L’uomo specchio della rete: una questione rizomatica

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Il rapporto fra essere umano e tecnologia non è a senso unico. A dispetto dell’antropocentrismo insito in ognuno di noi, l’effetto feedback che la tecnologia ha sulla nostra vita quotidiana potrebbe essere molto più profondo di quanto preferiamo credere.
L’emergere di fenomeni come Anonymous riecheggia il discorso rizomatico delineato già negli anni Ottanta dai francesi Gilles Deleuze e Felix Guattari. Nella loro opera Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, i due filosofi fanno uso di una metafora, quella del rizoma, prestata dalla natura per identificare i modelli sociali emergenti della condizione postmoderna.
In natura, il rizoma è un fusto sotterraneo capace di fungere da riserva di cibo per la pianta. Ma è il suo comportamento a rivelarsi fondamentale nel comprendere le nuove dinamiche che determinano il transito delle informazioni nella società odierna. Il rizoma può infatti clonare se stesso e produrre una fitta trama di radici a sviluppo orizzontale. Trasponendo il modello in un contesto sociale, osserviamo che, «Rispetto ai sistemi centrici (anche policentrici), a comunicazione gerarchica e collegamenti prestabiliti, il rizoma è un sistema acentrico, non gerarchico e non significante»1.
Ogni elemento di un sistema aperto può infatti venire a contatto con qualsiasi altro, scambiandosi informazioni. Nell’arena mediatica ciò si traduce in una disintegrazione di qualsiasi gerarchia istituzionale dedita alla filtrazione dei dati che raggiungono il pubblico. A più di trent’anni di distanza dalla pubblicazione di Capitalismo e schizofrenia, la metafora di Deleuze e Guattari è diventata una delle realtà più importanti della nostra società contemporanea: internet.
Se è vero però che la rete è un’invenzione dell’uomo, è altrettanto vero che la sua natura rizomatica sta modellando l’attività umana. Che si tratti della possibilità di fare shopping online o di attivismo politico, le nostre azioni sono sempre più prive di un unico centro d’origine. Questa decentralizzazione delle dinamiche sociali potrebbe portare a dei benefici inaspettati.

La situazione dei media oggi è di carattere bipolare. Da una parte dello spettro abbiamo il vecchio tessuto di informazione rappresentato dalle principali testate giornalistiche. D’altro canto, invece, assistiamo all’emergere di organi d’informazione indipendenti: in alcuni casi si tratta di vere e proprie entità giornalistiche; in altre sono invece i singoli cittadini a incanalare, interpretare e riproporre informazioni tramite social network, blog e portali online.
Le narrative filtrate dai vecchi organismi d’informazione si stanno pian piano sgretolando. Il diffondersi delle teorie del complotto può venire interpretato come una diretta conseguenza della perdita di autorità da parte della carta stampata e dei telegiornali. Non essendoci più un’autorevole fonte centralizzata dalla quale potere attingere informazioni, l’utente viene invaso da una moltitudine di dati caotici. Come spiega il filosofo Jean Baudrillard, che più di ogni altro è riuscito ad articolare la metamorfosi sociale in atto:

In un tale universo non esiste vera comunicazione, ma una contaminazione di tipo virale; tutto passa in modo immediato dall’una all’altra cosa. La parola promiscuità significa la stessa cosa: tutto è reso immediatamente, senza distanza, senza fascino2.

Necessitando tale promiscuità caotica di una forza ordinatrice, si viene a formare una nuova narrativa antitetica a quella precedente. Per quanto la forma mentis postmoderna ritenga obsoleta la dialettica hegeliana in quanto metanarrativa, ci sembra proprio di stare assistendo allo svolgersi di qualcosa di molto simile.
Ciononostante, altri aspetti della questione rimangono di chiaro stampo postmoderno. Il rischio in seno a una distribuzione acentrica delle informazioni è infatti l’impossibilità di rintracciarne le fonti. Tutto diviene tanto vero quanto falso. Questa implosione del senso venne diagnosticata proprio da Baudrillard: «I due poli differenziali implodono l’uno nell’altro, oppure si riciclano a vicenda – simultaneità delle contraddizioni, che è allo stesso tempo la parodia e la fine di ogni dialettica»3.
Malgrado ciò, sussiste però un aspetto positivo ovvero un marcato atteggiamento di scetticismo nei confronti delle istituzioni ataviche che spinge i cittadini a innovare e proporre nuovi modelli sociali.
Occupy Wall Street ne è un esempio. In principio ignorato dai media, il movimento ha reagito istituendo un proprio organismo di informazione. È stata la natura rizomatica della rete, capace di attingere risorse da ogni parte del pianeta e ridistribuirle, a permettere tale evoluzione. Nuovi spazi sociali autogestiti sono emersi in breve tempo. Spazi sociali, però, non più fisici ma virtuali. Le manifestazioni sono infatti solo l’espressione esterna del fenomeno, il quale ha il suo vero cuore pulsante nello spazio decentralizzato di internet. Siti internet, video livestream, Tumblr, Twitter, Skype: l’organismo giornalistico autonomo di OWS usufruisce di tutti i mezzi di comunicazione che la rete può offrire.

Ma il fenomeno che più di qualsiasi altro incarna la capacità della rete di determinare le dinamiche umane è quello di Anonymous. Emerso per la prima volta nel 2003, il gruppo composto da attivisti digitali, o “hacktivists”, ha in poco tempo catturato l’attenzione del pubblico, prendendo di mira importanti corporations e istituzioni governative. Queste, a loro volta, hanno minacciato più volte Anonymous, intimandogli di cessare le proprie attività di protesta. Nel giugno del 2011, in risposta alle minacce della NATO, gli “hacktivists” hanno dichiarato: «Non fate l’errore di sfidare Anonymous, non fate l’errore di credere di poter decapitare un serpente senza testa. Se tagliate una testa dell’Idra, ne cresceranno altre 10»4.
La metafora mitologica dell’Idra rappresenta perfettamente la natura rizomatica di Anonymous, un movimento privo di un vero e proprio centro coordinativo. Pur essendo sempre pronti a emergere allo scoperto, i componenti del movimento sono in realtà celati dappertutto nel tessuto inestricabile della rete, così come in natura il rizoma è nascosto sottoterra.
Le nostre attività sociali e politiche sembrano quindi sempre più rispecchiare la struttura rizomatica della rete. Siamo noi a fabbricare la tecnologia. Ma allo stesso tempo è essa a modellare noi.
Pur pensando che la tecnologia possa essere non solo effetto ma anche causa, l’idea stessa rischia di lasciarci con un senso di impotenza; e tuttavia non dovremmo consentirlo. Al contrario: proprio la tecnologia potrebbe essere infatti la chiave di una società più equa e libera.
Se guardiamo alla storia, vediamo come ogni forma dittatoriale – sia essa di derivazione fascista o comunista – è stata fino a oggi basata su un modello centralizzato di concentrazione del potere. Deleuze e Guattari caratterizzano invece il pensiero rizomatico come “nomade”, in quanto rifiuta i limiti ideologici imposti dai governi autoritari. Se internet dovesse sopravvivere ai vari tentativi di controllo legislativo da parte delle vecchie istituzioni sociali, potrebbe essere la stessa tecnologia sviluppata dall’uomo a modellare una nuova forma di società rizomatica talmente accentrata da rendere i vecchi paradigmi despotici un’impossibilità pratica.

4 responses to “L’uomo specchio della rete: una questione rizomatica

  1. Bell’articolo, affascinante e allo stesso tempo inquietante. La “rete” si comporta seguendo il paradigma delle “masse” o come un organismo intelligente e razionale? Purtroppo temo la prima, osservando come i post, i tweet e i commenti divengano violenti e estremisti quando accade un evento significativo (come il disastro della Concordia, per fare un esempio). Dobbiamo “temere” ciò che non si conosce, come il nostro istinto primordiale ci suggerisce, oppure credere religiosamente? Come formarsi un proprio parere critico quando non si ha certezza delle notizie e delle loro fonti?

    1. Grazie Michele.

      È vero che esiste anche il fenomeno dei post con contenuti “violenti” ed estremisti, ma è altrettanto vero che grazie alla rete molte persone con degli argomenti validi e intelligenti hanno la possibilità di esprimersi, cosa che prima risultava molto più difficile.
      Temere l’ignoto e credere religiosamente sono entrambe posizioni estremiste (espressioni nevrotiche, se vogliamo) e, a mio parere, poco sane e poco costruttive.
      Una sana via di mezzo, quello scetticismo verso ogni forma d’autorità a cui faccio riferimento nell’articolo – ed è bene sottolineare che essere scettici non vuol dire ritenere tutto falso, ma piuttosto significa valutare le informazioni che ci vengono date – è auspicabile.

  2. Grazie per la risposta, Roberto: semplice ed equilibrata.
    Il problema che rimane da affrontare è quello della veridicità o autorevolezza delle fonti. Quelle che mi sentirei in grado di verificare o smentire sono quelle delle mie dirette sfere di pertinenza, come il quartiere dove abito, il lavoro che svolgo, il mercato e le persone che conosco. Per tutto il resto, che gravita a grande distanza (geograficamente, culturalmente, professionalmente e in relazione alle mie esperienze dirette) potrei semplicemente scegliere di sospendere il giudizio e disinteressarmi (razionalmente sarebbe la cosa più opportuna), oppure di seguire attentamente tutta la serie di notizie-smentite-conferme-precisazioni (dove inevitabilmente finirebbe con il prevalere il pensiero di chi ha più influenza indipendentemente dalla correttezza).
    Ma l’atteggiamento che personalmente preferisco (e che eventualmente posso suggerire di seguire anche a chi si trova di fronte al mio dubbio) è quello di analizzare l’avvenimento come proposto da varie fonti e individuare quelle che sono le affermazioni sulle quali ho l’autorevolezza o la conoscenza del particolare necessari per intervenire e per dare un contributo utile alla conferma o alla smentita. Dopo tanti anni che si utilizza la rete si sviluppa comunque una sorta di “senso” che consente di individuare la bufala in un discreto numero di casi, si intuisce quando una affermazione è a sostegno di un interesse o quando è disinteressata. Come animali adattivi al territorio siamo in grado di sviluppare i sensi necessari alla sopravvivenza, anche informativa, ma come esseri razionali cerchiamo la “regola” da applicare per evitare di ricorrere sempre all’istinto che alle volte può sbagliare o essere ingannato.

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