Sitosophia

G.C. Vanini, “Dialogo su Dio”

Giulio Cesare Vanini
Dialogo su Dio
(a cura di M. Carparelli)
La scuola di Pitagora, Napoli 2017

A cura di Mario Carparelli, insigne studioso (Università del Salento, tra l’altro ha collaborato alla Storia della filosofia di Umberto Eco) che ha dedicato alla figura e all’opera di Giulio Cesare Vanini diversi saggi pubblicati in Italia e all’estero, è uscito un nuovo interessante lavoro, per la casa editrice napoletana “La scuola di Pitagora”. Il volume, apparso in una collana promossa dalla Società di studi politici, scuola di alta formazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici fondato da Gerardo Marotta, è una nuova edizione del celebre Dialogo su Dio di Vanini, il cinquantesimo e più importante dialogo del filosofo della sua opera più importante, il De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis, pubblicata a Parigi nel 1616 ed inserita nell’Indice dei libri proibiti già nel 1620.

Prima di parlare del Dialogo su Dio, sarà opportuno soffermarsi brevemente sulla figura di Giulio Cesare Vanini bruciato a Tolosa nel 1619 da uno dei tanti tribunali inquisitoriali. Definito “l’aquila degli atei” e immolato propriamente per il suo ateismo, Vanini nasce a Taurisano, Salento, nel 1585 e, usualmente, lo si suole ascrivere tra i pensatori di quella originale corrente di pensiero diffusasi in Europa tra il XVI e il XVII secolo e che va sotto il nome di libertinismo. Il termine libertino ha una etimologia latina che richiama la condizione di chi si è affrancato ed è divenuto libero. Quella di Vanini è esattamente una filosofia della libertà, della libera ricerca e un inno al razionalismo; egli può essere considerato un vero e proprio illuminista ante litteram. Un uomo di grande tempra e carattere. Finanche il pubblico ministero che pronunciò la dura requisitoria a Tolosa contro il filosofo, ebbe a scrivere: «Un insigne ateo, filosofo e medico, figlio di Napoli, il quale è stato, su mio rapporto, condannato dalle due camere unite ad essere bruciato. Egli è morto come ateo perseverante, in assoluto il più bello e il più maligno spirito che io abbia mai conosciuto». Prima di essere bruciato, previa taglio della lingua, Vanini prelevato dal carcere non mancherà di stupire ancora i suoi aguzzini dichiarando: «Andiamo a morire allegramente da filosofi».

Sarà bene ricordare, come ha fatto efficacemente in un saggio lo stesso Carparelli, che Giulio Cesare Vanini è presente fin dal 1937 nell’Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere e Arti. La breve voce a lui dedicata si trova nel volume XXXIV (pp. 974-975) ed è firmata da Delio Cantimori, all’epoca libero docente di Storia della filosofia e Storia del cristianesimo presso la “Regia Università di Roma”. Le parole che aprono («va annoverato più fra gli avventurieri della cultura e del mondo dotto e fra i diffusori e gli agitatori di idee che tra i filosofi e i pensatori originali») e chiudono («la nessuna originalità del Vanini è stata definitivamente dimostrata da Luigi Corvaglia») la voce la dicono lunga su ciò che il filosofo salentino ha rappresentato, per larga parte del Novecento, agli occhi della cultura istituzionalizzata; nient’altro che l’autore di «un plagio gigantesco», come sentenziò appunto il suo conterraneo Luigi Corvaglia a conclusione di un imponente lavoro su Le opere di Giulio Cesare Vanini e le loro fonti, apparso tra il 1933 e il 1934, cioè proprio negli anni in cui si lavorava alla voce su Vanini. Una damnatio memoriae destinata però a sfaldarsi perché negli ultimi decenni gli studi su Vanini si sono incrementati oltremodo e delle sue uniche due opere pervenuteci, l’Amphitheatrum aeternae providentiae e la citata De admirandis naturae arcanis è stata approntata sia l’edizione critica sia la traduzione italiana, mentre gli studi vaniniani all’estero (in Europa come in America) registrano un sempre maggiore interesse. Una splendida pagina di questa rinascita l’ha scritta proprio l’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, aggiornando e, di fatto, rovesciando il poco lusinghiero giudizio espresso, sulla base degli studi dell’epoca, poco meno di ottant’anni or sono, presentando il filosofo salentino come un vero innovatore, un alfiere dell’emancipazione e della modernità, che delinea il suo pensiero sulla autonomia della ragione a una parte e sull’autonomia della natura dall’altra (si veda http://www.treccani.it/enciclopedia/giulio-cesare-vanini).

Il Dialogo su Dio, come scrive Carparelli nella sua introduzione, racchiude in un certo senso la summa del pensiero vaniniano e si affida a un artifizio letterario fatto di giochi di rimando, di sentito dire, di riporto di pensieri altrui, sedicenti personaggi come l’ateo di Amsterdam o l’ebreo di Venezia. persino di opere inesistenti, che avrebbero la pretesa di confutare il retto pensiero ma che in realtà sono i pensieri dell’autore che piano piano demolisce le insincere professioni di fede millantate. Un gioco delle parti ironico e graffiante perpetrato dai due protagonisti, Giulio Cesare e Alessandro, ovvero omonimi dello stesso Vanini e di suo fratello minore. La forma dialogica è concepita proprio per aggirare la censura. A nudo, in un crescendo dialettico dotto ed astuto, vengono messi credenze e verità rivelate. La Bibbia è messa alla berlina: gli avvenimenti del Vecchio e del Nuovo Testamento reintrepretati: Mosè è considerato un impostore che ha ingannato il suo popolo per arricchirsi e Gesù Cristo non aveva nulla di divino ed era un astuto politico. Quanto all’avvento dell’Anticristo di cui parla san Paolo, Vanini ricorda che se ne parla da almeno 1600 anni: il suo continuo annuncio ha il solo scopo di perpetuare la religione cristiana. L’antropocentrismo del mondo è fatto a pezzi. Dice Giulio Cesare: «I filosofi negano che Dio sia il fine dell’uomo. Non è, essi dicono, Dio in funzione dell’uomo, perché in tal caso l’uomo sarebbe più nobile di Dio». E ancora: «Io non affermo, come fanno gli epicurei, che l’uomo è stato generato per caso, ma, giusto il parere dei Teologi, affermo che è stato creato da Dio per elargirgli eterni piaceri». Gli fa eco, sornione, Alessandro: «Però l’uomo è pieno di tante e così grandi miserie che se non ripugnasse alla religione cristiana, per la cui difesa verserei volentieri il sangue, oserei dire così: se esistono i demoni, essi, trasmigrando nei corpi degli uomini, pagano le pene del loro delitto». L’imperfezione e la finitudine del mondo è poi l’occasione per attaccare il Creatore di cui esso è l’emanazione, mettendone in dubbio le qualità. Quanto ai miracoli, così numerosi nella religione pagana (in realtà Vanini sta ancora una volta parlando della religione cristiana), per essi non c’è altra spiegazione che le cause naturali.

Il volume è arricchito da un’appendice iconografica sui volti di Vanini a cura del bibliofilo e collezionista Dario Acquaviva. La traduzione italiana del dialogo, tratta dall’edizione Bompiani delle opere di Vanini, è di Francesco Paolo Raimondi.

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