Sitosophia

Nauseati

Trattando di nausea, da un punto di vista filosofico, è impossibile non tirare in ballo la propria persona. La nausea è esistenziale, come se l’esistenza in sé fosse nauseante. Tradotto in termini spiccioli significa che in fin dei conti si ha sempre e solo nausea di sé stessi. Ogni esistenzialismo è nauseante, ognuno che esiste è – o quanto meno dovrebbe essere – nauseato. Si vive nauseati, si finirà nausebondi.

Stefano Scrima, giustamente, tira in ballo sé stesso, da buon nauseato. E la fa aprendo e chiudendo quest’utile e appassionato libriccino con le parti più personali e interessanti. Anzi, personali e tuttavia interessanti, atteso che le persone, in generale e tanto più filosoficamente, risultano quasi del tutto prive di interesse.

Così il libro ne viene incorniciato a parte ante da una introduzione che è pure una dichiarazione di poetica; a parte post da una appendice costituita da aforismi, alcuni dei quali fulminanti e di molto effetto.

Nel mezzo, i nauseati. E fa bene Scrima a parlare di nauseati e non della nausea. La nausea – mi pare – non è concetto filosofico, sebbene se ne possa parlare filosoficamente. Tosto che un filosofo scrive filosofia, la nausea è estinta, come la propria persona. Fintanto che quest’ultima sussiste, insiste ed esiste, allora c’è da esserne nauseati. Togliere sé stessi dalla scrittura, come si toglie il nocciolo dalle albicocche. Eliminati noi, fine della nausea.

Assume dunque tanto più senso l’intenzione di fondo di Scrima, ossia tentare di superare la nausea scrivendone, perché «la nausea è cronica. E non si può conferire un senso alla vita: la vita non ha senso. Si può solo conferire un senso alla nausea; renderla bella» (pag. 12). La consapevolezza dello scrittore filosofico è ben riassunta da un fulmineo aforisma, che riassume il disagio di essere comunque e sempre un qualcuno che scrive, un qualcuno che non può fare a meno di esistere: «Non sono niente; anzi sono troppo; quindi di troppo» (pag. 87).

Nel mezzo tra la dichiarazione estetica volta alla bellezza e l’ammissione di essere di troppo, si svolge la teoria dei nauseati, ed è un piacere stare a guardarli. Probabilmente v’è qualche nome anch’esso di troppo (e penso ai Baustelle e a Sorrentino; ma forse qui siamo nell’ambito del gusto personale, il che mi fa suonare comunque un campanello d’allarme), o qualcuno di meno (uno Schopenhauer avrebbe potuto figurarci benissimo), però nel complesso Scrima riesce in un piccolo miracolo: dedicando circa due paginette a ciascuno, ci fornisce un prontuario della nausea, che stuzzica il palato dell’intenditore e al contempo può servire da introduzione per chi magari si voglia accostare a questi temi.

A un primo sguardo si nota una peculiarità nelle scelte di Scrima: si tratta di autori che possiamo inserire più o meno a pieno titolo nella contemporaneità, a parte un’unica eccezione costituita da Seneca. Questo salto è così motivato: «In questo libretto troverete un buco tra l’antichità e l’epoca moderna, costituito da quei secoli in cui il cristianesimo in Occidente ha rivestito un ruolo predominante — quasi mai messo in discussione. Con la secolarizzazione, invece, a partire dalla Rivoluzione scientifica, le certezze esistenziali si sono pian piano sgretolate lasciando molti uomini smarriti, in balia di loro stessi e di un’inevitabile senso di nausea» (pagg. 15-16). Ora, il “buco” è più che giustificato in quanto tale. Anzi, pure la presenza di Seneca appare come un’intromissione. La nausea esistenziale (come del resto ogni esperienza e concetto “esistenziali”) è affatto contemporanea. Non esiste un uomo antico che possa dirsi propriamente nauseato. I Greci non possono essere nauseati, perché tra loro non esiste la vecchiaia, non c’è Greco che non sia un fanciullo. Dubitare del senso dell’esistenza o della vita in generale non è ancora la nausea. È vero che l’uomo da sempre, da che è uomo, si è interrogato sul senso del campare e talvolta ha intuito una mancanza di senso in generale. Ed è pure vero che non sono mancati i suicidi per i motivi più disparati. Tuttavia, la consapevolezza del nulla, del nulla non solo dopo la vita, ma del nulla della vita in quanto vita, qualsiasi cosa si faccia, in qualunque modo si viva, e che comunque si deve vivere, nonostante vivere o non vivere sia indifferente, questo è sentimento contemporaneo. Questa è la contemporaneità.

Il filosofo deve farsene carico, certo. Ma come gli antichi non dicevano d’essere filosofi antichi, così dovrebbe suonarci ridicolo che un pensatore, oggi, possa essere definito contemporaneo. Trarsi fuori dalla contemporaneità, come tirarsi fuori da un guaio. È la contemporaneità che ci nausea. Il primo passo è riconoscere ciò, e il libro di Scrima può costituire un saldo appiglio, così vissuto, così sofferto. E poi? Salire, salire, guardare il contemporaneo come si guarda l’antico, avvertire la nausea come la vita: — con appassionato distacco.

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