantato e demistificante della conoscenza scientifica. Mentre in Italia (e non solo) c'è ancora chi sostiene che quest'ultima sia un racconto come un altro sullo stato fondamentalmente inconoscibile delle cose e quindi equivalente a qualsiasi altra favola religiosa, poetica o speculativa, magari usando il lessico pomposo e nebuloso dell'ermeneutica e del postmodernismo.

  124. scusami, Marco, ma "noi sappiamo estattamente come funzionano quelle cose,cioè la vita e la morte?"

    Ma vuoi scherzare, vero?

    Il mistero non c'è più?

    Ma a te pare che spieghino il mistero di fondo tutte le più avanzate e affascinanti ricerche scientifiche sull'origine dell'universo?

    Ma che cos'è questa energia all'origine delle cose, non c'è una spiegazione e tu lo sai bene come me.

    Io ho l'impressione che tu confonda le religioni storiche e ufficiali con i loro dogmi imposti, con le domande più profonde che ogni uomo si fa sul senso dell'essere.

  125. La De Monticelli è assolutamente da leggere. Il suo "L'ordine del cuore" Garzanti (2003) è un libro notevole per il panorama italiano. La de Monticelli viene da Wittgenstein e dalla filosofia della Mente, ha attraversato Agostino e Husserl e si è ormai attestata su posizioni fenomenologiche molto solide. Il libro che ho citato sopra è uno dei pochi in cui una posizione logica e razionale si coniuga con una riflessione intuitiva sulle essenze, approdando ad una teoria dei valori materiali.

    C'è stata una generazione di fenomenologi italiani insopportabilemente accademici, in cui si masticavano formulette e slang. Oggi abbiamo gente come Spinicci, il siciliano Vincenzo Costa,Caputo, la Monticelli, che hanno tirato fuori la fenomenologia dalle secche idealistiche. Dopo l'avanzata ermeneutica si ritorna ad Husserl e alla comune base problematica che lega analitici e continentali. Io la vedo così.

    Per quello che riguarda le raffinatezze di Mancuso e della Monticelli che si infrangono sulle mura irte della dogmatica e della filosofia perenne, è vero, la sensazione di inutilità che ha avuto Marco ce l'ho pure io. Tuttavia il gioco è troppo importante, e bisogna giocarlo anche se si parte in svantaggio. Il gioco di poter parlare di spiritualità in una Italia cattolica dove le gerarchie della chiesa sono spesso viste come l'unica fonte legittima di ogni discorso spirituale.

    Quanto alle spiegazioni razionaliste delle credenze religiose, io la penso come il Wittgenstein delle osservazioni al "Ramo d'oro"; ma poi dico, anche dal punto di vista degli atti linguistici, le proposizioni asseertive o apofantiche non esauriscono il campo dei significati nè si può pensare di ridurre tutti i significati ad una base di enunciazioni dichiarative. Insomma!!! Se dico "insomma!" mica parlo di un fatto. Enuncio però qualcosa.

  126. …e sulla scorta di Bertrand Russell, come la fede religiosa (qualsiasi fede religiosa) sia semplicemente un modo di rapportarsi alle cose che non ha più alcuna ragion d’essere in un’epoca in cui sappiamo ormai come funzionano esattamente quelle cose (la vita e la morte, per esempio) di fronte al cui mistero gli uomini del passato erano costretti a formulare spiegazioni religiose. Sicché non è più questione nemmeno di diventare atei, ma di andare oltre l’ateismo e di guardare le cose con l’occhio disincantato e demistificante della conoscenza scientifica.

    Non ho parole. Corsivi miei.

  127. MarcoT, perchè considerare sprecata un'intelligenza che pur riconosci per il fatto che si esercita su posizioni che non condividi?

    Non si innalza invece il livello del contraddittorio quando aumenta lo spessore dell'antagonista? Non si pongono invece le basi per il progresso nella conoscenza, patrimonio di tutti ovunque essa vada?

    Perchè se invece poni come assunto, come mi pare di capire, la posizione Mark Twain del tuo ultimo post, allora non c'è contradditorio, non ci sono antagonisti, ma solo ed esclusivamente la staticità delle posizioni di ciascuno, che non porta avanti nessuno.

    Ma forse non ho colto l'ironia sottintesa, e se è così "ritiro" il mio post….

    Concludo con un'attestazione di stima nei confronti della De Monticelli, di cui condivido al 100% le posizioni assunte nello scambio con Bertori.

    Daniela

  128. Non ho parole (Maria).

    Perché?

    Io ho l’impressione che tu confonda le religioni storiche e ufficiali con i loro dogmi imposti, con le domande più profonde che ogni uomo si fa sul senso dell’essere (Sandra).

    Non capisco bene cosa vuoi dire qui: ogni uomo si fa domande profondissime sul senso dell'essere o ogni uomo si fa domande più profonde di quelle cui rispondono le religioni?

  129. non so so se le domande siano più profonde di quelle a cui rispondono le religioni.

    Le religioni sono tante, alcune addirittura "laiche" come quella professata dal Dalai Lama che ha sempre sostenuto la priorità delle scoperte scientifiche.

    Quello di cui si parla qui è il MISTERO che non è stato svelato.

    Mi pare che lo stesso fisico Hawking lamenti la mancanza di elaborazione filosofica sulle più recenti scoperte della fisica, come se la filosofia avesse rinunciato a misurarsi con le più straordinarie ipotesi sull'origine dell'universo e della vita.

    Secondo Hawking però questo sarebbe necessario.

  130. Quello di cui si parla qui è il MISTERO che non è stato svelato (Sandra).

    Sandra, perché usi i caratteri cubitali? Personalmente parlerei di cose (e sono molte) che ancora non sappiamo e che forse non sapremo mai. Tu quale "mistero" hai in mente?

  131. intendevo proprio le molte cose che non sappiamo e che tuttavia non possono rimandare solo ad una descrizione esterna dei fenomeni.

    Mi spiego: quando Einstein rivelò l'equivalenza tra massa ed energia, tutto ha senz'altro assunto un nuovo colore perchè energia è forza, è costruzione, trasformazione o creazione.

    L'esistenza dell'energia è un mistero perchè C'E'(ecco che uso di nuovo la maiuscola) quando potrebbe non esserci, esserci il nulla e basta.

    A te basta conoscere l'equazione di Einstein?

    c'è il rischio che le nostre domande siano inquinate dal nostro modo di essere, dalla nostra mente, però anche la nostra mente, che se le pone, fa parte di questo universo, ne è inclusa.

  132. Dopo aver letto, grazie alla segnalazione di Marco, l'articolo che riportava il dibattito suscitato dalle posizioni della De Monticelli, gli avevo dedicato uno spazio sul sito collettivo in cui scrivo. E oggi ho avuto la gradita sorpresa di ricevere la visita della Prof.ssa De Monticelli sulla pagina in cui avevo lasciato qualche riflessione in proposito.

    Ringrazio anche voi per gli stimoli che le vostre discussioni forniscono e vi inserico qui il link del sito blog:
    http://www.etempodiscrivere.it/?p=1555#comment-57

  133. Tornando al libro di Mancuso, trovo molto coraggioso e notevole il tentativo di fondare sulla ragione anche l'appartenenza al Cristianesimo, tenendo conto delle scoperte e degli studi scientifici recenti.

    Pensando all'arcaicità dogmatica e autoritaria degli assunti della gerarchia ecclesistica , mi pare vada dato atto al prof. Mancuso di criticità, indipendenza di giudizio e onestà intellettuale.

    D'altronde lui è un credente e crede in base alla ragione, non al dogma.

    La filosofia a cui fa soprattutto riferimento è quella dell'emergentismo che ha sviluppato e sviluppa tuttora studi interessanti sulle caratteristiche del vivente e della mente.

  134. Grazie a Farloni per il link. E' innegabile che Mancuso tocchi questioni centrali e le tratti con tutta l'onestà intellettuale consentitagli dalle sue conoscenze. Tuttavia non si può sfuggire all'impressione che egli sia prigioniero di schemi teologici anacronistici e soprattutto di un approccio essenzialistico ignaro degli aspetti storico-evolutivi di nozioni come "uomo" e "libertà". Faccio un esempio. Quando lui scrive: "Tra tutte le risposte, io aderisco a quella che individua la vera identità dell’uomo nella libertà. La mia tesi è che l’uomo è libertà. Il nome proprio dell’uomo, filosoficamente parlando, è 'libertà'". Ora, qui uno dovrebbe chiedergli: ma di quale "uomo" parli? Certe astrazioni se le potevano permettere la filosofia e la teologia del passato, ma a partire da Darwin l'uomo è costretto a pensarsi come specie in evoluzione ed è costretto a pensare come in evoluzione (precaria) anche certe proprietà che ama attribuirsi, tra cui la "libertà". Mancuso probabilmente ipostatizza l'uomo occidentale moderno, preferibilmente cristiano, con la pancia piena e in grado di disquisire filosoficamente su se stesso. Ma questo è solo un aspetto della faccenda e ciò che si ritiene essenziale e definitorio è solo il prodotto fragile di un'evoluzione lenta e difficile. Per non parlare della dimensione sincronica: quanti uomini oggi in vita sul pianeta sanno di chiamarsi "libertà"? In quanti cervelli è ospitato un "meme" così bello? Per quanto possa piacerci e sedurci l'idea che l'uomo sia per definizione una cosa così spacchiosa, non dovremmo mai dimenticare che attribuzioni siffatte se le danno uomini già educati in qualche modo all'esercizio di certe libertà e che sulla terra sono stati e sono di più quelli che non hanno avuto e non hanno la più pallida idea di cosa sia la "libertà".

    Uno strumento utile per capire i limiti del pur nobile discorso di Mancuso è un testo come L'evoluzione della libertà di Dennett (2003), forse l'opera migliore su questo tema che sia mai apparsa sulla faccia della terra (scusate l'esagerazione: lapidatemi pure, ma dopo averla letta). Mi piacerebbe sapere se Mancuso la conosce (nei suoi testi che conosco non lo cita mai).

  135. Errata corrige.

    Grazie a Farloni per il link. E' innegabile che Mancuso tocchi questioni centrali e le tratti con tutta l'onestà intellettuale consentitagli dalle sue conoscenze. Tuttavia non si può sfuggire all'impressione che egli sia prigioniero di schemi teologici anacronistici e soprattutto di un approccio essenzialistico ignaro degli aspetti storico-evolutivi di nozioni come "uomo" e "libertà". Faccio un esempio. Quando lui scrive: "Tra tutte le risposte, io aderisco a quella che individua la vera identità dell’uomo nella libertà. La mia tesi è che l’uomo è libertà. Il nome proprio dell’uomo, filosoficamente parlando, è 'libertà'", uno dovrebbe chiedergli: ma di quale "uomo" parli? Certe astrazioni se le potevano permettere la filosofia e la teologia del passato, ma a partire da Darwin l'uomo è costretto a pensarsi come specie in evoluzione ed è costretto a pensare come in evoluzione (precaria) anche certe proprietà che ama attribuirsi, tra cui la "libertà". Mancuso probabilmente ipostatizza l'uomo occidentale moderno, preferibilmente cristiano, con la pancia piena e in grado di disquisire filosoficamente su se stesso. Ma questo è solo un aspetto della faccenda e ciò che si ritiene essenziale e definitorio è solo il prodotto fragile di un'evoluzione lenta e difficile. Per non parlare della dimensione sincronica: quanti uomini oggi in vita sul pianeta sanno di chiamarsi "libertà"? In quanti cervelli è ospitato un "meme" così bello? Per quanto possa piacerci e sedurci l'idea che l'uomo sia per definizione una cosa così spacchiosa, non dovremmo mai dimenticare che attribuzioni siffatte se le danno uomini già educati in qualche modo all'esercizio di certe libertà e che sulla terra sono stati e sono di più quelli che non hanno avuto e non hanno la più pallida idea di cosa sia la "libertà".

    Uno strumento utile per capire i limiti del pur nobile discorso di Mancuso è un testo come L'evoluzione della libertà di Dennett (2003), forse l'opera migliore su questo tema che sia mai apparsa sulla faccia della terra (scusate l'esagerazione: lapidatemi pure, ma dopo averla letta). Mi piacerebbe sapere se Mancuso la conosce (nei suoi testi che ho letto non lo cita mai).

  136. Marco è vero l'uomo di oggi non sa di potersi chiamare "Libertà" in grande stile. Questo dipende dal fatto che al tempo di Fichte c'era stata la rivouzione francese e un decennio dopo la morte di Hegel il '48 parigino.

    Oggi ci spaventiamo persino della Gelmini. E' chiaro che ci siamo dimenticati di essere liberi. Non lo sappiamo più essere.

    L'uomo non è una cosa classificabile, ma il progetto di una cosa. E in questo progetto rientrano le sue decisioni.

    Ma oggi esiste la pillola della felicità. Quindi possiamo anche non decidere niente. Filosofia della passività.

  137. Concordo al 100% con Rosario. Una filosofia del condizionamento naturale totale non può che escludere alla radice la libertà. Ecco perché qualche tempo fa dicevo che tra darwinismo e darwinismo sociale non c'è che un passo. Trainito, ovviamente, ipostatizza il darwinismo, è la sua ideologia quadro. Proprio mentre il darwinismo accusa duri colpi sul suo stesso terreno e appare sempre meno scienza e sempre più ideologia. Come in Unione Sovietica il leninismo-stalinismo era la filosofia quadro spacciata per scienza perenne, così per il capitalismo terminale il darwinismo è l'ideologia madre di riferimento, spacciata per scienza perenne. E non importa se si è darwinisti conservatori o darwinisti liberal, la sostanza è la stessa.

  138. Concordo al 100% con Rosario. Una filosofia del condizionamento naturale totale non può che escludere alla radice la libertà. Ecco perché qualche tempo fa dicevo che tra darwinismo e darwinismo sociale non c’è che un passo. Trainito, ovviamente, ipostatizza il darwinismo, è la sua ideologia quadro. Proprio mentre il darwinismo accusa duri colpi sul suo stesso terreno e appare sempre meno scienza e sempre più ideologia. Come in Unione Sovietica il leninismo-stalinismo era la filosofia quadro spacciata per scienza perenne, così per il capitalismo terminale il darwinismo è l’ideologia madre di riferimento, spacciata per scienza perenne. E non importa se si è darwinisti conservatori o darwinisti liberal, la sostanza è la stessa (Maria).

    Maria, non mi riconosco in questo ritratto. Non so da dove tu possa dedurre simili cose. Ho fatto dei riferimenti precisi e in questi riferimenti si sostiene esattamente il contrario di quello che dici. Non dirmi che la tua fonte sul darwinismo è Rosa Alberoni…

  139. Va bene, scusa, io non intervengo più. Io sono quella che non capisce niente, ma l'hai scritto tu o no che

    a partire da Darwin l’uomo è costretto a pensarsi come specie in evoluzione ed è costretto a pensare come in evoluzione (precaria) anche certe proprietà che ama attribuirsi, tra cui la “libertà”

    ?

    Quindi secondo te il darwinismo è scienza di cui tenere conto. Per me il darwinismo è un'ideologia bell'e buona e delle peggiori. I miei riferimenti comprendono soprattutto genetisti, di cui leggo qualcosa grazie a mio marito, che è un biologo. Rosa Alberoni non so neanche chi sia, ma già il cognome mi sta antipatico.

    Continuando sulla scia indicata dai darwinisti, e anche tu lo sei (o no?) finiremo per involverci e diventare delle scimmie, come i devoluzionisti sostengono sia avvenuto e come paventa Rosario, a meno che io non abbia capito niente neanche di quello che ha scritto Rosario.

  140. Mi pare che Dennet consideri anche "la libertà" come una scelta complessa (tra un numero non analizzabile di varianti) della risposta adattiva più efficace.

    Nella realtà umana la scelta non appare sempre realmente adattiva per l'individuo o la specie come stiamo sperimentando anche di questi tempi.La capacità di distruzione e di autodistruzione dell'uomo come l'eroismo fino alla morte sono caratteristiche dell'uomo

    L'imprevedibilità e la creatività senza scopo sono frequenti.

    Ci sono esperimenti di fisica quantistica in cui pare sia addirittura la mente che osserva a determinare il comportamento della materia a livello subatomico.

  141. Appunto. E la mia frase da te citata implica forse "una filosofia del condizionamento naturale totale" che esclude "alla radice la libertà"? Non mi sembra assolutamente! L'ultimo paragrafo del libro di Dennett che ho citato si intitola "La libertà umana è fragile" ed è uno dei migliori inni alla libertà umana che possa capitare di leggere. La tua posizione sembra proprio quella di chi, pur di esorcizzare "l'idea pericolosa di Darwin", si affida a "ganci appesi al cielo" che rendono impossibile una fondazione solida delle idee che più ci stanno a cuore, tra cui appunto quella della libertà. Se il darwinismo è una delle ideologie peggiori, con cosa lo sostituisci per una spiegazione del fatto che siamo qui? Con Dio?

  142. Scusatemi se mi intrometto ed abbasso il livello.

    Non mi pare libertà la semplice affermazione di scegliere una tra le tante, tante variabili che si presentano sulla scena. Questo lo fa anche la WII dei miei figli….

    Il criterio dirimente mi pare che sia quello della consapevolezza e dell'autodeterminazione, e cioè sono libera quando so che sto dirigendo i miei pensieri e le mie azioni da qualche parte.

    E qui si apre sicuramente il problema di quello che c'è prima, e cioè di come si forma (liberamente o per induzione-suggestione?) la mia consapevolezza e la mia autodeterminazione.

    Rosario: la Gelmini non fa paura a tutti. Qui a Torino c'è veramente un grande fermento contro la riforma della scuola. In piazza il 4 ottobre eravamo in quarantamila: genitori e bambini di fianco ad universitari, docenti, personale ata. Da pelle d'oca.

    Non passa giorno che non ci sia nelle scuole – anche elementari – una notte bianca, un' assemblea, un'iniziativa informativa. Alla facoltà di fisica i professori fanno lezione nei parchi cittadini. Alle finestre le famiglie appendono lenzuola bianche…

    Ci si prepara febbrilmente per il 30….Non so se questo possa servire a modificare una virgola della riforma, sicuramente però è un soffio di ottimismo, siamo ancora vivi e ancora possiamo dire no.

    Ciao Daniela

  143. Ciao Daniela, grazie, meno male. Il 30 io sciopero perchè non sono d'accordo con questa campagna distruttiva contro la scuola pubblica.

    Per Sandra, Maria e Marco:

    Io credo che noi siamo liberi perchè abbiamo il cervello che funziona in un certo modo. Non solo credo che vi siano esempi di moralità tra le scimmie e gli altri animali sociali.

    Non mi fa paura la cosa. L'idea di Mancuso è che a noi manca una Filosofia della natura. Non credo che Mancuso si possa liquidare la cosa con un principio astratto quale è l'emergentismo e se Dennet mi dà una visione concreta del funzionamento dei meccanismi di scelta e progettazione del mio cervello, ben venga.

    Tuttavia una volta chiarito che l'indagine sulla natura fisica è veramente centrale e insostituibile…non voglio neanche buttare a mare le cose strampalate e metafisiche dei filosofi. Non le interpreterò certo in senso piattamente realistico, ma, per esempio, se Varela e Maturana parlano dei meccanismo neurologici come sistemi autopoietici, io posso ben vedere nella Dottrina della scienza di Fichte, al livello culturale, una espressione critica del valore della autodeterminazione. Io sono in quanto volglio e posso rapportarmi a me stesso come un Io possibile. Io sono in quanto il mio cervello mi consente, in alcune circostanze, per esempio se decido di sposarmi o no, di vedermi come un Io centrale da cui partono decisioni che contribuiscono a costruire la mia identità. Heidegger diceva non che cosa è l'uomo ma chi è colui che dice di essere uomo è importante, cioè chi pensa e vuole essere. Se non conoscesse la propria macchina cerebrale, sarebbe ben misera cosa, ma miserrima se pensasse di essere una "cosa" fatalmente precostituita.

    Nel rapporto natura-mente un autore incredibilmente attuale è Spinoza.

    In una proposizionde dell'Etica dice una cosa che può sembrare assurda ma che nel suo assurdo è una sfida:

    Solo la mente di un corpo che può tante cose può essere eterna.

    Cioè: solo un organismo con un sistema nervoso che gli permette di interagire in una molteplicità attiva di rapporti con il mondo può arrivare a esercitare quell'atto di consapevolezza in cui si è eterni.

    Mi sono dilungato e mi scuso. Un saluto a voi tutti e vi leggo sempre con piacere

  144. per Rosario,

    ho cercato di informarmi un po' sulle teorie di Varela e Maturana e quel poco che ho letto l'ho trovato avvincente.

    Mi puoi consigliare qualche link di approfondimento?

    Grazie

  145. per Sandra,

    sinceramente non ho un link a portata di mouse su Varela e Maturana, quello che ne so dipende dalla lettura di questi tre testi:

    – L'albero della conoscenza, Garzanti 1987, 1992

    – (solo Varela)Un Know how per l'etica, Laterza,1992

    – Autopoiesi e cognizione, la realizzazione del vivente, Marsilio,1985

    Poi Mario Ceruti si è occupato di "Teoria della complessità".

    Avevo anche partecipato ad un corso Sissis su questi argomenti ma al momento devi scusarmi se non posso essere più preciso.

  146. Si possono aggiungere altri due testi:

    LA VIA DI MEZZO DELLA CONOSCENZA. Le scienze cognitive alla prova dell’esperienza

    (The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience, Massachusetts Institute of Technology, 1991) di Varela, Evan Thompson ed Eleanor Rosch (Feltrinelli 1992) che temo sia esaurito e vada cercato in biblioteca.

    NEUROFENOMENOLOGIA. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, a cura di M. Cappuccio (Bruno Mondadori, 2006). In esso al fondamentale saggio di Varela (pubblicato nel 1997) che dà il titolo al libro si affiancano contributi di diversi specialisti.

  147. Sempre in nome di una concezione laica e scientifica delle cose (e anche per capire quanto sia indietro Mancuso), segnalo due libri fantastici sulla mente e la coscienza, recenti e facilmente reperibili: La mente di John Searle (2004) e Sweet Dreams. Illusioni filosofiche sulla coscienza (2005) di Daniel Dennett, entrambi editi dalla Raffaello Cortina nella collana diretta da Giulio Giorello, rispettivamente nel 2005 e nel 2006 (dunque la stessa collana che ha ospitato il libro di Mancuso). Anche se i due grandissimi filosofi viventi appartengono alla stessa area "naturalistica" (e pertanto si contrappongono, tra l'altro, agli approcci di tipo dualistico al problema mente-corpo, come ad esempio quello particolarissimo difeso da Popper ed Eccles nel bellissimo L'io e il suo cervello [1977]), le loro posizioni sono diversissime ed è molto stimolante seguire le coltellate teoriche che si sferrano a vicenda. Per Searle la mente, benché sia un fenomeno biologico come la digestione e la fotosintesi, ha una realtà soggettiva e qualitativa, cioè in prima persona, irridudibile a quella oggettiva e quantitativa, cioè in terza persona, di tutti gli altri fenomeni del mondo fisico. Per Dennett, invece, questa versione searleana dei qualia coscienti, è solo il "dolce sogno" di un residuo misterioso che possa resistere alla luce della conoscenza scientifica, un' "impressione zombica" (l'argomento antiriduzionistico degli zombi è di Nagel, Searle e altri: cfr. La mente, p. 84 e Sweet Dreams, p. 12 ess.), e quindi un ostacolo filosofico per una retta comprensione scientifica della mente. Secondo Dennett, infatti, la computer science e un approccio eterofenomenologico rendono possibile l'elaborazione di modelli esplicativi per una riduzione [i]totale[/i] della mente ad algoritmi computazionali, senza alcun residuo qualitativo e soggettivistico: "la coscienza, in questa visione ottimistica, è davvero una cosa meravigliosa, ma non così meravigliosa – non tanto meravigliosa da non poter essere spiegata usando gli stessi concetti e punti di vista che sono stati utilizzati in altri settori della biologia. (…) possiamo essere assolutamente certi che se raggiungeremo un modello computazionale di un qualunque fenomeno mentale, esso erediterà la trasparenza esplicativa propria dei suoi avi" (Sweet Dreams, pp. 5-6).

    <a href="http://books.google.it/books?id=UAW5IlG7i00C&dq=%22sweet+dreams%22+%26+dennett&pg=PP1&ots=hA3mzsjRte&source=bn&sig=-YufRuhQb-97PDwI_2eMa46xbc0&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=4&ct=result#PPP1,M1&quot; rel="nofollow">Qui il libro di Dennett è ampiamente disponibile nella versione originale.

  148. Errata corrige

    Sempre in nome di una concezione laica e scientifica delle cose (e anche per capire quanto sia indietro Mancuso), segnalo due libri fantastici sulla mente e la coscienza, recenti e facilmente reperibili: La mente di John Searle (2004) e Sweet Dreams. Illusioni filosofiche sulla coscienza (2005) di Daniel Dennett, entrambi editi dalla Raffaello Cortina nella collana diretta da Giulio Giorello, rispettivamente nel 2005 e nel 2006 (dunque la stessa collana che ha ospitato il libro di Mancuso). Anche se i due grandissimi filosofi viventi appartengono alla stessa area "naturalistica" (e pertanto si contrappongono, tra l'altro, agli approcci di tipo dualistico al problema mente-corpo, come ad esempio quello particolarissimo difeso da Popper ed Eccles nel bellissimo L'io e il suo cervello [1977]), le loro posizioni sono diversissime ed è molto stimolante seguire le coltellate teoriche che si sferrano a vicenda. Per Searle la mente, benché sia un fenomeno biologico come la digestione e la fotosintesi, ha una realtà soggettiva e qualitativa, cioè in prima persona, irriducibile a quella oggettiva e quantitativa, cioè in terza persona, di tutti gli altri fenomeni del mondo fisico. Per Dennett, invece, questa versione searleana dei qualia coscienti, è solo il "dolce sogno" di un residuo misterioso che possa resistere alla luce della conoscenza scientifica, un' "impressione zombica" (l'argomento antiriduzionistico degli zombi è di Nagel, Searle e altri: cfr. La mente, p. 84 e Sweet Dreams, p. 12 e ss.), e quindi un ostacolo filosofico per una retta comprensione scientifica della mente. Secondo Dennett, infatti, la computer science e un approccio eterofenomenologico rendono possibile l'elaborazione di modelli esplicativi per una riduzione totale della mente ad algoritmi computazionali, senza alcun residuo qualitativo e soggettivistico: "la coscienza, in questa visione ottimistica, è davvero una cosa meravigliosa, ma non così meravigliosa – non tanto meravigliosa da non poter essere spiegata usando gli stessi concetti e punti di vista che sono stati utilizzati in altri settori della biologia. (…) possiamo essere assolutamente certi che se raggiungeremo un modello computazionale di un qualunque fenomeno mentale, esso erediterà la trasparenza esplicativa propria dei suoi avi" (Sweet Dreams, pp. 5-6).

    <a href="http://books.google.it/books?id=UAW5IlG7i00C&dq=%22sweet+dreams%22+%26+dennett&pg=PP1&ots=hA3mzsjRte&source=bn&sig=-YufRuhQb-97PDwI_2eMa46xbc0&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=4&ct=result#PPP1,M1&quot; rel="nofollow">Qui il libro di Dennett è ampiamente disponibile nella versione originale.

  149. commento a caldo a Marco, prima di approfondire la conoscenza dei libri citati, ma basandomi su quanto hai riferito:

    che cosa toglie al "mistero" la riduzione della mente a un modello computazionale, anzi il suo trasferimento a un robot, assicura l'immortalità dell'anima!!

    Si tratta di capire se questa mente tutta leggibile e determinata dalle sue componenti e relazioni complesse, raggiunga o meno una sua autonomia personale e creativa.

    Riguardo alle stranezze della mente, a me è capitato di "sapere" con assoluta certezza,mentre ero all'estero, che mia madre a casa aveva avuto un incidente, prima che me lo comunicassero.

    Per me questo è un mistero che tuttora non so risolvere.

    Mi dicono che è stato un caso, ma non mi pare una risposta convincente.

  150. Espongo un ragionamento sulla tesi dell'equivalenza tra mente e intelligenza artificiale.

    Il modello di funzionamento mentale presentato da Dennet mi pare più coerente con la teoria evoluzionistica, ma mentre è convincente questa comprensione del procedere anche della mente per tentativi di adattamento alla realtà, proprio perchè la mente è così legata alla sua funzione vitale, mi pare poco convincente la sua comparazione a un modello computazionale sia per il fattore imprevedibilità, sia perchè il fattore darwiniano nella mente diventa ricerca, creazione.

    Non so se sono riuscita a spiegarmi o se il mio ragionamento è valido!

  151. Se la mente umana è totalmente riducibile ad algoritmi computazionali, allora è un computer fatto di neuroni. E come il computer non conosce altro che 0 o 1 (il sistema binario), anche l'uomo è totalmente condizionato nelle sue scelte, fissate dalla sua rete neuronale, e la libertà che sembra starci tanto a cuore non esiste.

    Se questo è l'uomo, se l'uomo è un robot di carne, allora è ben misera cosa. E se è ben misera cosa, perchè tanto affanno dietro fumisterie come l'etica e la libertà? Suvvia signori, gettiamo la maschera e diciamo apertamente che l'unica cosa che conta è l'affermazione di sè stessi (personale, sociale, culturale e tutto quanto vi piaccia). Che non è altro se non selezione naturale.

    D'altra parte il linguaggio, la religione, l'arte, la scienza, l'etica ecc., non è tutto il prodotto dello stesso processo fondamentale – la selezione naturale appunto – che sta alla base dell'universo conosciuto? E allora l'unica nostra preoccupazione dev'essere quella di rafforzarci, corazzarci per affrontare meglio armati l'eterno bellum omnium contra omnes. Tutto il resto è chiacchera.

  152. Gino, hai espresso come meglio non si potrebbe quello che Dennett chiama Spettro della Discolpa Strisciante: L'evoluzione della libertà è proprio un tentativo di decostruirlo e di dimostrare che noi riponiamo le nostre speranze per salvare quello che ci sta a cuore (i valori etici, la libertà, ecc.) in "pompe di intuizione" sbagliate, tra cui, appunto, quella che lui, riferendosi ai teorici della "soggettività ontologica" (come Nagel e Searle), chiama Impressione Zombica (in Sweet Dreams). Torno a raccomandare vivamente la lettura di questi testi.

  153. Che ne facciamo di tutti quelli che amano pompe d'intuizione bellissime e affascinanti come quella kantiana, idealista, neoidealista, fenomenologica? Li rieduchiamo in un campo dennettiano… o li lasciamo liberi di pompare le loro intuizioni?

    Io sarò certamente indietro, ma l'idealismo per me è inconfutabile, tutti questi bei discorsi che si fanno sulla materia, sull'evoluzione avvengono dentro la coscienza che ontologicamente viene prima di ogni altra cosa (pur non essendo una cosa) e dalla quale non si può uscire. Tutte le filosofie naturalistiche portano l'uomo alla passività, ovvero a dubitare della propria libertà e quindi a rinunciarvi, come vediamo nella nostra società impregnata fino al midollo di scientismo, positivismo spicciolo, materialismo d'accatto ecc. ecc. e dove si vedono, sì, veramente tanti zombie, anzi, la maggior parte sono zombie.

    Ma qualcuno non capisce che ciò dipende dalla filosofia di fondo di un'epoca, dallo spirito del tempo e il nostro è quello diuna filosofia materialistica, pragmatista… e ciò dipende da come è andata l'ultima guerra mondiale. Ma batte il pendolo della storia a spazzare via queste filosofie della morte e l'impero di morte che le sostiene.

  154. Ma qualcuno non capisce che ciò dipende dalla filosofia di fondo di un’epoca, dallo spirito del tempo e il nostro è quello diuna filosofia materialistica, pragmatista… e ciò dipende da come è andata l’ultima guerra mondiale.

    Scusa, Maria, stai dicendo che sei dispiaciuta per la sconfitta di Hitler?

  155. No, caro Marco, condivido fino in fondo il giudizio di Pasolini, che il consumismo sia un totalitarismo subdolo e potente che produce nelle anime effetti ben più profondi e gravi di quanti ne abbia mai prodotti qualunque fascismo. Esso si configura come il più compiuto fascismo.

    Il consumismo non nasce da sé, ma discende dalla potenza anglo-americana e dalle sue filosofie ufficiali: darwinismo, scientismo, neopositivismo… Purtroppo c'è anche chi non vede o nega questo nesso. In ogni caso, ora che l'impero sta crollando in molti se ne renderanno conto più chiaramente. Forse ci arriverà anche Pera…

    P.S.: io non dimenticherò mai che gli atti conclusivi della seconda guerra mondiale sono stati gli sganciamenti immotivati e criminali delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. I bagliori dei funghi atomici avrebbero dovuto rivelare al mondo fin dall'inizio la crudele malvagità del nuovissimo subdolo impero, lupo travestito da filantropico agnello. Purtroppo, temo che nuovi bagliori atomici sanciranno la fine di questo orrendo periodo storico, da troppi superficialmente decantato come epoca di sviluppo e progresso. Nel vortice globale di guerre insensate e distruzione ecologica ed economica, molti ancora non si rendono conto che tutto ciò discende dalla distruzione dell'anima. Ciò che non poterono i fascismi potè il consumismo. Ma batte il pendolo della storia a spazzare via queste filosofie della morte e l’impero di morte che le sostiene.

  156. Mi arrendo, Maria.

    Mi costituisco, anzi mi vado a sdraiare da solo nel pozzo della colonia penale col pendolo di Foucault che mi incide la colpa sulle carni.

  157. Per Maria:

    Grazie per i tuoi ultimi interventi, che condivido in pieno e che avrei voluto scrivere io.

    Per Marco T.:

    Voi colonizzati dalla filosofia del più forte (gli Stati Uniti) dovete essere conseguenti con i vostri assunti e dire apertamente che siete radicalmente antiumanisti. Se siete onesti – non lo credo, perché l'onestà rientra in un campo per voi insensato come quello dell'etica – dovete smetterla di filosofare sui valori, cioè su ciò che è fuori dal vostro orizzonte mentale. Oppure volete perdere ancora tempo a decostruirli, questi valori? Volete perdere ancora tempo con l'uomo? L'uomo non è un robot di carne? E state ancora a sprecare la vostra intelligenza con macchine difettose? Guardate che il tempo è denaro. Nietzsche, che aveva fretta e l'onestà e il coraggio di dire le cose come stanno, diceva di superare i valori per rafforzare l'uomo. Contro l'altro uomo, aggiungo io. E diciamolo una buona volta! Voglio una filosofia che celebri l'uomo contro l'uomo, che mi doti delle armi migliori per combattere e sperabilmente annientare i miei simili. Credete nel post-umano? E allora confessatela, la vostra fede. Finché ci saranno ascoltatori.

  158. Scusate, non sapevo che Dennett fosse l'Aristotele di Bush. Pensavo che Bush fosse un teocon che sa per ispirazione divina cosa sono valori come patria, Dio, libertà, democrazia e famiglia e che in America, se si vuole essere trombati anche alle elezioni condominiali, basta dichiararsi atei. Scusate.

  159. rispondo a Ginoscorre e Mario 176-177

    Non sono d'accordo sulla guerra di tutti contro tutti! Anzi la selezione naturale non è individuale, ma specifica (cioè della specie , in questo caso, umana). Stranamente però, l'uomo sta comportandosi come se fosse più importante salvare gli individui che la specie, ma così facendo( mi riferisco a neoliberismo selvaggio con conseguenze di aumento della fame e della malnutrizione, dell'inquinamento del pianeta, alle guerre) mette a repentaglio la sua sopravvivenza come specie.

    Inoltre penso che il processo evolutivo nlla mente non si basi su automatismi prevedibili, ma che si possa parlare in qualche modo di libero arbitrio.

    Vorrei un parere su quanto scritto qui e sopra , grazie!

  160. ho letto questa critica alla teoria di Dennet sulla libertà:

    La complessità come concetto esplicativo

    "Dennett specula abilmente sulla nostra incapacità di rappresentarci dettagliatamente la complessità per far valere la tesi secondo la quale un gran numero di eventi deterministici, purché organizzato in maniera appropriata, può dar luogo a qualcosa di completamente diverso rispetto ai processi elementari che agiscono ai vari livelli. Egli contesta precisamente l'idea che un sistema basato su unità deterministiche debba comportarsi, a sua volta, in maniera deterministica. Ma non ci fornisce neppure un argomento autenticamente scientifico (basato cioè su teorie controllabili) come da un insieme di eventi vincolati alle ordinarie leggi fisiche si possa giungere a comportamenti misteriosamente sottratti dal dominio della necessità. Ciò non deve sorprendere più di tanto, poiché il ricorso alla nozione di complessità per far fronte a un vuoto esplicativo è una scappatoia, anche se di basso profilo scientifico, di cui Dennett si è servito altre volte in passato. "

    Che ne pensate…

  161. Sottoscrivo in pieno i due ultimi post di Sandra. E anche quello di Ginoscorre. Per Marco, che è veramente un osso duro… proprio lo scetticismo è la base del fideismo. Il naturalismo materialista, pragmatista, scettico è praticato da una minoranza… tutti gli altri si affidano alla fede più cieca e irrazionale, non certo al cattolicesimo, ma al battismo, al rabbinismo talmudico, all'avventismo. E' dura accettare che la distruzione di ogni ragione forte porti non a un quieto liberalismo ma alla fede più cieca e violenta. Devi riconoscere che il discorso di Mancuso prova invece a coniugare razionalità e teologia, forse è un discorso altrettanto elitario, forse no, se si pensa che per secoli le masse occidentali si sono abbeverate a una sorta di "platonismo per le masse" per dirla alla Nietzsche. Non sto dicendo che si debba tornare alla doppia verità, ma di certo il dire per cento anni che nulla ha senso, che siamo solo cibo per i vermi, scatena nei più il peggio degli istinti, diventa un rischio per gli individui, per la specie e per la vita. Ci sono teorie ecologiche che vedono la terra come un unico grande organismo (teoria di Gaia) e utilizzano strumenti scientifici per le loro analisi e per le ipotesi, non sono campate in aria, anche se devono lottare contro un paradigma darwinista duro a cedere il passo, in quanto reintroducono lo studio dei fini, che è stato espunto arbitrariamente dallo scienza della natura da parte della scienza moderna. Se le masse fossero imbevute di queste idee che vedono nella Terra un unico grande organismo antientropico, capace di costruire complessità sempre più relazionate tra loro (altro che lotta per la sopravvivenza), agirebbero di conseguenza, ci sarebbe anche una società più armonica. Non mi ricordo chi ha detto che la nostra morale dipende dalla nostra fisica. Io sono pienamente convinta di ciò. Non si può sostenere una scienza che vede solo caos, caso, spietata selezione naturale, destino di morte e poi pretendere una società liberale, armonica e ben regolata. E' fallimentare, è impossibile. Io non sono una specialista, e forse di fronte alle tue molte letture faccio una figura barbina, ma credo di cogliere nei segni dei tempi la fine di una grande paradigma meccanicista e materialista, che, nelle mie speranze cederà il passo a una visione organicista in scienza (e l'ecologia è la scienza d'avanguardia oggi) e in morale (e si tornerà ad una morale dove il tutto è più importante della parte, perché il tutto è più della somma delle singole parti). Se posso aggiungere, alla faccia di Popper e della sua Società aperta e i suoi nemici, che è in assoluto la più grande raccolta di sciocchezze popperiane che abbia mai avuto la sventura di leggere.

  162. Maria, chi parla di "pendolo della storia" e di "segni dei tempi" non può non trovare sciocco l'autore di Miseria dello storicismo. Certo, vorrei vedere qualche argomentazione. Ma non si può volere tutto dalla vita. Questo passa il convento: minacce apocalittiche e maledizioni rivolte agli infedeli. Un po' poco per un sito di filosofia.

    P.S. Sandra, quella recensione la canoscevo. L'autore, che ha letto Dennett e ha tutta la mia simpatia, ha le sue idee e cerca di farle valere. Sarebbe inutile dirti qual è la mia opinione su di essa in relazione all'opera di cui parla. Vorrei che fossi tu a confrontarla direttamente con i testi. Sarebbe più istruttivo per te.

  163. Maria, chi parla di "pendolo della storia" e di "segni dei tempi" non può non trovare sciocco l'autore di Miseria dello storicismo. Certo, vorrei vedere qualche argomentazione. Ma non si può volere tutto dalla vita. Questo passa il convento: minacce apocalittiche e maledizioni rivolte agli infedeli. Un po' poco per un sito di filosofia.

    P.S. Sandra, quella recensione la conoscevo. L'autore, che ha letto Dennett e ha tutta la mia simpatia, ha le sue idee e cerca di farle valere. Sarebbe inutile dirti qual è la mia opinione su di essa in relazione all'opera di cui parla. Vorrei che fossi tu a confrontarla direttamente con i testi. Sarebbe più istruttivo per te.

  164. per Marco:

    che cosa pensi della capacità di autodistruzione della specie umana, non ti pare che cozzi con un sistema mentale che , per quanto complesso e imprevedibile, è, secondo Dennet, una prosecuzione dell'evoluzione darwiniana?

  165. Io non parlo solo di pendolo della storia. Ho parlato più volte nei miei post di "ipotesi Gaia", ma tu non la prendi in considerazione. Forse non sai di cosa si tratta, ma allora informati un po' anche tu. L'ipotesi Gaia reintroduce il finalismo nella scienza della natura, sostiene che senza il concetto di fine quasi tutti i fenomeni ecologici sono inspiegabili. Se l'ipotesi di Gaia, all'interno dell'ecologia, prenderà il sopravvento nei prossimi anni, il paradigma darwinista crollerà come un castello di carte e si apriranno scenari del tutto nuovi non solo nelle scienze della natura, ma anche in sociologia ecc. Se per te i miei discorsi non hanno che fare con la filosofia, forse è solo perché per te la filosofia è ciò che si ottiene sottraendo alla storia della filosofia Platone, il neoplatonismo, tutta la filosofia medievale, buona parte della filosofia rinascimentale, Spinoza, Rousseau, tutto l'idealismo, Kierkegaard, Marx, tutto lo storicismo, Bergson, lo spiritualismo, tutta la psicanalisi (eccetto la antropologia pessimista freudiana), il neoidealismo, la fenomenologia, Heidegger, l'esistenzialismo e Severino. Onestamente, di quel che resta, io non saprei che farmene… Comunque, non saranno le miei discorsetti a convincerti. Tra qualche anno ci arriverai da solo, perché sei molto intelligente, a capire che le filosofie che professi e difendi sono solo le stanche ideologie di un impero morente. Occorre ben altro per il futuro della specie umana e della vita sulla terra… Si dovrebbe ripensare radicalmente che cos'è l'uomo, l'uomo come pastore dell'essere, non possiamo continuare a basarci su una teoria ottocentesca, perché tutti questi Dennett, Odifreddi e altri sono solo darwinisti, in definitiva. Magari il darwinismo aveva un senso per approfondire gli aspetti animaleschi dell'uomo in un'epoca che idealizzava troppo… ma adesso che l'abbiamo capito che l'uomo è anche chimica, ora che il darwinismo sociale ha prodotto solo bestie feroci che si azzannano l'un l'altro (vedremo dove ci porterà l'attuale crisi finanziaria che è un prodotto diretto di quelle filosofie), ora ci vuole altro…

  166. Per Maria:

    non butterei a mare Darwin, io credo che la teoria dell'evoluzione sia una splendida intuizione che non va però strumentalizzata per il darwinismo sociale, infatti, come dicevo sopra, è solo la specie insieme (e Gaia con lei) che si può salvare.L'individuo o il gruppo non si salveranno se non si salverà la specie, come ha ben capito chi ha scritto i diritti universali dell'Uomo.

    Purtroppo finora i cambiamenti sono avvenuti solo toccando il fondo di scelte sbagliate, quasi come le vie bloccate dell'evoluzione…S tratta di capire se l'uomo evolverà in modo di cambiare rotta prima di distruggersi, compromettendo il suo habitat o usando le atomiche…

  167. Faccio capolino per dire solamente una cosa: da "continentale" (per quanto non mi vadano a genio certe distinzioni) continuo – dopo questi ultimi commenti – a dover dare ragione a Marco: non ho letto una-dico-una argomentazione decente. E l'argomentazione – mi sembra – è la conditio sine qua non del filosofare. E dato che siamo in un sito di filosofia… ;-)

  168. "(…) le filosofie che professi e difendi sono solo le stanche ideologie di un impero morente" (Maria).

    Che belle parole! Hanno solo il piccolissimo difetto di essere fattualmente false. In America, grazie alle chiese illuminatissime che imperversano nella società quasi a ogni livello (dai quartieri alle televisioni) e che molto spesso finanziano le campagne elettorali dei repubblicani (quelli che in questi anni hanno fatto le guerre imperialiste, guarda un po'), circa la metà della popolazione (se non di più) non crede nel darwinismo e crede che il mondo lo abbia fatto Dio in alcuni giorni e da non moltissimi anni. Ed è così da molto prima della crisi finanziaria, eh? Non sei contenta?

    In Italia, grazie all'attuale governo e alla sua amicizia cogli uomini in vestaglia, riusciremo a batterli. Presto scopriremo con maggioranza bulgara che siamo tutti figli del Dio di Ratzinger e che l'evoluzione è una sua invenzione. Ci stanno lavorando in questi giorni in Vaticano in un convegno apposito. Non lo sai? Stai attenta, Maria, perché anche Ratzinger crede in Darwin, ma aggiunge che è stato ispirato da Dio, perché l'evoluzione l'ha voluta LUI. Presto dovrai mitigare il tuo antidarwinismo, perché ti arriverà un "Contrordine, fedeli!".

    La percentuale dei darwinisti sale solo nell'ambito di quegli ignoranti e imbecilli degli scienziati, vere e proprie mine antiuomo (perché, ho scoperto in questo forum, vogliono assassinare i valori dell'umanesimo).

    La vedi la "relazione", come direbbe Crozza? O la confusione è tale, in quest'epoca in cui c'è "molta crisi" (nel senso di Guzzanti), che ti diviene difficile guardare i fatti?

  169. Siccome – come una volta c'erano quelli che erano più realisti del Re – siamo circondati da gente che è più clericale del clero, più papista del Papa e financo più cristiana di Cristo, do un aggiornamento sulle ultimissime tendenze teologico-filosofico-scientifiche della Chiesa, in modo da rendere i suddetti più prudenti nei loro anatemi paolini contro la scienza e il darwinismo.

    Come saprete, in questi giorni si sta tenendo un convegno epocale in Vaticano su creazionismo ed evoluzionismo. Come hanno riportato tutti i giornali, Ratzinger (Bontà Sua) ha dichiarato che non c'è incompatibilità tra scienza e fede, e nemmeno tra creazionismo ed evoluzionismo. Mi auguro che, se lo dice lui, quelli che credono in lui ne tengano conto, prima di sparare cazzate contro la conoscenza scientifica del mondo.

    Tanto per dire la mia su questo convegno, faccio solo osservare che il Vaticano (cioè Papa e truppa di sapientoni allineati al seguito) si presenta all'appuntamento con gli scienziati con un armamentario filosofico strepitosamente raffinato, implacabile e aggiornatissimo: la distinzione tomista tra l'essere dell'ente e l'Essere dell'Essenza, per cui l'ente ha l'essere solo per partecipazione, mentre l'Essenza è lo stesso Essere Sommo!

    Ecco come spiegano la cosa Werner Arber & Nicola Cabibbo:

    "Il Consiglio si auspica, altresì, di poter trarre, dalla

    Sessione Plenaria, conclusioni che siano rilevanti

    per quanto riguarda il tema della creazione

    di qualcosa dal nulla e le varie forme –

    comprese quelle evolutive – nelle quali questa

    partecipazione dell’essere, causata dall’Essere

    per essenza, viene realizzata. Infatti, per San

    Tommaso d’Aquino, dal punto di vista filosofico,

    tutto ciò che è per partecipazione è (o è

    causato) dall’Essere per essenza, perciò non si

    possono ritenere esclusi dal derivare dal principio

    universale dell’essere neanche i processi

    evolutivi dell’universo e della vita" (fonte).

    E se lo dice anche il Gabibbo… :-D

    Io mi chiedo come facciano certi scienziati (come Stephen Hawking, che ha ricevuto la compassione pretesca di Ratzinger per le sue condizioni fisiche) ad accettare di sputtanarsi discutendo con simili pezzi da museo, i quali peraltro partono dal presupposto di avere ragione e di concedere un confronto con la scienza a patto però che questa accetti che siano loro, con i loro concetti fossili, a definire i suoi limiti.

  170. Per Sandra n. 184: Neanch'io sono d'accordo con la guerra di tutti contro tutti. Ad essere d'accordo con essa e a promuoverla implicitamente sono i neodarwinisti. E se negano sono degli ipocriti.

    Per Giofilo n. 192: In che cosa avrebbe ragione Marco? Argomenta, prego.

    Per Marco n. 193: L'utilizzo della religione che si fa negli Stati Uniti è aberrante. Come è uno scandalo la connivenza tra politici italiani e Vaticano. Ma cosa c'entra con il libro di Mancuso?

  171. Per Marco n. 193: L’utilizzo della religione che si fa negli Stati Uniti è aberrante. Come è uno scandalo la connivenza tra politici italiani e Vaticano. Ma cosa c’entra con il libro di Mancuso?

    (Ginoscorre)

    Ecco una cosa su cui siamo d'accordo. Però, Gino, gli Stati Uniti li avete tirati in ballo tu e Maria, sostenendo di comune accordo che essi sono l'Impero dei Darwinisti Materialisti Amorali Antiumanisti e Destinati al Tramonto, per un nuovo Miracolo Mondiale all'insegna del Ritrovamento dello Spirito Organico Unico di Gaia e dell'Anima Mundi e Personalis. O mi sbaglio?

  172. @ginoscorre 196: avevo messo pure i due punti, per spiegarmi meglio. Ti ricopio ciò che ho scritto.

    continuo – dopo questi ultimi commenti – a dover dare ragione a Marco: non ho letto una-dico-una argomentazione decente.

    Chiaro?

    Inoltre ti chiedi "cosa c'entrano con il libro di Mancuso" gli stati uniti e l'utilizzo della religione. Ti ricordo che sei stato tu ad uscire fuori l'argomento "stati uniti" nel commento 182:

    Voi colonizzati dalla filosofia del più forte (gli Stati Uniti)

    Io continuo a credere che la filosofia del più forte sia quella che meglio argomenta.

    Per il resto, ho fatto capolino già la seconda volta… e non intendo farlo per la terza :-P

  173. Scusami, Marco, ti sfido a trovare una sola mia parola a favore del Vaticano o che faccia pensare che se Ratzinger diventa darwinista, allora anch'io debba obbedire. Io non prendo ordini da nessuno. Per quanto riguarda il rapporto tra filosofie materialiste, relativiste scetticheggianti e fideismo, io ho argomentato. L'argomentazione è stata bellamente saltata a piè pari da te e nemmeno considerata, dopodiché hai iniziato a straparlare di Vaticano, creazionisti ecc. Io sostengo che lo scetticismo, il probabilismo, il materialismo, tra cui comprendo il darwinismo, che per me non è una teoria scientifica, ma una ideologia, aprono il largo al fideismo, da cui Dio ci scampi e liberi (se mi passi il paradosso). Potrei citare vagonate di testi da Ockham a Lutero a Montaigne a Charron a Pascal a Hume stesso… una ragione debole spalanca le porte al fideismo, tranne che in una sparuta minoranza… Se non si capisce nemmeno questo, si dà addosso a Mancuso, quando il problema è in casa propria.

  174. Io non parlo solo di pendolo della storia. Ho parlato più volte nei miei post di “ipotesi Gaia”, ma tu non la prendi in considerazione. Forse non sai di cosa si tratta, ma allora informati un po’ anche tu. L’ipotesi Gaia reintroduce il finalismo nella scienza della natura, sostiene che senza il concetto di fine quasi tutti i fenomeni ecologici sono inspiegabili. Se l’ipotesi di Gaia, all’interno dell’ecologia, prenderà il sopravvento nei prossimi anni, il paradigma darwinista crollerà come un castello di carte e si apriranno scenari del tutto nuovi non solo nelle scienze della natura, ma anche in sociologia ecc. (Maria)

    Cara Maria,

    non è che io non prendo in considerazione l'ipotesi Gaia perché non la conosco, ma semplicemente perché non ci trovo molta attinenza con le tue posizioni catto-spiritualiste. Tale ipotesi è una interessante teoria descrittiva dei meccanismi che regolano l'equilibrio del nostro pianeta e in molti punti può diventare empiricamente controllabile. Il suo problema sta nel fatto che contiene i germi di derive mistiche, panspsichistiche e ilozoistiche impossibili da controllare scientificamente (non a caso essa piace molto a certo ecologismo new age). Tra l'altro, essa incorpora una ben precisa interpretazione del darwinismo (e questo ti dovrebbe far riflettere), è dovuta a uno scienziato inglese ed è molto popolare nel mondo angloamericano: come concilieresti tutto questo con le tue avventate affermazioni contro Darwin e la scienza "americana"? Il suo problema più grave è mettere insieme un certo finalismo olistico relativo alla Terra con il fatto che l'universo che conosciamo è con ogni evidenza biologicamente morto. Che facciamo? Ci affidiamo a una nuova forma di gaiocentrismo?

    Personalmente, su queste cose mi trovo d'accordo con Dawkins, il quale ha evidenziato alcuni limiti importanti dell'ipotesi Gaia. Nell'ultimo capitolo de L'orologiaio cieco, dove però non non si parla specificamente di questa ipotesi, ci sono spunti decisivi per capire in che senso l'ottimismo del mutazionismo olistico ed organicismo di Lovelock è poco fondato.

  175. Detta in altri termini, è il deserto pragmatista, scetticheggiante, relativista, probabilista, materialista che spalanca le porte al fideismo irrazionale. E' talmente evidente tutto ciò…Di quali fatti dovrei tenere conto? Lo so benissimo da me come stanno le cose in America. Semmai, tu stesso dovresti riflettere quando dici che nei paesi cattolici, oggi c'è un atteggiamento molto più attento nei confronti del darwinismo e certamente non ci sono creazionisti scatenati. Ma questo dato di fatto ti si ritorce contro… Non te ne avvedi?

  176. Ascolta, Marco, non so da dove tu abbia potuto desumere il mio catto-spiritualismo. Se proprio mi si deve etichettare, diciamo che tendo verso tutti i pensieri in qualche modo organicisti, dove il tutto è più della parte: da Platone agli stoici a Spinoza a Hegel ecc. Dire che l'ipotesi Gaia porti a derive misticheggianti, è come dire che il darwinismo porta a derive atomizzanti… Io preferisco la prima deriva alla seconda, se proprio dobbiamo andare alla deriva. Non è che la mia posizione contro le filosofie anglosassoni è basata su principi etnici o razziali (oppure su questo forum volete farmi passare per catto-spiritualista-nazifascista-razzista?). Se c'è qualcosa di buono che emerge dal dibattito interno alla filosofia anglosassone e alla scienza, me lo prendo. Anche il darwinismo ha molti punti oscuri ed è molto difficile da controllare empiricamente. A me risulta molto difficile dire che il darwinismo è una teoria scientifica paragonabile alle più diffuse teorie scientifiche. E non sono la sola a pensarla così…

  177. Proprio perché l'universo che conosciamo è morto, si impone un gaiocentrismo. Non c'è più una centralità astronomica della terra in quanto è un pianeta come gli altri, ma si impone una centralità biologica, in quanto sotto questo profilo è diverso da tutti gli altri. Perciò per difendere questa unicità della terra si devono sconfiggere tutte le filosofie che hanno poco a cuore questa salvaguardia, quindi tutti i nichilismi secondo cui essere=nulla. Col cavolo! Se la vita, a quanto sappiamo, c'è solo sulla terra, gli uomini, unica specie vivente che possa capirlo, a quanto pare, devono difendere la vita con tutte le loro forze. Forse si sono "evoluti" solo per questo. Ma non lo dico perché me lo dice Ratzinger, fra l'altro la loro difesa della vita è sciocca, non è quella la posta in gioco. Che posso dirti di più, al referendum per la legge 40 io sono andata a votare, tanto per capirci e ho votato 3 sì e un no.

  178. a Giofilo 200:

    Ti ricopio ciò che ho scritto:

    In che cosa avrebbe ragione Marco? Argomenta, prego.

    a Marco 199:

    Se voi ritenete che l'uomo sia una misera cosa, allora siete antiumanisti. O è un'inferenza erronea?

  179. a Marco 199:

    Se voi ritenete che l’uomo sia una misera cosa, allora siete antiumanisti. O è un’inferenza erronea?

    Voi chi?

  180. Per Marco Travaglio, con preghiera di risposta qualche volta!

    Come puoi dire che l'universo è biologicamente morto? Non confonderai l'universo con il notro sistema solare, spero!

    Persino la Margherita Hack non esclude la vita altrove, ma constata l'impossibilità attuale di connessioni a distanze astronomiche.

    Vorrei poi sapere la tua posizione sulla coscienza nell'ipotesi di Varela e Maturana.

    Grazie, stavolta aspetto la risposta, di solito la eviti!!

  181. Aggiungo ancora una argomentazione per Marco, chiedendo anche a Giofilo se è corretta nella sua formulazione:

    secondo la teoria di Darwin una specie risponde all'ambiente con criteri adattivi e con meccanismi predisposti a ciò, anche se possono avvenire mutazioni casuali o addirittura delle "strozzature" che portano all'estinzione(es.dei dinosauri o di tante specie oggi come l'orso polare).

    Anche la nostra mente è un sistema di adattamento molto sofisticato e determinato fisiologicamente che opera per tentativi che possono avere successo o essere invece "puniti" .

    Questo può spiegare il rischio di estinzione a cui potremmo andare incontro con il cambiamento climatico ?

  182. a Marco 208:

    tu e quelli che ritengono che la mente umana sia totalmente riducibile ad algoritmi computazionali

  183. sempre per Marco:

    quando ho appreso la notizia che gli orsi bianchi a causa dello scioglimento dei ghiacci dovuto al surriscaldamento del pianeta, andavano incontro alla morte nuotando verso Nord, anche se loro seguivano solo un cieco istinto, io ho provato dentro di me un dolore immenso, non per me, ma per loro.

    Perchè io attribuisco a loro sentimenti miei?

    Perchè amo gli orsi?

    Perchè sono animali (più indifesi perciò degli uomini)?

    E' un sentimento infantile?

    E' un'emozione infinita come la definirebbe Matte Blanco?

    E'un sentimento materno?

    Noi amiamo, a volte amiamo fino al sacrificio di noi stessi, amiamo l'essere, per sè stesso, non per la sopravvivenza, amiamo la scienza, la natura per se stesse anche se sappiamo che finiremo.

  184. a Marco 208:

    tu e quelli che ritengono che la mente umana sia totalmente riducibile ad algoritmi computazionali (Gino)

    Supponiamo che io creda questo.

    Supponiamo che la mente sia davvero questo.

    Domanda 1: perché questo renderebbe l'uomo "misero"?

    Supponiamo che la mente non sia questo.

    Domanda 2: come dev'essere la mente, secondo te, per ridare all'uomo la sua dignità? Anzi, cos'è la mente secondo te?

    P.S. Sandra, ma perché rivolgi tutte le tue domande a me? Mi hai preso per l'oracolo di Delfi?

  185. perchè porci tante domande quando abbiamo la certezza di un Dio infinitamente piu' grande noi anche se ci fatti come un prodigio ? Impariamo, con l'aiuto del Suo Santo Spirito a lodarloe ad invocarlo con la preghiera e le risposte ci verranno date gratuitamente e verranno cosi' allontanate le insidie del maligno che ci vuole in discordia.CON FEDE LODIAMO E RINGRAZIAMO IL SIGNORE NEL NOME DEL PADRE DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO .

  186. Molto appassionanti e graffianti i vostri ultimi scambi!

    La mia opinione è che le risposte alle due domande di Marcot – antitetiche nella loro formulazione -, possano coesistere. Mi spiego.

    Io penso che se si potessero "scrivere" tutti gli atti della mente – ed alcuni la scienza già li sa scrivere – si otterebbero infinite sequenze algoritmiche. Tutto è riconducibile ad una sequenza di impulsi elettrici. Il precipitato dell'attività umana è una serie di on e off. Ma questo è semplicemente straordinario, altro che misero! Che l'immensa complessità, che l'infinita possibilità nasca da due fattori per me è assolutamente eccitante! Come lo è il pensiero che tutti gli uomini venuti sulla terra e che verranno in futuro sono ….passatemi la semplificazione! determinati dalle stesse 4 proteine che compongono la catena del loro DNA….

    Come lo è il pensare che tutta la musica così diversa, così imprevedibile ed infinita, si basa su sette note (e sulle sue alterazioni).

    La trascrizione dell'attività mentale è una meravigliosa sequenza di impulsi elettrici; la descrizione dell'atto mentale, la sua decodificazione, la riflessione, invece, mi paiono un'altra cosa, dove l'on e l'off non sono più i soli termini. Altri sono i linguaggi, i significati, i collegamenti.

    Quindi, se parliamo di decscizione della mente, nel senso da ultimo indicato, dobbiamo cambiare linguaggio e non ci basteranno più l'1 e lo 0.

    Forse non sono stata molto chiara o il mio ragionamento vi sembrerà banale: sono a bordo da clandestina….leggo di filosofia solo per passione e non per professione….

    Daniela

  187. Mi permetto di riportare alcune parti di un articolo di Maurizio Blondet, apparso oggi 4 novembre su effedieffe.it.
    Forse può servire per proseguire una parte della discussione avviata. Quello che mi interessa maggiormente è che parlano scienziati non creazionisti, non sostenitori dell’intelligent design, ma che semplicemente criticano la teoria darwinista attraverso prove sperimentali. Ho riportato solo stralci. Chi volesse, può forse approfondire via internet risalendo direttamente agli scienziati citati.

    “«Critica scientifica dell’evoluzione» (A Scientific Critique of Evolution) è il titolo della conferenza tenutasi il 3 novembre alla Sapienza, nell’antifteatro di patologia dell’Umberto I. Negli stessi giorni in cui in Vaticano, Pontificia Accademia delle Scienze, si è tenuto un convegno perfettamente contrario (e a porte chiuse): con la partecipazione di soli scienziati darwinisti, Stephen Hawking, Christian de Duve, Yves Coppens e Luigi Cavalli-Sforza, tra altri […]

    «Abbiamo chiesto di partecipare anche noi, ma siamo stati lasciati fuori», sospira il professor Guy Berthault, massimo studioso della formazione di sedimenti geologici. «Eppure ho conosciuto il cardinal Ratzinger, ed era interessato alle voci critiche dell’evoluzionismo. Nel suo libro ‘Verità e Tolleranza’, sostiene che gli argomenti contrari devono essere ascoltati con oggettività, con volontà di ascolto da entrambe le parti». Invece… «Monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, il cancelliere della Pontificia Accademia, mi ha fatto rispondere che quella era una riunione privata».

    L’«altra parte» che certe forze attorno al Papa non vogliono sia ascoltata, s’è riunita all’anfiteatro della clinica romana. Attenzione, non sono «creazionisti». Sono cattedratici, biologi, geofisici, genetisti, ciascuno di fama mondiale nel loro campo di ricerca. E non sono nemmeno sostenitori dell’«intelligent design», ossia della (detestata dai darwinisti) teoria alternativa al neo-darwinismo.

    La loro posizione è, appunto, rigorosamente «critica»: smentiscono sperimentalmente certe petizioni di principio, asserzioni non controllate e non confermate, su cui si basa l’evoluzionismo. Quale idea bisogna mettere al posto del darwinismo, non lo dicono: si limitano a dimostrare che la teoria, semplicemente, non regge più di fronte alle nuove scoperte e ricerche.

    Il professor Berthault ad esempio (le sue ricerche sono pubblicate dall’Accademia delle Scienze di Francia, e da quella di Russia) ha addirittura creato una scienza, la paleo-idrologia sperimentale.
    […]
    «Oggi agli studenti di geologia si insegna a datare gli strati in base ai fossili che vi si trovano, e a datare i fossili in base agli strati: petizione di principio se ce n’è una».

    […]
    Niente paura: oggi i darwinisti dispongono di «cronometri» precisissimi, basati sul decadimento di isotopi radiattivi reperibili nei terreni o nei fossili. Il tempo di decadimento è noto; dunque, misurandolo, si può stabilire una datazione precisa. Il carbonio 14 per fossili entro i 50 mila anni, il Potassio/Argon per i milioni di anni…

    Invece no, ha spiegato Jean de Pontcharra, capo delle ricerche del CEA-LETI (Commissariat de l’Energie Atomique, Laboratoire de Technologie de l’Informatique), fisico con dottorato a Grenoble.

    Nel 1980, anche lui è andato a fare ricerche sul Moint St. Helen; ha preso campioni di rocce laviche appena eruttate, e li ha fatti datare da diversi laboratori specializzati nel metodo Potassio/Argon, senza dire dove aveva preso i campioni.

    Il supposto precisissimo cronometro ha sancito: sono rocce di 900 mila anni fa. Anzi, le datazioni, secondo il tipo di minerale dominante nei campioni, variavano da 900 mila e 2,8 milioni di anni.

    Il professor Pierre Rabischong è il rettore della facoltà di Medicina a Montpellier; pioniere della chirurgia assistita dal computer, da anni si dedica, con i suoi ingegneri e medici, alla concezione di protesi bioniche più avanzate: da una mano artificiale per i monchi, con tutte le funzionalità di una mano naturale, ad apparati auditivi per sordi, all’ambizioso tentativo di restituire la visione ai ciechi con modulati impulsi elettrici e chips elettronici. Per farlo, lui e i suoi tecnici di altissimo livello studiano ovviamente questi apparati naturali, cercando poi di replicarli.

    […]
    Il professore si prende gioco di quella che chiama «ancestromania», la mania di trovare un «antenato» estinto (ancestor) per qualunque specie vivente, ricerca invariabilmente conclusa con esiti imbarazzanti, ridicole cantonate o addirittura creazioni truffaldine (il celebre Uomo di Piltdown, che qualcuno fabbricò con un cranio umano d’oggi a cui applicò una mandibola di scimpanzè).

    Di altri relatori parlerò un’altra volta. Specie del professor Maciej Gierthich, polacco con superlaurea ad Oxford (scienze forestali) e alla Toronto University (fisiologia vegetale) e una terza in genetica, uno fra i più stimati studiosi di genetica delle popolazioni, perchè richiede un articolo a parte.

    Tanto, questo scoop non ce lo ruberà nessuno: non un solo giornale ha mandato un giornalista ad ascoltare. Così è stato possibile fare un po’ di gossip con gli scienziati sui possibili motivi per cui la Pontificia Accademia gli ha chiuso le porte, facendo entrare solo evoluzionisti.

    L’ipotesi più accreditata è stata, alla fine, questa: che i darwinisti, e i loro amici in Vaticano, sperano di strappare al Papa una qualche affermazione a favore della loro teoria, proprio per metterla al riparo dalle critiche dei cosiddetti creazionisti; se sono cattolici, i creazionisti dovranno obbedire al Santo Padre…

    Se fosse vero, sarebbe un segno di disperazione e un ridicolo paradosso: gli scientisti credenti nel «cieco caso» che si rifugiano sotto l’autorità dogmatica per rendersi indiscutibili.

  188. perchè porci tante domande quando abbiamo la certezza di un Dio infinitamente piu’ grande noi anche se ci fatti come un prodigio ? Impariamo, con l’aiuto del Suo Santo Spirito a lodarloe ad invocarlo con la preghiera e le risposte ci verranno date gratuitamente e verranno cosi’ allontanate le insidie del maligno che ci vuole in discordia.CON FEDE LODIAMO E RINGRAZIAMO IL SIGNORE NEL NOME DEL PADRE DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO . (Gabriella Vercelli)

    Ecco un intervento che mi piace tantissimo.

    1) Se è uno scherzo, è molto spiritoso e arguto: negli orrori ortografici e sintattici è molto ben simulato lo stato cognitivo confusionale del fanatico-tipico.

    2) Se non è uno scherzo, allora Gabriella è una che con molto coraggio non si nasconde dietro fumosi giri di parole pseudo-filosofiche ed esibisce con franchezza il suicidio intellettuale che viene richiesto ai fedeli di qualsiasi credo religioso.

  189. Marco ha chiesto (a me e a tutti i partecipanti al forum) che cosa sia la mente. Premetto che non sono uno scienziato, perciò non mi interessa scomporre il mondo, e l’uomo in esso, in parti. Dunque a me non interessa il fenomeno mente, se con esso si intende il funzionamento del cervello. Il discorso cambia se invece con mente si designa l’essenza dell’uomo, ed è questo ciò che io credo. Per quanto mi riguarda, al posto di mente si potrebbe usare la parola anima, o coscienza. Ma non è questo l’oggetto del contendere, in fondo anche i sostenitori della superiorità delle neuroscienze ritengono che nella mente vi sia l’essenza dell’uomo. La mia contesa con Marco è nata dalla tesi dennettiana, da lui propugnata, secondo cui la mente umana “è totalmente riducibile ad algoritmi computazionali”. Nel post n. 176 ho tentato alcune inferenze a partire da tale tesi. Quello che intendevo dire in quel post è che se il computer è uno strumento di calcolo e solo di calcolo (non a caso il sinonimo di computer è calcolatore), allora anche la mente, se è totalmente riducibile ad algoritmi computazionali e quindi computer anch’essa, è calcolo e solo calcolo. Secondo l’affermazione di Dennett la mente è solo calcolo e nient’altro. Ne concludevo che se la mente è un calcolatore allora l’uomo è totalmente condizionato nelle sue scelte. A mio avviso qui bisogna chiedersi se sia lecito dedurre dalla mente l’uomo, se cioè l’uomo nella sua totalità possa essere interamente ricondotto alla sua mente. Se ci rispondiamo di sì, a me viene da pensare che se la mente è un calcolatore e la mente è l’uomo, allora l’uomo è un calcolatore, un strumento per fare operazioni, una “calcolatrice ambulante”. E non dovrei pensare che, se questo è l’uomo, allora è ben misera cosa? Non è legittimo un moto di ribellione? Non dovrei tacciare – forse astiosamente, e me ne scuso – di antiumanismo chi guarda a ciò con favore? Il punto è che questa visione dell’uomo tradisce l’esperienza, perché tutti vediamo che l’uomo è capace anche di altro, non solo di saper far bene i calcoli. È capace di progettualità, è capace di relazione, è capace di amore (“noi amiamo, a volte amiamo fino al sacrificio di noi stessi, amiamo l’essere, per sé stesso, non per la sopravvivenza, amiamo la scienza, la natura per se stesse” dice Sandra e io con lei).
    Se l’uomo è il prodotto necessario della sua rete neuronale, combinata con l’ambiente, allora perché due gemelli omozigoti non sono uguali? Perché le loro personalità e individualità non sono identiche? Pure hanno patrimonio genetico identico, e in più si presume siano cresciuti nello stesso ambiente.
    Io ritengo che l’uomo sia più della somma geni + ambiente. Permettetemi a questo proposito di riportare uno stralcio dell’articolo di Mancuso che Falorni ha linkato nel post n. 158:

    “Valore e limiti delle neuroscienze

    Anima o neuroni? Non è rara tra i neuroscienziati l’idea che comprendere il funzionamento del cervello significhi conoscere completamente la personalità dell’individuo, fino alla perfetta previsione delle sue azioni: controllate i suoi neuroni, e avrete in mano la sua anima. Il nesso consequenziale è il seguente: cervello = personalità = comportamento. Ovvero, noi siamo il nostro cervello. Ovvero, la libertà non esiste, perché tutto quello che l’Io fa non è altro che la conseguenza necessaria della sua neuro-biologia. Io ritengo che le neuroscienze, come ogni altra disciplina scientifica, siano intrinsecamente impossibilitate a conoscere la libertà, perché la libertà è per definizione autonomia dalla materia, mentre esse non possono pensare a prescindere dalla materia.
    Il fatto però che le neuroscienze non sappiano spiegare il fenomeno della libertà e lo vogliano ridurre a fattori che vengono prima (i neuroni) è un loro problema e un loro limite. Non è che se esse non sanno spiegare questo fatto, questo fatto non c’è. Non è che se le neuroscienze non sanno spiegare la libertà, la libertà non c’è. Che la libertà ci sia è un dato di fatto, anzi è il dato su cui si fonda tutta la convivenza civile, dalla politica al diritto, dal sistema educativo all’economia, per non parlare della sfera affettiva e sentimentale. Quelle rare volte che abbiamo detto con autenticità “ti amo” a una persona è stata la nostra più intima libertà ad esprimersi, prova ne sia l’impegno quotidiano che poi è responsabilmente conseguito per rimanere fedeli a quelle parole. Se le neuroscienze non sanno spiegare la libertà, significa che non sono la via adeguata per il tipo di fenomeno in questione. E la cosa si spiega da sé: quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur, insegna Tommaso d’Aquino, il che significa che è solo lo spirito che è in grado di comprendere lo spirito, è solo una visione del mondo che accetta l’esistenza di una dimensione al di là della materia che sa parlare della libertà.

    Sulla neuroetica

    Per questo a mio avviso occorre fare attenzione quando si parla di neuroetica. Se con essa si intende stabilire dei protocolli per l’utilizzo di tecniche come la risonanza magnetica funzionale (magari in sede processuale per cercare di comprendere chi mente e chi no) si tratta a mio avviso di un compito doveroso. Ma se con essa si intende ridurre l’etica alle componenti neurobiologiche di un individuo, allora si va verso la morte dell’etica propriamente detta. L’etica infatti vive della libera volontà, ovvero inizia esattamente dove finisce il campo delle neuroscienze. Senza il sistema nervoso e senza i neuroni che ne sono la base, non c’è etica e non c’è anima, ma l’etica e l’anima non sono riducibili al sistema nervoso e ai suoi neuroni.

    Con questo non voglio per nulla contestare l’utilità delle neuroscienze, anzi ritengo decisivo giungere a conoscere il più precisamente possibile il funzionamento del cervello per sanarne malattie e disfunzioni. Voglio però limitare un certo senso di onnipotenza che talora intravedo in alcuni esponenti delle neuroscienze. Lo ripeto: se queste non riescono a intravedere la coscienza e la libertà, si tratta di un problema loro, non nostro. Che la coscienza e la libertà esistano, è la vita a mostrarlo: questo è il dato che va assunto e (se si è capaci) spiegato. Se controllando l’attività elettrica del cervello con l’elettroencefalogramma, o i suoi campi magnetici con il magnetoencefalogramma, o l’andare e venire dei flussi sanguigni con la risonanza magnetica funzionale, se insomma utilizzando la decina di tecniche di “neuroimaging” oggi a disposizione non si riesce a spiegare dove sorge e che cos’è la coscienza e con essa la libertà (visto che non esiste una zona specifica ad essa deputata all’interno del cervello), da ciò non è lecito dedurre che la coscienza e la libertà non esistono. Si deve semmai dedurre che le neuroscienze non sono adeguate a comprendere il livello superiore dell’essere che si manifesta come coscienza, libertà e responsabilità.”

    Dopo il precedente lungo post di Maria, forse ho esagerato in lunghezza. Ma ho scritto tutto quello che avevo da scrivere e perciò esaurisco qui tutto insieme lo spazio riservato ai miei post futuri. Grazie a tutti.

  190. vorrei riprendere il discorso sulle ipotesi di Dennet.

    Mi pare che Dennet consideri la realtà del vivente unicamente dal punto di vista chimico e fisiologico e trascuri l'intima essenza quantistica dell'essere.

    In una visione più completa si situano le scoperte della possibile coerenza delle onde cerebrali, fenomeno che fa pensare ad un funzionamento quantistico della mente

    Onde cerebrali che nelle analisi EEG mostrano una serie di "armoniche", come se il cervello stesso fosse un grande dispositivo quantistico.

    vedi Biological Cybernetics n.68, 1992 ;www.volkmarwriss.de/publ10-e.html

  191. Gino, ti sembrerà strano, ma anche per me ci sono diverse cose condivisibili nel tuo intervento (a parte la citazione di Mancuso). Il problema è che tu porti a conseguenze estreme una versione troppo semplificata e ad hoc della tesi di Dennett. Neppure il più riduzionista dei materialisti si sognerebbe di negare che l'uomo sia realmente capace di fare le cose che fa, oltre ai semplici calcoli, e che ci piace valorizzare. Tutto l'approccio dennettiano mira a capire, in un'ottica evolutiva, come abbia fatto l'uomo a diventare così bravo a fare le cose che sa fare e che tutti conosciamo (scelte libere comprese). Secondo lui (e in questo sono d'accordo) bisogna partire dal basso, cioè dal lungo lavoro di ricerca e sviluppo che l'evoluzione ha seguito "dall'ameba ad Einstein", per dirla con una ben nota espressione di Popper. Chi non intende seguire questa strada, deve affidarsi ai ganci appesi al cielo, e allora sì che la mente e la coscienza diventano troppo misteriose, cioè più misteriose di quanto non siano, perché il problema viene spostato e reso praticamente insolubile: da dove diavolo vengono i ganci appesi al cielo?

    Sappiamo bene qual è la risposta degli spiritualisti e dei creazionisti: la mente, o l'anima, viene da Dio. Ma i filosofi e gli scienziati non dovrebbero accontentarsi di una mossa del genere, perché è troppo facile e sterile.

    Tra l'altro, se davvero fosse così, se davvero avessimo un'essenza progettata intenzionalmente da qualcun altro, io mi sentirei una creatura ben misera, il prodotto discutibile e irresponsabile di un architetto pazzoide e sfaccendato, insomma una merda (peggio di come si sentirebbe ad esempio un nostro robot umanoide in grado di riflettere sulle proprie origini e sul proprio status: almeno lui potrebbe consolarsi con l'idea che, per farlo, l'uomo ha fatto del suo meglio, perché non è onnipotente).

    Per dire in altro modo quello che mi pare sostenga anche Daniela, l'uomo può ammirare il proprio culo evolutivo (nell'ambito di una biosfera dal nostro punto di vista quasi totalmente incosciente, stupida e feroce) e riscrivere un altro e ben più esaltante discorso De hominis dignitate solo se capisce come ha fatto ad emergere da processi fisico-biologici ciechi e in gran parte automatici. E non è mica un'impresa facile.

  192. Seguo da un qualche tempo (un po' distrattamente, con la stanchezza della sera)questo a quanto pare interminabile teatrino. Ogni tanto torno nel sito e c'è sempre, sorprendentemente, qualche novità. Il che dovrebbe quantomeno far riflettere. Non mi pare che gli altri libri recensiti abbiano riscosso tale audience, gran parte fuori target (come me). ìSon partita da Mancuso, naturalmente, che s'è un po' perso lungo il percorso degli interventi. Vivo in un pianeta diverso, per quanto sempre scolastico,quindi intervengo per puro cazzeggio, non disponendo di prerequisiti per fare altro.

    Mi appassiona il dialogo tra Maria e Marco, l'interloquire ostinato e inascoltato di Sandra, l'occasionale contrappunto di vari ed eventuali. Ma Travaglio (certo che se non sei il Marco Travaglio noto, questo nome ha una condanna inscritta: quello del sarcasmo sostenuto da robusto disincanto come unico stile perseguibile)è senz'altro il mattatore della congrega.

    C'è qualcosa che accomuna gli Odifreddi, i Travaglio e simili: una brillante, troppo, intelligenza che utilizzano davvero mirabilmente, e un tantino affannosamente, per dimostrare che non c'è speranza di sorta. Quindi, o argomenti e filosofeggi argutamente per non pensarci, oppure ti bevi il cervello in un suicidio intellettuale concedendoti una fede cieca (e gli sfigati che non riescono a chiudere bene gli occhi si arrangino)in un improbabile Dio.

    Sandra, per dire, chiede a Marco risposte: cerca Dio. La tentazione è forte. Un bel Travaglio!

    Scusate l'intrusione

  193. Mi sono piaciuti molto gli ultimi interventi, quello di Marco Travaglio e di Luisa.

    Avevo intuito la posizione di Marco che lui stesso onestamente ha messo allo scoperto e che trovo del tutto convincente.

    Certamente un dio architetto è impensabile, un'energia autonoma al lavoro va meglio, non voglio dire che corrisponda alla differenza che Mancuso sottolinea tra Dio e la "natura" come "altro" da Dio, ma certo è qualcosa di diverso, in fieri, certamente cieco e feroce se pensiamo di quante lacrime e sangue grondi, ma forse noi uomini, possiamo modificarlo a nostra immagine.

    A Marco e Luisa e a tutti i forumisti dedico stanotte i miei versi:

    al me ateo

    tutto ti dà ragione-

    troppa però-

    così logico e fiero di ciò.

    Certo un caso sei del capriccio

    di microbi, virus

    -così determinati

    nella loro altra essenza

    da non dare scampo.

    Rifiuti il Sadismo divino

    ma se così lo chiami

    gli dai credito.

    Cos'è invece questo dolore

    mortale angoscia e brama

    di vita fuggente?

    Il bramito del cervo casuale

    è effetto certo di una causa vitale.

    Cosa sia non è dato sapere

    ma stolta, lo sai, è ogni certezza.

  194. ma forse sbagliamo ad attribuire a Dio i caratteri che le religioni monoteiste gli hanno dato come l'onnipotenza, forse questo "dio" è una forza cieca e impotente rispetto a noi nel suo essere indistinto, forse solo noi abbiamo occhi per vedere…

  195. Ehm… sorry la stanchezza serale non giustifica: ho sbagliato nome, il che manda all'aria tutto il giochetto. Trainito, non Travaglio…In effetti ho una mente, oltre che distratta, analogica, chiamiamola così, vado per libere associazioni. Una gran fregatura. Esattamente come l'eccesso di logica.

    Una giustificazione però ce l'ho: Marco s'è ben guardato dal correggere l'errore fatto in precedenza da Sandra.

    E questo dice molte cose, prima fra tutte che forse si deve qualche scusa a Sandra. Tutto sommato. E' uno dei motivi per cui istintivamente parteggio per i Mancuso piuttosto che per gli Odifreddi, indipendentemente da ciò che sostengono.

    Per triad: per inviare questi msg mi si chiede un blog o un sito di riferimento. Poichè su internet io non esisto, ho preso in prestito il vostro solo per riempire il campo richiesto. Mi sono firmata Luisa, non sitosophia.

    Cordialmente

  196. Al post n. 221.

    Condivido il discorso del gancio appeso al cielo, che è stato più volte ripreso da questa discussione: lo dobbiamo superare se vogliamo andare avanti. Credo che tirare in ballo Dio quando non sappiamo (ancora) dare delle risposte ad alcune domande sia scorretto innanzitutto metodologicamente, perchè vuol dire pretendere di risolvere la questione sostituendo ignoto ad altro ignoto: non ci muoviamo.

    Niente ganci dunque.

    Io credo che dobbiamo considerare l'esistenza di Dio come un'ipotesi. Questa ipotesi si dà indimostrabile per definizione e si basa su prespposti argomentati non dalla scienza ma da altre mille discipline, che hanno spesso fatto capolino nei nostri scambi.

    Io penso che l'ipotesi indimostrabile di cui sopra faccia un duplice effetto sul genere umano: L'effetto "marcot" ovvero: ipotesi ridicola che si straccia da sola, che me ne faccio? E' la posizione più forte, ed anche la più comprensibile.

    C'è poi l'effetto "sandra", al quale io mi sento più vicina, ovvero: è un'ipotesi da non scartare, mi intriga e mi lascio intrigare anche se so già che non la potrò dimostrare, quindi "pascolo" volentieri in tutte le altre discipline che la argomentano. Posizione debole.

    all'ultimo post di sandra.

    C'è una tradizione della mistica ebraica che insiste sul deus absconditus. Il mito della creazione del mondo raccontato nella Genesi (dio -fabbro o architetto che crea, accende, divide e plasma) lascia il posto ad una creazione per …..assenza, nel senso che, per creare il mondo Dio lascia il vuoto, e cioè se ne va….

    Grazie a tutti

    Daniela

  197. Noto con rammarico che a 48 ore dal mio post sulle critiche scientifiche al darwinismo Marco "Travaglio" trova il tempo di rispondere con sottili argomentazioni alle giaculatorie di tale Gabriella Vercelli mentre tace sulle critiche al darwinismo interne alla comunità scientifica. Ok, Marco, ti do altre 48 ore di tempo per documentarti. Da quello che ho capito io, all'interno della comunità scientifica il darwinismo è la teoria meno chiara, coerente e provata che ci sia; innumerevoli falsificazioni degli assunti centrali della teoria sono state avanzate, ma i teorici la riformulano continuamente per scavalcare gli ostacoli empirici frapposti dalle nuove osservazioni. Un po' come i sostenitori del sistema geocentrico ai bei tempi. Se il darwinismo sarà abbandonato come teoria (speriamo al più presto), crollerà anche questo schifo di darwinismo sociale che ammorba il pianeta e dunque forse ci sarà salvezza. Viva Gaia, viva la vita!

    P.S.: Marco Travaglio è credente, è di destra e si fa pure la comunione. Il nostro buon MT è liberal (mi pare di capire) e odifreddiano.

  198. Cara Maria,
    in effetti c’è una ragione per il mio silenzio sul tuo post n. 216, ma non è quella che pensi tu, né è colpa tua se non la conosci. La ragione si chiama “stanchezza”, o, come direbbero il commissario Montalbano e il dottor Pasquano, “rottura di cabasisi”. Mi spiego.
    Devi sapere che da un anno e mezzo partecipo a due discussioni interminabili, una sulla laicità (aperta da me) e una su Darwin (aperta da un mio collega pugliese di matematica), in un forum per docenti che purtroppo non posso linkare perché è richiesta la password. Queste discussioni contengono circa 3.000 interventi e circa 30.000 visite a testa. Ebbene, immancabilmente a un certo punto spuntano quelli come te, cioè quelli che, partendo da un rigetto aprioristico e abbastanza immotivato del neodarwinismo (perché sono cattolici creazionisti o simpatizzanti della teoria del progetto intelligente o aderenti alla new age o idealisti, comunque nemici della scienza e affetti da quello che Popper chiamava “effetto stressante della civiltà”, con tutto quel che ne consegue, a partire dal desiderio di tornare alla confortante culla organicistica del ventre di Gaia), esultano in cuor loro quando scoprono degli articoli, dei saggi o dei siti di dubbia provenienza in cui si parla di (spesso presunte) falsificazioni del programma di ricerca neodarwinista. Io stesso potrei linkare, per la tua felicità, decine di siti in cui si portano presunte prove paleontologiche decisive contro l’ipotesi evoluzionista.
    Ecco perché il tuo post non mi ha fatto né caldo né freddo: semplicemente ho visto di molto meglio (o di molto peggio, a seconda dei punti di vista).
    I nemici spiritualisti, creazionisti, organicisti ecc. del neodarwinismo spesso e volentieri dimenticano una cosa, e cioè che l’evoluzionismo è un’ipotesi scientifica, e in quanto tale esso è aperto al miglioramento e persino alla falsificazione e all’abbandono da parte della comunità scientifica. Qualunque scienziato evoluzionista sarebbe felice di scoprire che esiste una teoria migliore del darwinismo, se è mosso da amore della verità (naturalmente si batterà a lungo prima di rinunciare alla teoria che attualmente costituisce il miglior paradigma esplicativo sulla nascita e la differenziazione delle forme di vita). Ma è abbastanza evidente che un’alternativa seria, ad oggi, non esiste: l’esercito degli anti-darwinisti è composto da una serie di truppe diversissime tra loro per provenienza e serietà scientifica, e non di rado annovera mercenari al servizio di agenzie ideologiche di dubbia onestà intellettuale, come certe chiese americane e lo stesso Vaticano. Naturalmente non mancano i “Mavericks” animati da spirito anti-darwinista e dal sincero e disinteressato desiderio di trovare la verità. I migliori sostenitori dell’approccio evoluzionista (da Popper a Gould), tra l’altro, sono stati ben felici di rilevare certi limiti della teoria cui loro stessi aderivano.
    Consentimi di farti l’esempio di Popper, che è quello che conosco meglio per averci molto lavorato sopra in passato, tanto per mostrarti il modo in cui procedono i filosofi e gli scienziati dotati di onestà intellettuale e animati da amore per la conoscenza e la sua crescita.

    Popper ha fornito forse la più potente reinterpretazione “sintetica” del programma di ricerca evoluzionista degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, presentata soprattutto in alcuni saggi degli anni Sessanta inclusi in Conoscenza oggettiva (1972, i più importanti dei quali sono quelli che costituiscono i capitoli 6 e 7) e poi compendiata mirabilmente nel § 37 della sua Autobiografia (1974), intitolato proprio “Il darwinismo come programma di ricerca metafisico”. Da qui è possibile vedere come il darwinismo, all’interno dello stesso “paradigma” evoluzionista (che è pur sempre una metafisica), sia stato variamente approfondito e messo in discussione, con la consapevole presupposizione metodologica, però, che esso, pur con tutte le sue difficoltà, anomalie e pericolose propensioni a una circolarità tautologica (la sopravvivenza spiega l’adattamento e viceversa), costituisce un progresso irreversibile rispetto sia al lamarckismo (a metà strada tra il creazionismo e l’evoluzionismo vero e proprio) che al banale creazionismo di tradizione biblica, fondato su un insostenibile “fissismo” delle specie e più in generale dei sistemi biologici.
    Le pagine citate dell’Autobiografia sono chiarissime per avere un quadro completo del neodarwinismo popperiano (e in più si tratta di un testo facilmente reperibile).
    In sostanza Popper, che estende il darwinismo persino all’ambito della teoria della conoscenza (dicendo ad esempio che anche le teorie sono soggette alla selezione e alla eliminazione tramite la critica condotta con l’‘arma’ del linguaggio argomentativo), si è accorto che, così com’è, il darwinismo si fonda su un circolo (quasi) vizioso, perché i due concetti fondamentali di adattamento e sopravvivenza si implicano a vicenda. Infatti, qual è il criterio dell’adattamento? La sopravvivenza. E cos’è la sopravvivenza? L’esser più adatti… Ciò lo ha spinto a dichiarare il programma darwiniano come “quasi tautologico”, cioè metafisico (perché non confutabile), e a darne quindi una riformulazione che consentisse di estrarre da esso teorie controllabili. In particolare egli ha ipotizzato un ‘dualismo genetico’, nel senso che gli esseri viventi sarebbero dotati di un gruppo a di geni che regolano l’anatomia e di un gruppo b di geni che regolano il comportamento, cioè le capacità (c) e gli scopi (s). In tal modo la pressione selettiva si realizza secondo un meccanismo ben preciso:

    b –> a , ovvero s –> c –> a.

    Vale a dire, semplificando: una specie assume uno scopo in relazione alla mutata situazione ambientale (per esempio, per le giraffe, mangiare certe foglie di alberi in mancanza di altro); questo scopo favorisce gli esemplari dotati di quelle capacità adatte allo scopo, e questi ultimi a loro volta creano una pressione selettiva che favorisce gli esemplari che hanno la variante anatomica (prevista dalle possibilità combinatorie del patrimonio genetico soggetto a mutazioni casuali) che sorregge meglio tale capacità (il collo lungo). Tutto questo sgancia il darwinismo dal casualismo radicale (che già turbava Dante quando parlava di Democrito…) e spiega l’apparente “finalismo” insito nel regno animale (l’avere caratteristiche anatomiche perfettamente adeguate agli scopi alimentari, ad esempio), che tanto ha colpito i filosofi a partire da Aristotele e che ha creato tutte le varie metafisiche provvidenzialistiche occidentali (in tal modo Popper può persino dire di aver ‘spiegato’ Lamarck dal punto di vista del suo darwinismo ritoccato, reinterpretando la sua idea errata delle determinazioni ambientali dell’anatomia come risultato di originarie modificazioni del repertorio comportamentale).
    Questa, ovviamente, è una teoria falsificabile e di fatto, come sapeva bene Popper, essa incontra, almeno prima facie, alcune difficoltà o “anomalie” (nel senso di Kuhn), come ad esempio la spiegazione dell’ingombrante e apparentemente inutile, nonché dannosa per la sopravvivenza (perché troppo vistosa), coda del pavone. Tuttavia quest’ultima può essere spiegata, in certo qual modo, col concetto di selezione “sessuale”, perché essa ha un valore di sopravvivenza indiretto, nel senso che serve da richiamo seducente per l’accoppiamento, dato che le femmine vanno matte per quella coda ornamentale e assurda (su quest’ultimo punto cfr. Dennett, Rompere l’incantesimo, p. 94, che a sua volta si basa su Cronin, Il pavone a la formica. Selezione sessuale e altruismo da Darwin a oggi, 1991, tr. it Il Saggiatore 1995). In tal modo, il caso del pavone, da controesempio si trasformerebbe in una ulteriore conferma dell’ipotesi di Popper della priorità degli scopi sull’anatomia.

    Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta è apparsa la prospettiva di Dawkins basata sulle nozioni di geni e memi “egoisti” e negli anni Novanta Dennett ha avanzato un’interpretazione dell'”idea pericolosa di Darwin”, cioè della selezione naturale, in termini di algoritmo onnipervasivo come un “acido universale”, facendo propri i concetti fondamentali
    di Dawkins.

    Tutto questo potrà rivelarsi un sogno, un’illusione, ma non potrà essere scalzato da qualche articolo settoriale non di rado animato da semplice malanimo accademico o da rivalità personali. E’ già successo, ad esempio con Gould e i suoi “equilibri punteggiati”, che scoperte spacciate per “confutazioni” del darwinismo si basavano sulla semplice assunzione di una versione ad hoc del darwinismo.

  199. Ok, assolto. Interessante chiarimento. Da quello che dici mi pare di capire che fino alla rielaborazione popperiana il darwinismo è una metafisica basata su un circolo vizioso. Beh, non sarebbe il primo caso di metafisica ricondotta a scienza da un filosofo. Un po' come l'aristotelismo secentesco, spacciato per scienza dai teologi dell'epoca, ma superato concretamente dalle ricerche sperimentali di Galilei, Torricelli… Questo mi conforta, vuol dire proprio che il darwinismo è un'ideologia morente, se si ha un minimo di fiducia nella storia. Non hai speso una sola parola sugli scienziati citati dal mio post… possibile che siano tutti degli emeriti imbecilli? Comunque, per quello che ne capisco io, il falsificazionismo di Popper non si è adattato molto bene all'ambiente e si è estinto da sé. La sua teoria del limite, della demarcazione e della falsificabilità si è autofagocitata. Ti saluto, rientro nel ventre gaiano… dove si sta molto meglio che nella giungla neodarwinista, al riparo dallo stress da inciviltà.

  200. Sinceramente più che il darwinismo , ipotesi d'interpretazione del vivente che non appare finora superata, vorrei approfondire la teoria dell'emergentismo, ma soprattutto mi affascinano le recenti scoperte nel campo della fisica quantistica che rappresenta la nostra, per il momento, ultima essenza.

    Principio d'indeterminazione, fenomeno della non località che hanno , ad esempio, portato il fisico Bohm a immaginare un universo olografico dove tutto è in tutto, e la nostra mente come creatrice di ologrammi.

    L'idea che l'universo sia informazione…

  201. il forum è stato abbandonato, anche da me, da tanti giorni, ma ci ho riflettuto su e devo dare atto a Trainito che la teoria dell'evoluzione, per me scontata, non può giustamente permettere ganci appesi al cielo.

    Potrebbe prevedere l'evoluzione di forme più raffinate come l'anima EMERGENTE di cui parla Mancuso?

    Ciò che non mi convince è la gerarchia del vivente, cioè che l'uomo è un prodotto più raffinato di un cavolo o di un cane.

    Io non credo a questo.

    Penso che l'energia è la stessa in tutto, ma con forme diverse.

    Un albero, una montagna, un'aquila erano considerati dei.

    Un cane o un gatto sperimentano una totalità di essere che forse noi, con l'impiccio della nostra mente, non proviamo o non proviamo più.

    Noi certo facciamo cose diverse, abbiamo più potere o crediamo di averlo, sulla natura. Ma perchè dovremmo essere privilegiati?

    Che ne facciamo di tutte le scale evolutive prima di noi?

  202. Sto leggendo "tautotes" di Emanuele Severino.

    Il modo di scrivere di Severino è molto glabro e scabro,nel senso che non assomiglia allo scrivere in lingua ma al gioco del domino con le tessere o al gioco delle tre o quattro (comunque poche) carte, sempre le stesse, rimescolate e combinate.

    La lettura di Severino è quindi qualcosa che mette in una gabbia innaturale il nostro pensare quotidiano. E a volte ho l'impressione straniante di una mantra magico, di un Abracadabra che immobilizza e paralizza tutto facendo calare su ogni cosa una luce irreale ed evanescente. La prosa di Severino è uno spleen soffocante. Non dico la prosa degli articoli giornalistici, provocatori e brillanti, quanto proprio la prosa concettuale dei suoi studi filosofici.

    Tuttavia con "tautotes" ho avuto una esperienza diversa. I rimandi a Kant, Hegel, Russel e ma logica simbolica, sono rilevanti (anche se per Russell non è dedicato tutto lo spazio che ha dedicato ad Hegel)e chiariscono subito il livello di astrazione in cui ci si muove.

    Perchè ne parlo qui, in questo topic ? Perchè da una parte in questi libro Severino afferma che non solo un certo tipo di classe, ma TUTTE LE CLASSI sono contradditorie, (distruggendo le basi della logica?)e rimandando alla sua "Struttura originaria" il compito di testimoniare la possibilità di un altro pensiero su basi non "isolanti". E su questo mi piacerebbe conoscere il parere di Marco Trainito (se sa di queste posizioni di Severino e sopratutto se sa quanto la teoria delle classi sia essenziale ancora oggi per la concettualità analitica, a me pare di si, visto che tutta l'analisi semantica ha caratteri estensionali).

    Aggiungo qui queste mia lunga notazione perchè inoltre mi ha fatto riflettere sul senso del dibattito intorno all'evoluzione.

    Capire cosa sia l'uomo per se stesso richiede anche di capire cosa non sia. Ora l'evoluzionismo nel suo comprendere la genesi dell'uomo a partire dalle sue basi animali, non cerca forse di capire l'uomo riducendolo a ciò che non è? Questo detto in modo grossolano. Espresso in modo più accettabile e interessante: non è che il nostro modo di pensare le cose riportandole a determinazioni altre da esse è dovuto alla nostra incapacità di pensare le cose per quello che sono, cioè di predicare di esse il loro esser se stesse ? E perchè noi non pensiamo mai le cose per quello che esse sono ma in quanto sono qualcosa d'altro ? Non sarà perchè crediamo di poter col pensiero e con la conoscenza modificare e trasformare le cose ? cioè pensiamo con il pensiero e la conoscenza di poter indirizzare il divenire e l'evoluzione delle cose collocandoci nella regia di comando di tale divenire ? E ancora ma pensare che le cose non sono quello che sono ma sono sempre altre non è un assurdo e non porta che a pensare il niente ? Non è che tutto il nostro pensare invece di cogliere le cose che sono quello che sono insegue le cose per quello che non sono?

    Per un attimo, queste inquietanti domande che la lettura di Severino mi ha provocato domineranno la mia attenzione, ma solo un attimo, giacchè non posso approfondirle più di tanto e non so se riuscirò a leggere per la seconda volta "tautotes".

  203. Perchè ne parlo qui, in questo topic ? Perchè da una parte in questi libro Severino afferma che non solo un certo tipo di classe, ma TUTTE LE CLASSI sono contradditorie, (distruggendo le basi della logica?)e rimandando alla sua “Struttura originaria” il compito di testimoniare la possibilità di un altro pensiero su basi non “isolanti”. E su questo mi piacerebbe conoscere il parere di Marco Trainito (se sa di queste posizioni di Severino e sopratutto se sa quanto la teoria delle classi sia essenziale ancora oggi per la concettualità analitica, a me pare di si, visto che tutta l’analisi semantica ha caratteri estensionali). (Rosario)

    Rosario, ti devo deludere. Pur insegnando filosofia, ignoro del tutto le idee di Severino sulle classi, mentre sulle classi dei matematici e dei logici sono abbastanza informato sia perché mi piace la logica sia perché ho alle spalle gli esami di analisi matematica sostenuti al Politecnico di Torino, dove da ragazzo ho fatto un annetto a ingegneria meccanica. Da quel poco che dici sulle idee di Severino, sarei tentato di ammazzarmi dal ridere, ma sospendo il giudizio, perché vorrei saperne di più. L'insiemistica, del resto, era disprezzata anche da Wittgenstein sulla base di idee tutte sue, ma mi piacerebbe conoscere meglio il modo in cui Severino arriva alla sua sorprendente conclusione. Non vorrei certo essere l'ultimo a sapere che in Italia abbiamo il Russell de noiantri che scopre l'antinomia del concetto stesso di classe.

    Potresti dire qualcosa di più, intanto?

  204. Marco, ti posso dare il riferimento delle pagine in cui Severino si mette a fare l'anti-russell "de noiantri" in "Tautotes", 1995, Adelphi pp. 201-211.

    Non posso ora invece subito chiarirti meglio il suo pensiero perchè dovrei studiarmelo bene. Non escludo di farlo. Ora posso solo riportarti la conclusione del suo estenuante ragionamento:

    "Ogni "classe" (ogni estensione di una funzione proposizionale) è un'antinomia" pp. 206.

    Assunto che i filosofi le sparano grosse, uno poi si chiede, ma mica avrà ragione lui? La cosa certo avrebbe un aspetto ridicolo, visto che nessuno se n'è accorto. Però è anche vero che tutte le tesi filosofiche prima di essere comprese sono ridicole e risibili, poi magari nascondono qualche verità.

    Ti riporto un altro passo sintetico della sua argomentazione:

    "il dire e il pensare qualcosa di qualcosa non può essere che il dire e il pensare dell'identità dell'essente con se stesso, l'identità esclude la teoria dei tipi, che invece è proprio costretta ad escludere l'identità del soggetto e del predicato, giacchè tale identità richiede che il predicato sia dello stesso tipo del soggetto." p.204-211

    Per quanto riguarda l'analisi della forma della proposizione in due termini Soggetto e predicato, che è la forma del giudizio da Aristotele sino a Kant, anche su questo Severino ha una sua tesi quanto meno controcorrente. Dato che Severino ha tradotto Carnap, un filosofo attentissimo alla logica simbnolica moderna, le sue considerazioni credo dovrebbero essere tanto più interessanti, se solo riuscissi a farmene una idea più chiara, proveniendo da uno che l'argomento dovrebbe conoscerlo.

    Dato che con Frege,alla fine dell'Ottocento e quindi dopo Kant, viene dato per assodato, e dal punto di vista tecnico e di calcolo è così, che la logica abbia subito una "rivoluzione scientifica" che l'avrebbe finalmente affrancata dallo sterile rapporto con la sua secolare tradizione grammaticale e linguistica, è molto difficile trovare qualcuno che parla ancora di giudizi e di distinzione Soggetto-predicato come di argomento della logica moderna.

    Severino invece ragiona in modo da mostrare come quelle basi che Kant assumeva della logica tradizionale in fondo sono valide anche oggi.

    Cito il passo:

    "Nonostante il convincimento , diffuso nella moderna logica simbolica, che non ci si possa arrestare a questa forma di relazione (soggetto-predicato), essa rimane la forma fondamentale di relazione, perchè anche le forme più complesse di relazione sono riconducibili al dire e al pensare che qualcosa è (predicato di) qualcosa. Anche una "funzione" saturabile da più argomenti, come ad esempio "x è situato tra y e z", è pur sempre un dire qualcosa ("situato tra y e z") di qualcosa (x)." ibidem p.97

    Per queste cose che ho scritto sopra, il libro meriterebbe uno studio approfondito e magari una bella confutazione. Cosa che però ora io non sono in grado di fare.

  205. Grazie, Rosario.

    Stai tranquillo, comunque: se non te la senti, non perderci tempo. Quel libro di Severino me lo sono trovato in mano molte volte in libreria, ma ho sempre evitato di prenderlo per puro pregiudizio. Ho da tanti anni i suoi volumi di storia della filosofia e Essenza del nichilismo: mi bastano per non voler sapere molto altro su quello che dice Severino. Non posso dimenticare la sua recensione, dieci anni fa, a Il mondo di Parmenide di Popper (postumo): diceva, più o meno, che Popper era lontano da una autentica comprensione del filosofo di Elea, sottintendendo che l'unico interprete autorizzato e autorevole è lui stesso. Da quel momento ho deciso di non leggerlo più.

  206. Riporto il passo precedente la sorprendente conclusione di Severino, ho tagliato parti in modo però da rendere più fluida la lettura:

    "Semanticamente dipendente, per la logica, è solo la funzione proposizionale. Ma sia gli argomenti che saturano la funzione, sia la funzione proposizionale saturata, sia l'estensione della funzione proposizionale costituiscono, per la logica, dimensioni semantiche separate e indipendenti (…) Nella classe dei colori compare da un lato il significato "colore" e dall'altro i significati "bianco", "rosso", "nero" (…)ma l'insieme delle cose bianche è connesso con necessità alla dimensione delle cose non bianche, perchè tale insieme è (…) negazione di questa dimensione (sì che (…) l'insieme delle cose bianche non è l'insieme di tutto ciò che non è una cosa bianca). La connessione che unisce (…) A alla negazione di non-A implica dunque che, in una dimensione semantica la quale contenga solo A, e cioè non contenga non-A come negato, e che sia concepita come semanticamente indipendente dal contesto in cui essa si trova, lo A che si intende porre NON SIA A. Poichè A è necessariamente negazione di non-A, A, isolato da non-A, non è A; sì che l'isolamento di A è la contraddizione che identifica A e non-A. La classe A è dunque un significato contraddittorio" Severino "Tautotes", 1995 p.205-206"

    Se per dire A bisogna anche dire insieme tutto quello che A non è non si finisce più però….e alla fine semanticamente sensata è solo l'espressione che dice A e tutto cià che A non è, quindi l'espressione che connette insieme A e non-A e così facendo dice tutto quello che c'è da dire. Ma allora quello che si può dire è solo UNA cosa: che c'è tutto e il non-tutto non c'è.

    Mi è venuto proprio ora in mente che una critica a questo modo di ragionare Russell forse l'aveva già fatta nei confronti di Hegel, nella sua "Storia della filosofia occidentale".

    "Nell'intero procedimento ("dialettico" Nota mia) è sottinteso il postulato che nulla possa esser veramente reale ("semantico" Nota mia)se non riguarda la realtà tutta. A causa di questo postulato sott'inteso, c'è un riferimento alla logica tradizionale, per la quale ogni proposizione ha un soggetto ed un predicato (…) Ne consegue che le relazioni non possono essere reali (Nota mia "significate"), poichè implicano due cose, non una (…) nulla di completamente vero può esser detto su cose separate (…) Questo deriva più direttamente dal fatto che "A e B sono due" non è una proposizione a soggetto e predicato, e quindi, sulla base della logica tradizionale, non possono esistere tali proposizioni" Russell Storia della Filosofia Occidentale, p. 701

    Tuttavia siccome Severino è pluralista e per lui ci sono diverse e Differenti cose, e non solo Una (L'assoluto o tutto come per gli idealisti inglesi) questa critica non che colpire Hegel non colpisce neanche Severino. L'ho citata solo perchè fa riferimento al problema delle relazioni e della forma proposizionale che è cosa trattata pure da Severino in senso antimoderno.

    E ora mi taccio.

  207. Io non ho letto Severino, so che sull'ultimo MicroMega ci sono un articolo suo e uno di Mancuso sul tema di Dio ma non li ho ancora letti.

    L'idea che mi sono fatta di Severino, da quel poco che so, è che per lui la realtà è eternamente squadernata in fotogrammi appunto eterni.

    Anche le cose che a noi appaiono insignificanti sono statue preziose di questo "museo" dell'Essere.

    Ma non so se interpreto bene. Forse Rosario può rispondermi.

    A Rosario e Marco rinnovo la mia domanda – se la considerano mal posta me lo dicano-mi fa piacere-,se pensano che esista una gerarchia di complessità nell'evoluzione del vivente e se la specie umana attuale ne sia momentaneamente al vertice( vedi mio post 233)

  208. Cara Sandra, non c'è una risposta univoca alla tua domanda, secondo me. Si possono fare diverse gerarchie, tanti quanti sono i criteri che scegliamo per disporre le specie in un qualche ordine. Se ad esempio scegliamo la complessità delle connessioni neuronali, è difficile non porre il cervello umano al vertice della scala evolutiva: si tratta certamente della cosa più complessa e intelligente che esista nell'universo conosciuto. Se invece scegliamo la capacità di adattamento e di proliferazione, cioè di sopravvivenza, è certo che l'uomo perde il primato. E' noto, infatti, che la stragrande quantità di biosfera organica del pianeta è costituita dagli insetti, i quali ci precedono nel tempo evolutivo e con ogni probabilità ci sopravviveranno (a Hiroshima, per esempio, l'esoscheletro ha permesso a molti insetti di sopravvivere tranquillamente in condizioni proibitive per l'uomo). E così via. Per altri versi, ogni specie attualmente viva e vegeta ha pari dignità dal punto di vista evolutivo.

    Già il buon Kant ci avvertiva che l'introduzione di fini nella natura è una faccenda che esula dal discorso propriamente scientifico. Il fatto stasso che l'uomo sia l'unico in grado di farlo la dice lunga. Possiamo considerarci i migliori, e siamo liberissimi di farlo: la folla di microrganismi autostoppisti che ospitiamo nel nostro corpo farà la ola, complimentandosi con se stessa per la scelta dell'albergo semovente a cinque stelle.

  209. A riguardo di Severino devo prima rileggermi il suo libro, ma in sostanza Sandra ha già una idea abbastanza corretta. Io direi però che sarebbe interessante confrontare quello che dice Severino con le posizioni di Quine e di altri ontologi analitici di cui parlano Casati e Varzì, forse si scoprirebbe una strana consonanza e si vedrebbe che in fondo Severino nel suo coerente isolamento arriva a incontrarsi con alcuni fisicalisti e naturalisti radicali. D'altra parte pure Bellone scrisse un libro per dire che per le formule della fisica classica il Tempo essendo reversibile non è tanto diverso dallo spazio.

    Ma per ulteriori chiarimenti, prima devo finire il libro.

    Per quanto riguarda invece la gerarchia. La gerarchia è una specie di ordine seriale che viene costituito a partire da un criterio. La complessità della realtà può fornirci un criterio ?

    Quindi le osservazioni di Marco non si possono aggirare facilmente: di criteri ce ne sono tantissimi, quale è il criterio superiore agli altri ?

    Rispetto a questo argomento mi sarebbe però sempre piaciuto approfondire il pensiero di Spinoza.

    Infatti nella sua etica lui si trova, prima di Kant, un problema del genere. Dopo aver fondato la sua ontologia esclusivamente sul concetto di res, e avendo eliminato il trascendentale del Bene dalla comprensione dell'essere, Spinoza ha raso al suolo ogni possibile edificio finalistico della Natura. Però quando deve andare a discutere sulla Natura umana ne discute non in quanto essa esiste come res tra le altre, ma in quanto può realizzare la propria determinazione nel modo migliore e più potente e favorevole. Ciò significa che se anche la Natura totale si comporta secondo necessità, la Natura particolare in questa necessità non vede solo la propria servitù, ma anche la propria libertà, cioè la necessità di un proprio potenziamento e miglioramento, la necessità quindi di preferire un determinato modello di compimento piuttosto che un altro.

    Se la natura totale non ha è necessitata per il bene, le nature particolari sono necessitate al loro bene. La possibilità di coniugare il proprio bene particolare con la necessità universale è il principio di una convergenza sensata di occasioni e di condizioni che ha motivato i post kantiani a realizzare una filosofia dela natura e una filosofia della storia e i moderni a parlare di principi antropici dell'universo (credo).

    Cioè, nel momento in cui qualcuno si pone la questione di cosa sia bene, anche se il fatto di porsela è frutto di caso e necessità, per il fatto stesso che se la pone, in termini concretamente effettuali e non illusori, cioè se consideriamo questa domanda sul bene come radice di ragionamenti pratici e produttivi efficaci, allora deve proiettare per forza sulla necessità della realtà una selettiva struttura di preferenze che gli mostra questa stessa realtà come occasione di convergenza con i propri fini.

    L'idea di Senofane per cui anche i bovini si potrebbero fare una immagine di dio a loro somiglianza è giusta, solo che i bovini in realtà pensano a ruminare nel loro nirvana ed è l'uomo che si arrovella e costruisce la filosofia, la matematica, ecc. ecc. sempre che in queste attività non rumini soltanto ma si apra realmente alla comprensione dell'altro da sè. La capacità di accogliere e accettare l'altro da sè, senza rimozioni e presunzioni, è l'unica capacità per cui l'uomo potrebbe aspirare a farsi rappresentante della realtà da lui conosciuta, e quindi anche dei batteri che ospita.

    Ecco realizzare un poema sui batteri, non sull'anima, sarebbe l'opera degna di una entità che si pone al vertice della creazione.

  210. Tra l'altro secondo me, il fatto che Hegel nella sua logica ponga le categorie della necessità come condizioni necessarie ma non sufficienti per la comprensione della realtà dipende dall'approfondimento di questa grande questione Spinoziana.

  211. Ho riflettuto su quanto avete scritto a proposito della gerarchia evolutiva.

    Secondo Marco dipende dal criterio adottato per cui la lotta per la sopravvivenza potrebbe più egregiamente essere vinta dai batteri che da noi.

    Lo scienziato, con tutto il suo bagaglio di conoscenza, potrebbe essere solo un ottimo cibo per i microorganismi che ospita.

    Però lo scienziato potrebbe mettere anche in riga i batteri, e quindi, come dice Rosario, piegarli a un ordine da lui deciso:ad esempio, la cura delle malattie dell'umanità, oppure la guerra batteriologica per distruggere gli avversari.

    Anhe questa è una strategia di sopravvivenza, diversa dalle altre, che si può chiamare "culturale".

    Certamente l'uomo può interpretare la natura, salvare animali e piante, creare un eden oppure anche desertificare il pianeta e autodistruggersi.

    Possiamo dire quindi che esiste una libertà, una autodeterminazione dell'uomo?

    Ma è veramente libero quando opera quello che noi definiamo"bene", ad esempio vuole il bene della specie e del suo habitat, o attua solo una strategia di sopravvivenza?

    Ed è vero "male" quando fa la guerra, usa la bomba atomica e porta all'estinzione il pianeta o è solo un errore di adattamento che può portarlo alla sua fine come specie?

  212. Ciao Sandra,

    le due domande finali,penso,sono proprio tipiche dell'interrogazione sul bene e comportano la costruzione di una filosofia. Risponderti significa avere una propria filosofia.

    E comunque non è detto che per un pessimista l'estinzione della specie sia un bene. Per esempio per Schopenauer vero bene è l'estinzione della volontà e non della vita. Tanto è vero che lui non ammetteva il suicidio come scelta possibile e libera, ma semmai come "danno collaterale" di un atteggiamento ascetico.

    Dunque anche per Schopenauer la filosofia si occupava del senso dei fatti e non dei fatti in se stessi.

    Fare una battuta di spirito sui batteri e molto più umano che allevarli per i propri interessi. Anche le formiche lo fanno con alcuni acari delle piante, come fossero mandrie.

  213. Tempo fa Sandra aveva chiesto informazioni sui fenomeni emergenti.

    Sto leggendo "anelli dell'Io" di Douglas Hofstadter, l'autore di "Godel, Escher, Bach" -libro che non ho mai letto anche se lo tengo in alto nella mia libreria –

    In questo "anelli dell'io" ci sono tantissimi e poetici esempi su cosa sono i "fenomeni emergenti". La convinzione dell'autore è che l'anima sia uno di questi fenomeni.

    C'è qualche rapporto con quello che dice Mancuso ? penso di sì, a parte il dogma. Ma potrebbe arrivare il momento che Mancuso butterà a mano il dogma e lo prenderà per una semplice favola primitiva. E anche le favole primitive sono istruttive e belle.

  214. Complimenti per le riflessioni sviluppate in questo forum. Spero che il tema sia ancora sufficientemente attuale perchè vorrei proporre alla vostra attenzione una riflessione da "vile ingegnere" sulla definizione di anima data da Mancuso: “il surplus di energia rispetto alla configurazione materiale del corpo”.

    Tale definizione, a mio avviso, trova delle analogie con la comprensione dell’anima/coscienza proposta dalle neuroscienze e dalle scienze cognitive. Mi riferisco in particolare alla teoria del ‘complesso cosciente’, sviluppata – tra gli altri – da Tononi (in "Galileo e il fotodiodo"). Per Tononi il substrato della coscienza è un sistema complesso, formato da molti elementi (i neuroni) "integrati" tra di loro e “ad elevata complessità”, dove la complessità è misurata “dal numero di modi che una delle due metà del sistema complesso può rispondere agli ingressi possibili provenienti dall’altra metà e viceversa”.

    Si può pertanto affermare (in accordo anche con Hofstadter e altri) che un “po’ di coscienza è presente un po’ dappertutto nella natura”.

    Come misurare la complessità di un sistema? Le neuroscienze usano il concetto di entropia, mutuato dalla termodinamica. Nella definizione di Boltzmann, l’entropia è l’indice del disordine microscopico di un sistema. Per cui un aumento di entropia corrisponde ad un aumento di disordine e una diminuzione della quantità di informazione. Se, per semplicità, introduciamo il concetto di “estropia” o "neghentropia" come il contrario dell’entropia (estropia = – entropia), si ha che ogni sistema vivente (piante, animali, persone) contiene energia sotto forma di entalpia (cioè l’energia – il calore – per permettere il moto delle molecole che lo costituiscono) ed estropia (che, moltiplicata per la temperatura del sistema, acquisisce le dimensioni di un’energia). Questo secondo termine assume valori molto elevati all’aumentare della complessità del sistema, cioè del suo livello di coscienza, e quindi del relativo livello (stadio) dell’anima. Pertanto, se ci si limita ad una comprensione intuitiva dei fenomeni coinvolti, la definizione di anima data da Mancuso mi pare in linea generale compatibile con l’idea di ‘complesso cosciente’ formulata da Tononi e in qualche modo connessa con il relativo concetto di estropia.

    Vi ringrazio anticipatamente per ogni vostro commento (che mi auguro un po' benevolo e comprensivo..) e osservazione.

  215. Per Giovanni,

    grazie degli stimoli forniti.

    Nel frattempo ho iniziato a leggere il libro di Hofstadter "Anelli dell'IO" e, molto incuriosita, avendo trovato la sua mail su Internet, gli ho posto alcuni interrogativi. Mi ha, molto gentilmente, risposto senza approfondire gli argomenti, ma confido che se, a fine lettura, esporrò un'opinione conclusiva, vorrà rispondermi.

    Nel frattempo sottopongo anche ai forumisti del sito che stanno leggendo o hanno letto Hofstadter (Rosario e Marco Trainito)le mie osservazioni per confrontarle con le loro…

    Copio il "carteggio" via mail:

    Buongiorno,

    confidando nella conoscenza dell'italiano del prof. Hofstadter, provo a inviare queste osservazioni sulla lettura delle prime pagine del libro "Anelli dell'IO" sperando, ingenuamente, di ottenere ulteriori chiarimenti dal professore.

    In realtà non ci spero molto e non lo pretenderei, immaginando quali e quanti altri impegni più importanti lui abbia, ma la passione per questa lettura e la scoperta su Internet del sito dell'Università dell'Indiana con la mail,mi spinge a questo…

    Nel libro l'autore parla di evoluzione da "piccole" a "grandi" anime che mi fa pensare al percorso evolutivo complessivo che ha portato anche a far nascere la materia vivente da quella inanimata.

    La "grande anima" di cui parla Hofstadter appare come un nuovo salto qualitativo nell'evoluzione rispetto alla vita di un batterio o di un'ameba.

    Se ho ben inteso, questa "anima" (che non è ontologicamente altro dalla materia, come pensano i dualisti)può "causare" o "servirsi" della materia.

    Mi chiedo se questa "performance" dell'Anello, non corrispondendo alle proprietà fisiche del cervello ( neuroni, ecc.) ma costituendo qualcosa che si evolve in modo autonomo, possa non avere, come dire, il "bisogno" di morire come la vita che si perpetua attraverso la riproduzione.

    Forse questa "anima" può trovare un modo di esprimersi "più astratto", "informatico", ad esempio un' Intelligenza Artificiale?

    Questo Anello mi pare fatto di un'energia "più sottile", più adatta a ricevere e trasmettere informazioni e ad accrescersi nella conoscenza o autoconoscenza.

    Questa "Anima" che "comanda" il corpo può "creare" o "ricreare" se stessa?

    Pare che la Vita stessa sia Informazione che nell'evoluzione aumenta via via la sua coscienza.

    Quando Archimede ebbe l'idea che lo fece uscire dalla vasca da bagno urlando: "Eureka", che cosa provocò il suo urlo e il suo balzo? Quale forma di energia? Un'idea può far muovere e può far urlare?

    Prima di sparire nel coma o nell'Alzheimer o nel cervello morente, l'Anello non creò, non "disegnò" l'energia del cosmo?

    Se lo strumento è muto, non lo è la composizione musicale…

    Non credo tuttavia nella disuguaglianza delle anime , nè tra quelle umane, nè tra gradi diversi della materia animata e inanimata.

    Infatti l'"Informazione" non è già contenuta nei gas, nei cristalli, nei batteri, nelle zanzare? Diciamo in forma "inconscia"? Un grande inconscio collettivo ?!

    Non ho ben capito se il prof Hofstadter, considerando l'anima della zanzara "piccola" ,oggi la ucciderebbe o no. Andrò avanti con la lettura del libro e scriverò ancora…Se non altro mi servirà a chiarirmi le idee. ……

    Cara Signora …..– Grazie per il suo

    messaggio sulle anime, gli anelli, l'evoluzione,

    e l'energia nell'universo, ispirato dalle prime

    pagine del mio libro recente. Ho letto con

    interesse quel che ha scritto. Purtroppo sono

    inondato da email provenienti da lettori qua e là

    nel mondo, e per motivi ovvi non posso lasciarmi

    coinvolgere in corrispondenza con loro, per

    quanto gli argomenti possano essere affascinanti.

    Ars longa, vita brevis! Spero che lei capirà.

    La ringrazio per il suo interesse al mio libro,

    spero che lo finirà e che le mie idee

    diventeranno più chiare man mano che lei avanzerà

    nella sua lettura, e in ogni caso le auguro un

    buon anno nuovo. — Douglas Hofstadter.

  216. Faccio i miei complimenti a Sandra per essere riuscita nell'impresa di avere una risposta da Hofstadter! :-)

    Ringrazio anche Giovanni per le sue riflessioni stimolanti. Personalmente non riesco a condividere la sua impressione di una compatibilità tra la definizione di anima fornita da Mancuso e quella che si può ricavare da alcuni settori delle neuroscienze. Al di là di una analogia prima facie tra alcune espressioni, non si può non tenere conto del sapere di sfondo (il traducianesimo di Gregorio di Nissa e di Rosmini, tanto per dirne una!) su cui si staglia il discorso di Mancuso. Ma è scontato che questa è solo una mia opinione.

  217. Certo, il discorso dell'anima infusa di Dio col soffio iniziale e poi trasmessa dai genitori è centrale nel discorso di Mancuso ma mi interessa, per ora, soffermarmi solo sulla definizione di anima.

    E' in questo (posso anche aggiungere "solo" in questo, ma è un altro discorso), che sono d'accordo con Mancuso. Anche nella visione diciamo "algoritmica" della costruzione dell'anima (dalla cellula concepita al feto al bambino.. con i crescenti livelli di complessità del sistema neuronale e l'eventuale formazione degli anelli che guardano in se stessi, se vogliamo credere a Hofstadter) mi pare si possa intravedere un legame con l'estropia e quindi pensare (definire?) l'anima come il contenuto di energia del sistema oltre la semplice entalpia.

  218. Io ho letto il libro da poco.Devo dire che mi ha stravolto , molti concetti mi sono stati familiari subito.Non sono un teologo , ma credo che Mancuso ha avuto il coraggio di parlare e scrivere delle cose che ci teniamo dentro.

    Devo fare una forte critica a chi contesta le sue idee : sono persone che hanno paura di far parlare la propria coscienza , impauriti dalla società pseudo cristiana che ci fà stringere la gola quando ci viene voglia di criticare le stronzate della fede.

    Ci hanno educato al rispetto di un divino che non c'è (nella forma cristiana) e oggi anche se siete studenti di filosofia vi viene duro ingoiare delle verità e dire che le condividete.

  219. Ho concluso la lettura di “L’anima e il suo destino” di Vito Mancuso.

    D’ora in poi lo annovererò tra i miei preferiti, sebbene appartenga a quei libri che bisogna leggere e rileggere, poiché esso è così ricco di implicazioni, che hanno effetto sul vissuto e sull’immaginario, da richiedere una costante manducazione.

    Vito Mancuso è uno di quei pochi teologi cattolici che non teme di affrontare con lucidità intellettuale e piglio filologico alcuni nodi fondamentali del pensiero e dei dogmi cattolici sotto un profilo eminentemente laico.Ma poi è così "cattolico"? A me pare che ne demolisca molti pilastri.

    Detto così, sembra paradossale, ma le nebbie dei pregiudizi si diradano, quando lo si legge.

    La roccia è costituita dal discorso sull’origine e la funzione dell’anima.

    Vi convergono le acquisizioni della fisica del XX secolo, Aristotele e soltanto in parte Platone, mentre ampio spazio è dato ad alcuni teologi tedeschi contemporanei e al Concilio Vaticano II.

    Non è mia intenzione qui, sarebbe atto di tracotanza intellettuale, sintetizzare le posizioni di Mancuso; posso dire, però, che il libro può giovare sia ai cattolici, sia ai laici, gli uni e gli altri impegnati in una guerra ideologica e politica senza quartiere, quando, in realtà, i due fronti, soprattutto nelle zone periferiche dell’elaborazione concettuale, non sanno di che parlano, i primi appellandosi alla fede cieca, gli altri al razionalismo relativista, che spesso scade nella nullificazione desertica con tutto il polverone della strumentalizzazione politica.

    Non ho conoscenze specifiche per opporre argomentazioni di carattere strettamente filosofico, dacché mi occupo di letteratura; alcuni dei filosofi-pensatori citati da voi nel post non li conosco oltretutto. La recensione da voi proposta è circostanziata e ricca di rimandi, devo però rilevare una tendenza alla ridicolizzazione del pensiero del teologo che percorre tutto il post. Se ne tratteggia un quadro "pietoso", Mancuso sembra un povero scemo, inconsapevole di ciò che afferma e baciato dalla fortuna di un editore avido di tirature librarie.

    L'incipit poi è già polemico: i laici come cattivoni e il testo di Mancuso come risposta alla fiumana dell'ateismo e del materialismo.

    Grazie per gli spunti bibliografici proposti, che danno modo di continuare la ricerca personale.

    Melchisedec (Pa)

  220. Marco Trainito,

    Io sonno brasilliano. Ho bisogno di su saggio: "La manutenzione del sogno. Note sparse su 'La misteriosa fiamma della regina Loana". Altroverso.

    Quaderni di segni contemporanei 5, pp. 9-17.

    Potreste inviarci ulteriori informazioni o il saggio?

    grazie

    Prof. Dr. Augusto Rodrigues

    (Universidade de Brasília – Brasil

  221. Gentile prof. Rodrigues,

    le invio volentieri il saggio se mi dà il suo indirizzo di posta elettronica.

    Cordiali saluti.

  222. Signore Marco T.

    L'indirizzo di posta elettronica è: augustorodriguesdr@gmail.com

    Ci provverò um saggio e vorrei lire su saggio soppra La misteriosa fiamma della regina Loana.

    Non devi mai dimenticare le referenze per index e per citazione.

    Io sono profondamente grato

    Cordiali Saluti

    Prof. Rodrigues

    (Brasil)

  223. Dopo aver letto attentamente, più volte "le confessioni" di Agostino, se non si hanno altre finalità se non quelle di perseguire la "verità" attraverso la ragione, si deve necessariamente ammettere che il concetto di divinità, si afferma con l'affemarsi della abilità dell'uomo ad astrarre.

    Questo concetto, che fa tribolare Agostino, lo costringe ad affermare " non è l'uomo ad aver creato Dio, ma è Dio ad aver creato L'uomo" questa affermazione è la risposta a quale domanda ? (quiz alla rovescia) Bene una persona intelligente che si pone quella domanda non ha più dubbi.

    Dio esiste in quanto creatura dell'uomo, più l'uomo si evolve mentalmente e più Iddio assume fattezze spirituali, più l'uomo è in grado di astrarre e più Dio si smaterializza.

    Più sfugge alla materialità, e più preoccupa chi ha fondato il proprio potere su quella materialità, eco all'ora l'invenzione del Dio ingegnere del cosiddetto "Disegno intelligente".Dimenticano costoro che nessuna agenzia di certificazione di qualità si assumerebbe l'onere di certificare le approssimazioni qualitative del"creato" in particolare il corpo umano, Quel rozzo e forse un po' perverso progettista del corpo umano, sarebbe chiamato a rispondere penalmente, o a richiamare tutti gli esseri umani, per sistemare ed esemplificare tutte le funzioni complicatissime ed inutili di molti organi.

    Le leggi della fisica che regolano l' universo,che valore interpretaivo avrebbero senza le categorie umane di "ordine o disordine" della materia? Non parliamo poi di concetti di bene e male, qui siamo proprio nelle ristrettezze di variabili etiche che mutano a seconda dello sviluppo sociale.

    Oggi, profeti come Maometto verrebbero come minimo arrestati con l'accusa di pedofilia, (una moglie di 9 anni) Gesù era favorevole in certi casi alla pena di morte (chiunque dia scandalo gli si metta al collo una macina di un mulino e lo si butti a mare…) e così di seguito…..

  224. Rispondo a Marcello che parla di funzioni complicatissime e inutili di molti organi del corpo umano. Non conosco funzioni inutili del corpo e non so a cosa si riferisce.

    Ma i concetti di organo e funzione fanno pensare ad una materia o essere "in-formati" o, come dice Marcello stesso "ordinati"( ad esempio l' apparato digerente ha un preciso funzionamento ordinato allo scopo di "digerire").

    Questo non possiamo negare che esista perchè fa parte del nostro essere. Marcello è convinto che questo essere sia qualcosa di rozzo e confuso, casuale. Casi complicati per la verità se ci vogliono tanti studi per capire come funziona anche una sola cellula.

    Insomma Marcello non mi dà risposte esaurienti

  225. Completo e chiarisco il mio ragionamento : anche ammettendo che l'essere sia incomprensibile per noi, rozzo, casuale, non possiamo negare che SIA o che noi ci troviamo in qualche modo in questo ESSERE. Se non ci troviamo nell'essere e tutto è una illusione, allora non ha senso neanche parlare, se invece c'è invece di non esserci,o lo creiamo noi o ci troviamo in qualcosa che non creiamo noi.

    Se siamo noi a crearlo, bisogna capire chi siamo e perchè creiamo l'essere, se non siamo noi, che cos'è l'essere che c'è invece di non essere?

  226. Rispondo a Sandra,

    In realtà il corpo umao e complicatissimo e fino adesso ha dato esauienti risposte per la sopravvivenza, proprio perchè e il risultato di una evoluzione,quante specie sono scomparse perchè tra le altre cose, non hanno dato risposte (risposte immediate, non programmate a priori) l'uomo e cosi altre specie,anche se hanno rischiato l'estinzione (quanti uomini però si sono estinti e si estinguono perchè non "adatti" )ancora continuano a vivere sino a quando non si sa.un conto è la specie altro sono gli individui.

    In miliardi di anni, situazioni più disparate e diverse hanno costretto il nostro corpo a differenziarsi.

    Mi sembra questo un ragionamento più logico di quello dell'"ingegnere creatore", (mi dici a che serve l'appendice? Perchè non ci ha dotato di 4 mani, perchè non ci ha fatto gli occhi anche di dietro, e si potrebbe continuare) Poi perchè dobbiamo pensare che ci sia qualcuno che "fa" che crea, non è forse perchè la misera esperienza dell'"UOMO FABER" ci costringe a pensare che qualcuno debba fare, debba costruire, ed allora i fenomeni dell'universo dovrebbero essere causati, fatti da qualcuno, una concezione più umana di questa !!

    Fra qualche anno, sicuramente gli scienziati riusciranno a sintetizzare la proteina che determina in noi il trascorrere del tempo, a questo punto come la mettiamo con tutta la fisica dove nelle formule compare la lettera "t" ?

  227. Sempre a Marcello, ma anche a tutti gli altri forumisti:

    Che cos'è il nostro corpo, che cos'è l'evoluzione? Perchè ci sono invece di non esserci? Non rispondetemi ancora una volta con la teoria dell'evoluzione che conosco benissimo a memoria e ve la posso rispiegare tutta, vi sto chiedendo un'altra cosa: perchè c'è l'essere? Mi potete rispondere che è un dato di fatto: è così e basta, ma capirete che non è una risposta molto filosofica. Voglio dire perchè c'è questa evoluzione, perchè c'è la materia, che cos'è la materia ,non nel senso fisico di che cosa è formata, ma del fatto che esiste.

    Dunque di questa cosa si predica che E'.

  228. A Sandra,

    Ti sei mi chiesta perchè ti fai queste domande? Ti sei mai chiesta perchè nei tuoi sogni le immagini sono una conseguenza e non un principio ? Lo spirito è una produzione, giudicata storicamente come qualcosa di eccellente, della materia,quando la materia regredisce (traumi o altro) o si abbrutisce (condizioni materiali) lo "spirito" segue biunivocamente tale condizione regressiva, quindi in principio non può esserci il verbo che viene dopo. A noi ci appare il contrario perchè non abbiamo la memoria dei "primordi", la storia o la preistoria della nostra esistenza è soltanto riportata , non ovviamente vissuta.Siamo abituati a pensare che per costruire una casa, prima bisogna fare il disegno, quando invece l'origine del disegno è stata proprio la costruzione materiale della casa.

    Non so se ci siamo intesi sul significato dell'ESSERE, senza entrare nelle paludi della filosofia.

    Insomma prova ad invertire il sistema " da DIO a L ' UOMO" a DALL'UOMO A DIO" vedrai che il percorso è molto più logico razionale e veritiero. Il resto è FEDE , quando però si pretende di mettere assieme FEDE E VERITA' allora si fa scientemente una operazione di MALA-FEDE perchè le connotazioni semantiche di qesti due sostantivi stanno insieme come cani e gatti (di una volta) LA FEDE è la negazione della VERITA' metterli insieme si fa una negazione della negazione nient'affato dialettica (mi scuso per essere entrato nella palude).

    Insomma l'ESSERE (lo spirito? l'anima?) è una conquista non è un dato genetico. La tradizione della Chiesa (nel suo divenire terreno è stata sempre, se non materialista, sicuramente pragmatista)nella vita di tutti i giorni ha ritenuto essenziale procurarsi prima i beni materiali per la propria sopravvivenza (San Paolo che sollecita il pagamento delle quote ai militanti) ( la punizione divina, la morte, nei confronti di Nania e Zephyra che avevano mentito sul valore della vendita dei loro beni, atti degli apostoli, ecc. ecc.)

    Dopo questa "esegesi" immagino che dirai, si ma la risposta concisa alla mia domanda dov'è, semplicemente non c'è , forse non ci sara mai,(sicuramente per noi). però, se non si interrompe il cammino della conoscenza, forse un domani avremo risposte che oggi neanche riusciremmo a sognarci.I filosofi greci, se non c'èrano gli schiavi che li mantenevano non avrebbero potuto pensare. Cartesio si lamentava quando era da Christina di Svezia che il freddo gli impediva di pensare, con buona pace del "cogito ergo sum"

    Tu probabilmente se èri un abitante del Darfur non ti saresti posta queste domande.

  229. Ovviamente Marcello non mi ha convinto, la domanda su chi sono e perchè esisto appartiene all'umanità fin dai primordi,nel momento in cui abbiamo testimonianze di ominidi, queste riguardano culto dei morti e riti religiosi.

    Quindi certo anche in Darfur si pongono queste domande.

    Non capisco perchè poi quello che siamo e pensiamo non sia una spia del modo di essere della natura come se noi non facessimo parte della natura stessa.

    Poi Marcello dice : non ci sono risposte, forse non ci saranno mai, per noi no di certo, in futuro chissà…

    Che ne pensa Marco Trainito?

  230. Scusatemi se ritorno ancora su queste cose, però vorrei ricordare a Sandra che se analizza bene l'antropologia culturale degli ominidi scoprirà che gran parte della natura per loro significava PAURA, e siccome subivano le conseguenze catastrofiche dei fenomeni naturali proiettavano le loro paure oltre la natura cioè nel "soprannaturale", infatti gli dei erano "mediamente" cattivi, bisognava placarli spesso con il sangue, il culto dei morti era soltanto un tentativo di prolungare la loro vita tenedo vivo il ricordo, dal momento che dal "sonno" non si risvegliavano mai, (il cibo messogli accanto non era affatto per il loro viaggio nell'altra vita, ma serviva nel caso si fossero risvegliati). Ti è mai capitato di aver tanta fame e di appisolarti sognando qualcosa da addentare ? oppure se aumenta la secrezione degli ormoni sessuali di fare i cosiddetti "wet dreams?" Capisci che le priorità materiali determinano la qualità dei pensieri? Ho tirato in ballo il Darfur, non per paragonare gli abitanti all'arretratezza degli ominidi, ma per mettere in evidenza che, se non hanno di che mangiare, il loro pensiero dominante non è certo "chi siamo e da dove veniamo" "luoghi comuni di persone satolle" Se è vero come è vero che la cottura delle carni, ha permesso all'uomo primitivo di risparmiare tempo nella digestione, e di permettergli di portare ossigeno al cervello, necessario per pensare, allora….. COTTURA DELLA CARNE——PENSIERO, come vedi lo spirito viene dopo.

  231. Marcello, sapevo che avresti risposto così!!Che l'ignoranza e la paura dei fenomeni sconosciuti spingevano gli uomini primitivi all'idea di dei da placare o rendere benevoli…Sono argomenti, scusami, molto triti…D'altronde ancora oggi lo sciamanesimo è studiato come interpretazione del mondo e i miti nascondono profonde analisi della realtà.

    Mi pare che il tuo discorso sia un po' semplicistico.

    Mi pare anche che tu abbia una visione della realtà dualistica: materia e spirito:

    La materia è una sola e pare, dalla fisica attuale che sia spirito, energia, informazione.

    Le persone del Darfur hanno fame di giustizia.

  232. Sandra

    Ci sono degli argomenti che si esauriscono con delle risposte che finchè non vengono invalidate, (seguendo gli stessi criteri metodologici) sono valide anche se non soddisfano le menti che si innamorano non tanto del fine ultimo della ricerca, quanto della ricerca stessa. un onanico gioco del rilancio all'infinito in una sorta di trekking avventuroso dove non si contentano delle spiegazioni, delle verifiche semplici, (non semplicistiche), bensì vogliono a tutti costi il piacer di un pensiero barocco.

    Puo anche darsi che le nanotecnologie mettano in discussione quello che sinora si sa sul comportamento della materia, però l'atomo è l'atomo , gli elettroni sono gli elettroni la scoperta di altre particelle non mi sembra che sconvolgano le conoscenze sin qui acquisite. Certamente anche questo te lo sarai sentito ripetere, sono cose trite e ritrite, non per questo sono oramai superate.Si io ritengo che la parte nobile dello "spirito" ( le emozioni, inclusa la paura sono frutto dell'attività del corpo limbico, istintive,)sia il prodotto dell'attività della corteccia cerebrale,che come minimo la separa dal corpo limbico qualche milione di anni.Quindi il dualismo (basta intendersi)esiste alla fonte. Lo sciamanesimo come interpretazione della realtà è una scoria strumentale dell'esercizio del potere degli sciamani, e i miti non nascondono un bel niente se non una sublimazione della stessa realtà (una fuga) non so se ti suona trita anche questa affermazione "non è la coscienza a determinare l'essere sciale, ma è l'essere sociale a determinare la coscienza"

    Con questo credo di aver concluso l'argomento, ti rigrazio comunque per la tua attenzione.

  233. Termino anch'io raccontandoti di una novella della Matilde Serao: parla di una piccola serva sarda, senza famiglia che vive alle dipendenze di una casa padronale. Il suo incarico è portare al pascolo un maialino. La bambina è sempre affamata e maltrattata e trova nel piccolo animale il suo compagno.

    Però un giorno si deve uccidere il maiale. E' una gran festa per tutti padrni e servi.

    Per l'occorrenza offrono del cibo anche alla bambina. Ma lei dice no, semplicemente, col capo.

  234. EVOLUZIONISMO, IL TRAMONTO DI UNA IPOTESI, a cura di Roberto de Mattei – Cantagalli Editore, 2009 – pagine 260, euro 17,00

    Evoluzionismo: una ipotesi dogmatica

    In occasione del bicentenario della nascita di Darwin e a centocinquant’anni dalla prima pubblicazione dell’Origine delle specie, alcuni autorevoli studiosi di diverse appartenenze culturali e disciplinari si sono confrontati sulla fortuna delle teorie darwiniane, mettendone in luce le diverse criticità.

    Dai loro contributi è nato il libro Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi, a cura di Roberto de Mattei. Il volume, che è stato presentato a Roma, all’Hotel Columbus (via della Conciliazione, 33), il 6 novembre alle ore 18, raccoglie gli atti di un convegno svoltosi di recente a Roma per iniziativa della Vice Presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Da queste pagine l’evoluzionismo emerge come una teoria scientifica e filosofica, due aspetti che si sostengono a vicenda, incapace però di rispondere ad alcune questioni basilari riguardanti l’origine della vita e il mistero dell’esistenza umana.

    L’evoluzionismo appare inoltre come una “cosmogonia” che pretende di descrivere la storia del mondo partendo da postulati scientifici inverificabili, una dottrina spesso imposta come un “dogma”, che invece dovrebbe essere sottoposta al rigoroso vaglio della critica nazionale e scientifica, attraverso un libero confronto tra gli studiosi.

    Gli autori del volume sono: Guy Berthault, paleontologo, membro dell’Associazione Internazionale dei Sedimentologi (Francia); Roberto de Mattei, storico, professore all’Università Europea di Roma e Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche; Jean de Pontcharra, fisico, ricercatore in nano-elettronica all’Università di Grenoble (Francia); Maciej Giertych, genetista, membro dell’Accademia Polacca delle Scienze e, fino al 2009, deputato del Parlamento Europeo (Polonia); Josef Holzschuh, fisico, ricercatore di geofisica alla University of Western Australia; Hugh Miller, chimico, dottorato alla Ohio State University, Columbus, Oh (USA); Hugh Owen, scrittore, presidente del Kolbe Center negli Stati Uniti; Pierre Rabischong, biologo, professore emerito dell’Università di Montpellier, già Direttore dell’unità di ricerca in biomeccanica dell’INSERM e decano della Facoltà di Medicina (Francia); Josef Seifert, filosofo, rettore dell’International Academy for Philosophy del Liechtenstein, membro della Pontificia Accademia della Vita (Germania); Thomas Seiler, fisico, dottorato in fisico-chimica all’Università di Monaco, ingegnere per i sensori elettrochimici nel Dipartimento Innovazione della Robert Bosch GmbH (Germania); Dominique Tassot, Direttore del Centre d’Etudes et de Prospectives sur la Science (Francia); Alma von Stockhausen, filosofo, presidente della Gustav-Siewerth-Akademie (Germania).

  235. Che l'anima sia un fenomeno emergente, non riconducibile alla somma degli elementi fisici (i neuroni e le loro interazioni)implicati, penso sia sostenuto da diversi scienziati anche non credenti-ad esempio Hofstadter..-

    Da qui a ipotizzare che questo epifenomeno possa esistere indipendentemente dal corpo come un'entità astratta, ad esempio il contenuto di un libro o di un'opera d'arte (non quindi una somma di colori su una tela)ce ne passa.

    Che possa avere carattere eterno, sovratemporale come una sinfonia o una commedia di Shakespeare o essere presente in tutto.

    L'anima il cristiano la immagina eterna e sopravvivente alla morte.

  236. In realtà penso che, dal punto di vista scientifico, l'anima sia un fenomeno emergente da un sistema complesso (il sistema neurale) in modo senz'altro ricoducibile alle caratteristiche dei singoli elementi che lo compongono. Non ravvedo nessun aspetto olistico (sostanzialmente estraneo alla scienza).

    Mi farebbe molto piacere se potessi esprimere il tuo parere anche sul blog (per vivacizzarlo e renderlo interessante): grazie tante!

  237. Per Giovanni e gli altri forumisti:

    non sono d'accordo quando parli di sistema complesso riducibile alle sue componenti perchè quello che descrivi è proprio il contrario di un fenomeno "emergente", cioè qualcosa di nuovo che prima non c'era.

    Per fare un esempio pensiamo alla differenza tra un minerale e una pianta: anche la pianta è formata da componenti minerali eppure è diventata una cosa completamente diversa.

    Per gli "emergentisti" anche l'anima, pur avendo delle componenti

    chimiche, è una cosa diversa come è diverso un fiore da un sasso.

    Non so a cosa ti riferisci con l'aggettivo "olistico".

    Semplicemente mi chiedevo se l'anima può sopravvivere al tempo come sopravvive un'opera d'arte che noi consideriamo "eterna".

  238. @Sandra, Giovanni

    Dal mio punto di vista si può certamente affermare che l’anima è emergente, ma perché dovremmo farlo? Voglio dire, affermare che l’anima è emergente senza poi stabilire delle leggi ponte è una semplice dichiarazione di fede (più o meno hard) di fisicalismo. In realtà penso che la biologia e le teorie evoluzionistiche stiano prendendo una brutta piega, quella della metafisica, intesa come scienza della totalità delle cose. Penso che ciascun settore di ricerca abbia il suo proprio dominio di oggetti, nella fattispecie la biologia spiega le entità biologiche, e se volgiamo la biologia a spiegare entità concettualmente non biologiche, come l’anima (e forse anche la coscienza, non lo so), finiamo col creare crampi concettuali che non producono teorie realmente informative.

  239. in realtà la fisica attuale ha elaborato teorie (con prove sperimentali) che "sotto la biologia" c'è una realtà più profonda (se si può definire così)fatta di onde di energia con leggi diverse da quelle del macromondo.

    In particolare il funzionamento cerebrale pare abbia a che fare con il campo della fisica quantistica.

    Non facciamo però nessun passo avanti schierandoci tra riduzionisti e "spiritualisti" ad oltranza.

    Sai benissimo che scomporre una molecola non ti dà la vita e scomporre il cervello non ti dà la coscienza.

    Se però a te piace tenerti terra terra fai pure, siamo una manciata di minerali , nulla in un universo stupido.

  240. Direi che bisogna intendersi sui termini. Innanzitutto, ribadisco: affermare che l’anima emerge (sopravviene, scaturisce, sbuca o altro ancora) è assai poco informativo se non spieghiamo COME emerge, COME sopravviene, COME scaturisce, COME sbuca. Poi: mi sembra che tu intenda l’emergentismo come una dottrina radicalmente antiriduzionista e potenzialmente in sintonia con l’idea di immortalità (l’eternità non è sostenuta nemmeno dalla dottrina cattolica) dell’anima. A me sembra che sia più appropriato classificare l’emergentismo come un tipo di fisicalismo solo un po’ più liberale. Invito inoltre a considerare l’ipotesi che ci sia qualcosa di sbagliato nel tentativo di spiegare entità concettualmente non biologiche mediante teorie biologiche.

  241. ma, anche "le leggi" della biologia sono in divenire, una volta si ignorava l'esistenza del DNA. Non sappiamo creare la vita.

    Che ne sappiamo di cos'è la vita.

    Insomma non mettiamoci paraocchi, non facciamo compartimenti stagni…

  242. Con una metafora troppo (lo so!) semplificata, si può dire che l'anima emerge dal complesso sistema neurale come un'immagine televisiva emerge dal complesso sistema di diodi dello schermo.

    (negli schermo di una volta..; diodi che rispondono ognuno alle leggi della fisica; certo, non è un sistema integrato ma la metafora è – come detto – strasemplificata).

    A cosa serve questa interpretazione?

    Bè a cercare di capire l'origine dell'anima, se c'è spazio per un evnetuale intervento esterno non fisico, il suo destino..

    E' un approccio totalmente riduzionista, lo so. Ma da sempre efficace nell'osservazione e interpretazione oggettiva della realtà. Realtà che è unica e non scomponibile in compartimenti stagni.

  243. l'altra sera a Superquark Alberto Angela aveva sul tavolo i minerali di cui è composto il nostro corpo, ma se li mettiamo assieme non abbiamo un uomo.

    Non conosciamo le leggi che hanno permesso a queste sostanze di diventare esseri viventi, non sappiamo creare il vivente se non agendo su strutture che sono già viventi (cellule animali o virus).

    La vita è "emersa" da quei minerali, ma non sappiamo ancora come, o sbaglio?

  244. So che è un forum di filosofia, ma sarei grata se qualcuno mi desse informazioni sull'argomento: da quel che so gli scienziati ritengono che la vita ha avuto inizio sul pianeta in particolari condizioni atmosferiche ( tipo di gas presenti o assenti nell'atmosfera, fenomeni elettrici, ecc.).

    Se sostengono questa ipotesi come mai non hanno sperimentato "in vitro" le condizioni ipotizzate e verificato la riproducibilità della nascita della vita a partire dalle componenti di carbonio?

  245. Il percorso è lungo per interpretare l' evo/devo (evoluzione/sviluppo dell'essere vivente) e la scienza sta cercando di capirci qualcosa. Le "transizioni" dalla materia inorganica alla vita, dalla cellula procariota a quella eucariota, dall'essere vivente solo animale – per così dire – all'essere vivente intelligente, sono stati eventi assai "difficili".

    Sono, questi, temi su cui è importante riflettere, soprattutto per chi è in cerca di Dio e non vuole assolutamente rinunciare ad una visione oggettiva e scientifica della realtà.

  246. Wikipedia elenca i vari esperimenti compiuti per formulare ipotesi sull'origine della vita.

    Ma due concetti-base mi paiono fondamentali in queste ricerche : l'RNA come probabile sistema di memorizzazione dell'informazione e l'azione della selezione naturale fin dai primordi.

    Concetti base che parlano di memoria, informazione ,azione di meccanismi selettivi (quelli che poi daranno vita all'evoluzione come la conosciamo)e che sembrano sfuggire alla casualità cieca o sbaglio?

  247. per Giovanni: ho letto la scheda del sito inviatomi sull'origine della vita, ma c'è ancora un dubbio che mi sorge.

    Quando si parla di evoluzione della vita, si dice che alcune mutazioni casuali sono premiate e altre no. Questo non è un reale principio vitalistico, cioè di tendenza a conservare la vita? Perchè se tutto fosse indifferentemente casuale, non cisarebbe stata evoluzione come mantenimento della vita, mi sono spiegata?

  248. Insomma a me pare che qualcosa di stano ci sia in questo adattamento delle forme casuali e nella loro riproduzione, che cosa cavolo gliene importava di vincere la sfida ambientale?

  249. Certo, l'evoluzione non la mette in dubbio nessuno, mentre il problema sta nel ruolo della selezione naturale. E' questo ruolo che è criticato, ad esempio, dall'ultimo libro di Piattelli Palmerini.

    Le mutazioni sono rigorosamente casuali, se poi è l'ambiente a fare prevalere quelle più vantaggiose o ci sono altri meccanismi… o altri interventi..

  250. Di fatto qualcosa è intervenuto A PREMIARE una vita che nel complesso si è sempre perpetuata e si perpetua ancora, alcune specie possono estinguersi se non riescono a sopravvivere.

    Una pianta grassa vive nel deserto, gli orsi polari tra i ghiacci, questo appare evidente, da ciò si ricava il concetto di "adattamento" e nasce il concetto di "scopo" perchè queste forme si adattano per continuare ad essere se stesse

  251. Stephen Hawking è arrivato a sostenere qualcosa che già conoscevamo dalla scienza attuale e cioè che non c'è stato un Tale che ha fatto Boom per provocare la nascita dell'Universo, infatti la materia come i fisici la conoscono fino ad oggi ha già al suo interno le leggi che la fanno funzionare.

    Non mi sembra strano o nuovo.

    Ma non mi pare neanche che risolva il mistero.

    Il mistero delle leggi e il mistero di quelle leggi nel cervello di Hawking

  252. Constato con piacere in questo preciso momento che Giulio Giorello, nel suo "Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo" (Longanesi 2010, 4, pp. 128-132), fa la pelle a Mancuso.

    Chi ha seguito dall'inizio questa discussione capirà cosa voglio dire e perché sono soddisfatto.

  253. "Un tempo, dimenticate le ingenuità di qualsiasi ateismo militante, sembrava opportuno dichiararsi "agnostici" invece che atei. Oggi, di fronte alla ripresa del fanatismo religioso, l'ateismo diventa una dichiarazione di autonomia politica, di indipendenza intellettuale. Non si tratta di fare dell'ateismo un insieme di convinzioni più o meno dogmatiche, ma uno strumento per guidare meglio la ricerca scientifica e la vita quotidiana. Si tratta di un ateismo "strumentale e metodologico". Come tale, può esser fatto proprio anche da qualsiasi credente, purché la sua sensibilità religiosa sia abbastanza flessibile da permettergli di leggere i testi sacri non come terrificanti ingiunzioni, ma come capitoli di una storia fantastica che potrebbe magari… essere anche vera."

    ho letto questa recensione della Feltrinelli sul libro di Giorello. Se questa è effettivamente la posizione di Giorello, concordo

  254. Egregio Sig. Trainito, penso sinceramente che quello che manca a Vito Mancuso non sia tanto un confronto sincero con scienziati ed epistemologi atei e laici, quanto un “filtro filosofico” irrinunciabile con i contemporanei critici della metafisica classica, Nietzsche, Husserl, Heidegger e Foucault, solo per citare i più importanti.
    I primi infatti commettono un errore filosofico altrettanto clamoroso di quello da lei segnalato dei sostenitori del principio antropico, quando sostengono la non esistenza dell’anima e della sua immortalità partendo dall’assunto che, in quanto esse non sono DIMOSTRABILI né dalla mente logica né da quella scientifica, sono di per sé problemi INSUSSISTENTI o addirittura FALSI. Purtroppo per loro, la vita e la sensibilità umana che da essa scaturisce, la libertà umana, i suoi abissi e i suoi paradossi non si lasciano imbrigliare dalle regole della logica formale. Nessuna scienza ha saputo finora dar loro ragione o torto con una parola definitiva, e a mio avviso neppure nel più lontano futuro sarà possibile che avvenga una cosa simile. Questi problemi, infatti, appartengono a un’ ONTOLOGIA REGIONALE (Husserl) completamente diversa rispetto agli ambiti di applicazione della logica scientifica e apodittica e ad essa sono COMPLETAMENTE IRRICONDUCIBILI.
    Ciò detto, l’errore filosofico di Mancuso sta nel mancato confronto con i Maestri della contemporaneità, che con il loro (pur benemerito, detto senza ironia) lavoro di sistematica decostruzione del pensiero del passato ci hanno lasciato un mondo arido, vuoto di senso, senza nessun fondamento che non sia riconducibile ai Monumenti del passato (Dio della Chiesa Cattolica, Patria, Famiglia, Bene, Giustizia), in nome e al tempo stesso in barba ai quali si sono perpetrate un infinito numero di barbarie contro le stesse linee di principio da essi segnate.
    Quello che serve alla nostra contemporaneità è a mio avviso un pensiero che sia ancora in grado di pensare a quei monumenti del passato ma da un punto di vista eminentemente umano, che sappia distinguere la verità dalla menzogna, il bene dal male, il giusto dal’ingiusto, senza ricorrere a nessuna Autorità costituita, ma semplicemente nel confronto delle diverse prospettive sul vero. Mi permetto di consigliarle alcuni testi che ritengo in questo senso illuminanti. Si tratta di “Verità e interpretazione” di Luigi Pareyson. Infine, l’intera opera del Professor Carlo Sini mi sembra utile per mantenere un occhio critico in senso anti-assolutista, su ogni affermazione che rievochi termini e concetti già presenti nella metafisica classica.
    La saluto cordialmente.

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