Uno sguardo critico sulla questione “Via col vento”

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La piattaforma di video in streaming HBO Max ha deciso di rimuovere temporaneamente il celebre film Via col vento. Il film tornerà presto disponibile nel catalogo «con una discussione del suo contesto storico e una denuncia di quelle descrizioni» e senza tagli, né censura. Il numero di polemiche è stato, ed è, esorbitante. Le lamentele denunciano l’ignominia della censura e le testate più faziose parlano di “dittatura della scemenza contemporanea”. Dall’altra parte chi encomia in toto la decisione politicamente e socialmente impegnata dell’azienda. Entrambe le posizioni subiscono alcuni bias i quali andrebbero affrontati in modo critico e non subiti passivamente.

PURPOSE OVER PROFIT
Lo scopo prima del profitto, la missione sociale prima del fatturato. Senza tenere conto del fatto che “anche i repubblicani comprano le scarpe da ginnastica”? Il movimento Black Lives Matter ha un’eco mediatica enorme e si è guadagnato, esplicitamente o implicitamente, le simpatie di moltissimi i quali sono, ovviamente, possibili fruitori. Da ciò ne deriva che appoggiarlo con una scelta aziendale non pone la HBO Max in una posizione controversa, anzi. Fa pubblicità, mette in buona luce una piattaforma relativamente giovane. Nulla di coraggioso o controcorrente, così come non sono né coraggiose né controcorrente le scelte fatte dalle varie multinazionali di strizzare l’occhio – ma non troppo, mai in maniera eccessivamente compromettente – alla comunità LGBT. Nel capitalismo il profitto viene sempre prima dello scopo, qualora i due dovessero ben conciliarsi, tanto meglio.

STORICITÀ DELLA PERCEZIONE E ANESTESIA
Via col vento è storicamente situato in un contesto, quello della guerra di secessione americana, ed è stato prodotto in un momento storico (è uscito nel 1939) nel quale si spera che la concezione e la condizione sociale degli afroamericani fossero diverse rispetto alla situazione attuale. Ciò nonostante già allora vi erano state critiche rispetto all’apparente eccessivo appoggio alla causa sudista. Ma sono queste le intenzioni dell’autore? E se anche fosse, è questo il punto? O queste erano le intenzioni del romanzo dal quale il film è, tra l’altro quasi letteralmente, tratto? L’arte non è sempre propaganda. Perché, allora, nasce la necessità di accompagnare una contestualizzazione critica a questo film e non ad altri in cui è presente lo schiavismo, come nell’antica Roma, finanche ad ogni opera artistica, immagine, in cui viene presentata una qualche forma di sopraffazione, come alcune polemiche beffardamente suggeriscono? Entrano qui in gioco alcuni concetti che appartengono agli studi di cultura visuale, ad esempio ciò che W. J. T. Mitchell definisce la “costruzione sociale del visivo”: l’inevitabile condizionamento sociale che accompagna ogni esperienza d’immagine e la “diplopia” di cui parla Clemént Chéroux, a causa della quale la visione di un’immagine sarebbe sempre accompagnata dall’avvertimento, in filigrana, di almeno un’altra immagine suggerita da un bagaglio esperienziale singolare o collettivo. Questa visione mai neutra, sempre mediata e condizionata sarebbe la risposta affermativa alla domanda sulla necessità di una contestualizzazione storica e di un approccio critico a film come Via col vento, dall’esito socialmente molto triste: la carica traumatica e la necessità di rendere conto di essa sono ancora presenti, perché in America gli afroamericani sono ancora socialmente discriminati. Perché dietro una discriminazione narrata, irreale nel particolare ma riferita a un generale reale della guerra di secessione, si scorgono in filigrana i finanche troppo reali abusi contro l’odierna comunità afroamericana.
Questo nuovo approccio potrebbe contrastare l’accettazione passiva di clichè e pregiudizi etnici veicolati da immagini (che in quanto arte si ritiene possano anche essere fruite in modo disinteressato) che sono state “viste e riviste” con l’effetto di diminuire la carica di sdegno e trauma, anestetizzandoci anche da ciò che non è mondo iconico, dal mondo reale.

Se le scelte di marketing impegnato possano davvero far avanzare la lotta per l’eguaglianza civile è una possibilità piuttosto remota; è comunque sempre cosa buona “non buttare il bambino con l’acqua sporca” ma anche non impiegare energia per questioni marginali che possono far distrarre dalla causa principale, qualora davvero la si voglia sostenere. E allora: «Francamente me ne infischio».

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