“La battaglia delle ciliegie” di Günther Anders

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Segnaliamo l’uscita, per i tipi Donzelli, di un volumetto autobiografico di Günther Anders, che narra dell’amore con la sua prima moglie, Hannah Arendt. Leggiamo nel sito:

«Ho conquistato Hannah a un ballo grazie a un’osservazione fatta danzando in cui affermavo che l’amore è quell’atto attraverso il quale l’a posteriori, ovvero l’altro incontrato casualmente, viene trasformato in un a priori della propria vita. Questa bella formula non ha però trovato conferma».

Ogni tanto nella storia si combinano strane costellazioni di eventi e incontri. A guardare indietro, con gli occhi smaliziati di chi sa com’è andata a finire, sembrano quasi impossibili. Così nel 1925, in quella Germania che è ancora il cuore della cultura europea, ma sta rapidamente correndo verso il baratro della catastrofe nazista, Günther Anders, fresco della sua dissertazione con Edmund Husserl, e la giovane studentessa di filosofia Hannah Arendt si conoscono a Marburgo, dove seguono entrambi il seminario di Martin Heidegger sulla Critica della ragion pura. Si incontrano di nuovo solo nel 1929, questa volta a Berlino, in occasione di un ballo in maschera. Si sposeranno subito dopo, precipitosamente, per separarsi poi già nel 1937. Lei avrebbe in seguito ricordato il matrimonio con Günther come la fuga dal grande e impossibile amore della sua giovinezza, quello per Martin Heidegger. Per Günther, invece, Hannah sarebbe sempre rimasta il primo, forse l’unico vero amore di tutta una vita. Nel Natale del 1975, all’indomani della morte di Hannah, Günther riprende in mano gli appunti degli anni berlinesi trascorsi con lei; è soltanto tra il 1984 e il 1985 che prende la sua forma definitiva questo testo. Scritto sull’onda del dolore per una perdita che la lunga separazione non ha reso meno amara, e rimasto da allora nel segreto delle carte andersiane, questo piccolo, unico gioiello è qui pubblicato per la prima volta in edizione italiana, pressoché in contemporanea con l’uscita tedesca. Come scrive lo stesso Anders, dopo tanto tempo è difficile tracciare una linea di demarcazione tra «poesia e realtà»; è difficile stabilire «quanto ci sia di Hannah, quanto di me, quanto di allora, quanto di oggi». Così Günther riporta il pensiero a una delle sue modalità di espressione originarie, quella del dialogo, nel tentativo di evocare, «se non lo stile di pensiero e di linguaggio, almeno i gesti» di Hannah. Il tema è quello che intreccerà negli anni, pur con esiti divergenti, i percorsi dei due grandi filosofi: l’uomo, nella sua inalienabile individualità, ma anche nella sua imprescindibile relazione con il mondo e con gli altri. Un io e un tu. Lo scenario è il balconcino della loro minuscola abitazione. Günther e Hannah sono seduti uno di fronte all’altra. Al centro, un enorme cesto di ciliegie. La battaglia può cominciare.

S’era ancora all’alba del nazismo. La Arendt amò Heidegger, poi invischiato (è controverso fino a che punto) nei fattaci del regime. L’ebreo Anders amò l’ebrea Arendt. Ma questa preferì sempre il tedesco. L’ottimismo del totalitarismo da un parte e dall’altra il pessimismo che la Arendt mal sopportava di un pensiero straordinario, in parte ancora da scoprire, almeno qui in Italia.

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