L’uomo e l’universo come simulazioni

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I

Dopo l’uscita del film Matrix (1999), in cui viene prospettata la possibilità di simulare esseri umani per mezzo di computer supersofisticati, molti studiosi cominciarono a chiedersi se fosse possibile dimostrare in maniera inequivocabile che noi siamo esseri reali, ossia che non siamo delle simulazioni.
Tra questi autori spicca Nick Bostrom, filosofo dell’Università di Oxford, il quale in un articolo del 20031 affronta in maniera approfondita l’argomento, che da allora viene indicato come “ipotesi della simulazione”.
Bostrom si dichiara convinto che in un futuro non troppo lontano saremo capaci di simulare al computer esseri umani in tutto simili a noi. Questo significa – sempre secondo Bostrom – che in qualche parte dell’universo già adesso potrebbero esistere civiltà molto avanzate tecnologicamente, in grado di dar vita a una simile simulazione. A questo proposito, Bostrom distingue tre possibilità:

  1. Tutte le civiltà simili all’uomo nell’universo si estinguono prima di sviluppare la capacità tecnologica di creare realtà simulate;
  2. Se qualche civiltà raggiunge questa fase di maturità tecnologica, potrebbe non essere interessata a effettuare simulazioni;
  3. Le civiltà avanzate potrebbero raggiungere la capacità di creare simulazioni e decidere di cimentarsi concretamente in una simile impresa. Questo significa che potrebbero esistere molti mondi simulati al computer. Significa pure che l’umanità potrebbe essere una simulazione realizzata da una civiltà molto evoluta.

Bostrom osserva che non sappiamo quale di queste possibilità sia vera, ma che esse sono da ritenere tutte plausibili, e la terza opzione potrebbe essere la più probabile.
Altri studiosi ritengono ampiamente possibile l’ipotesi che gli esseri umani siano simulazioni create da un computer molto perfezionato, così come prospettato da Bostrom. Tra questi, sono da ricordare Pedro Domingos, noto per la sua opera L’algoritmo definitivo,2 Rizwam Virk, che nel 2019 ha pubblicato The Simulation Hypothesis,3 i due astronomi Alan Guth e David Kipping, secondo i quali ci sarebbe circa il 50% delle possibilità che l’ipotesi della simulazione sia vera.

 

II

L’utilizzo di simulazioni al computer per verificare ipotesi teoriche riguardanti fenomeni non riproducibili sperimentalmente è una pratica sempre più diffusa tra gli scienziati.
Una delle prime simulazioni, famosa per le sue ricadute sulla scienza dei fenomeni complessi, è quella allestita agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso da Edward Lorenz, ricercatore del MIT, per indagare sul comportamento di alcuni fenomeni meteorologici. Lorenz notò, con grande sorpresa, che quando arrotondava dei numeri decimali eccessivamente lunghi, cambiava radicalmente il comportamento dei fenomeni simulati. Piccolissimi cambiamenti nelle condizioni iniziali potevano determinare risultati finali molto differenti.
Oggi si simulano collisioni di stelle o galassie, eventi che riguardano il mondo subatomico o la meccanica dei fluidi, ma anche comportamenti economici e sociali…

 

III

Quando si prende in esame l’ipotesi della simulazione, dove gli esseri umani non sarebbero altro che entità virtuali, collocate in un universo altrettanto virtuale, emergono alcune questioni di fondamentale importanza, che possono essere sintetizzate nelle seguenti domande:

  1. Se fossimo simulazioni, potremmo accorgercene?
  2. Possiamo produrre prove a sostegno dell’ipotesi della simulazione?
  3. L’ipotesi della simulazione ha bisogno della coscienza?

 

IV

Rispetto alla prima domanda, sembrerebbe ovvio interrogarsi sulla possibilità che degli esseri simulati al computer si accorgano del loro stato.
Qualcuno potrebbe osservare che una civiltà tecnologicamente più avanzata di noi, grazie alle sue superiori conoscenze, troverebbe sicuramente il modo per impedire che gli esseri simulati possano accorgersi della loro reale condizione. In caso contrario, la simulazione stessa perderebbe qualsiasi valore conoscitivo.
Anche se ciò fosse vero, bisogna dire che tale accorgimento sarebbe del tutto inutile, poiché all’interno di una qualsiasi simulazione, per definizione, non è possibile cogliere alcun elemento posto al di fuori di essa, che permetta di riconoscerla come tale: gli esseri umani sarebbero simulazioni, le loro facoltà cognitive, mediante le quali dovrebbero cogliere la loro condizione, sarebbero simulazioni, gli oggetti e i fenomeni del loro universo sarebbero simulazioni, e così le leggi che li governano. Qualsiasi elemento osservato apparterrebbe inevitabilmente alla simulazione, e sarebbe quindi perfettamente coerente con tutto il resto, presentandosi come l’essenza stessa della realtà.
Questa condizione – a ben guardare – ricorda molto da vicino quella prevista dal teorema d’incompletezza di Kurt Gödel, secondo il quale non si può stabilire la coerenza logica di un sistema formale utilizzando esclusivamente le sue risorse interne. Traslato all’ipotesi della simulazione, detto limite si traduce nell’impossibilità di rilevare al proprio interno eventuali incongruenze e/o errori con i quali smascherare l’inganno. Per farlo, infatti, si dovrebbe necessariamente utilizzare le informazioni e gli algoritmi che sottostanno al suo funzionamento, i quali non potrebbero che confermare la realtà di tutto ciò che si trova all’interno della simulazione.

 

V

Venendo ora alla seconda questione, sembrerebbe perfettamente lecito pretendere che l’ipotesi della simulazione, al pari di tutte le ipotesi che aspirano a un riconoscimento scientifico, venga sostenuta da un qualche tipo di prova empirica o, meglio ancora, si presti a essere messa confronto con fatti che potrebbero confutarla.
Il punto fondamentale è che l’ipotesi della simulazione non è un’ipotesi scientifica, perché non riguarda il comportamento dell’universo o di un suo specifico aspetto. È più propriamente un’ipotesi filosofica che mette in discussione la stessa realtà dell’universo, cioè l’ambito a cui si rivolge la scienza. Essa va pertanto collocata al di fuori dei paradigmi scientifici esistenti e delle relative prescrizioni metodologiche; quindi non ha bisogno di essere provata empiricamente e, anzi, per sua natura, non può essere confermata o smentita da alcun tipo di osservazione compiuta all’interno della simulazione.

 

VI

La domanda se una simulazione di esseri umani che voglia dirsi fedele abbia bisogno della coscienza è la più insidiosa perché presenta molti aspetti a cui è difficile rispondere.
Supponiamo di costruire una simulazione priva di coscienza. Con tutta probabilità, una tale simulazione, se ben programmata, sarebbe capace di agire appropriatamente nella maggior parte delle situazioni, ma lo farebbe senza saperlo, in maniera del tutto automatica e impersonale, seguendo le istruzioni inserite nella memoria del computer in cui è stata realizzata. Essendo priva di coscienza, quella simulazione non avrebbe esperienze di alcun tipo, e neppure la consapevolezza di esistere come ente distinto dal resto del mondo. Perciò non potrebbe porsi domande circa la propria condizione, né darsi risposte in merito. Sicuramente non potrebbe formulare ipotesi, di nessun genere, e quindi neppure quella della simulazione.
Il fatto che noi, esseri umani, siamo in grado di vivere, con coinvolgimento più o meno profondo, una gran varietà di esperienze e di interrogarci sulla nostra esistenza, chiedendoci se siamo reali oppure entità simulate al computer, indica, senza ombra di dubbio, che siamo esseri dotati di coscienza. Quindi, se siamo simulazioni, non possiamo che essere simulazioni coscienti.
Questa conclusione ci pone davanti al problema se i processi di elaborazione dell’informazione governati da algoritmi, tipici di tutti i computer, oltre a riprodurre il comportamento degli esseri umani, siano anche in grado di conferire a questi una coscienza, cioè una capacità di vivere esperienze in prima persona.
A tutt’oggi, nessun sistema basato sull’intelligenza artificiale ha mai mostrato di possedere il sia pur minimo barlume di coscienza. Non solo. Non esiste studioso al mondo che sappia indicare, almeno in linea di principio, come tale risultato potrebbe essere raggiunto.

 

VII

Concludendo questa breve disamina dell’ipotesi della simulazione, mi sento di condividere in pieno l’opinione di Lisa Randall, dell’Università di Harvard, la quale osserva di non capire perché così tanti studiosi ritengono che si tratti di una questione rilevante.
Infatti, se un essere simulato al computer non ha alcuna possibilità di accorgersi della sua condizione e non si può neppure dimostrare empiricamente che gli uomini sono entità reali, l’ipotesi della simulazione è destinata a rimanere confinata nel dominio della pura riflessione filosofica, senza alcuna possibilità di confrontarsi con fatti concreti. Per giunta, non essendoci una risposta chiara al problema della riproducibilità della coscienza da parte della computazione, viene messa in discussione anche una delle condizioni basilari per la sostenibilità di tale ipotesi.
Ma allora perché occuparsene?

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