25. «Sex»

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RADIOLAB – Il dormiglione
Stagione invernale. Puntata 25 – 13 maggio 2013

La venticinquesima puntata della stagione invernale. In studio: Tony Falbo, in compagnia dei «Fastidiatori».

Continua la “piccola saga” sulle dipendenze, che non può che concludersi con la dipendenza peggiore: il sesso. Cominciamo col noto aforisma di Borges: «La copula e gli specchi sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini».
Subito attingiamo da Manlio Sgalambro e dalla sua nota finale de La conoscenza del peggio (cfr. pagg. 158 e 164). Partendo da Eckhart: «Uno con l’Uno, Uno dall’Uno, Uno nell’Uno e, nell’Uno, eternamente Uno», Sgalambro: «qui si palesa la sostanza di tutto l’affaire e v’è il segreto del commercium che traffica affinché ‘due’, come si dice in gergo, siano ‘uno’. Questa ‘unità’ è la diuturna distruzione delle reciproche identità, del proprio essere individuale e di quello altrui, e quanto più essa stringe tanto più per prima cosa stritola i cosiddetti ‘amanti’. Ciò che essi chiamano “fondersi in un unico essere” spaccia come del tutto innocuo – e invece non lo è – quello che vi sta sotto. È il macello dell’individualità del proprio Sé, che non si immola solamente all’amato ma implicitamente anche a quella bêtise, alla stupidità originaria. Lo stesso piacere che ognuno ricava dall’altro nel coito è il mezzo mediante cui il Noûs persegue ottusamente il suo scopo. Ma ciò che sotto sotto si agita stavolta si smaschera. Ben presto appare. La sua epifania si stampa sui volti che perdono la loro identità nel grido sommesso dello spasimo o nell’urlo che rivela nei protagonisti le vittime designate. Nei gradi del piacere v’è il brivido del proprio Sé che va lieto al macello».
«L’ascesi ha bisogno del sesso, del cazzo», scrive Pasolini (Trasumanar). E da lui alla Saga di Gilgameš (tav. I, vv. 181-184):

Enkidu era diverso, una volta che il suo corpo era stato purificato:
le sue gambe, che tenevano il passo delle bestie, erano diventate rigide;
Enkidu non aveva più forze, non poteva più correre come prima;
egli però aveva ottenuto l’intelligenza; il suo sapere era divenuto vasto.

Seguono altre fonti: il Dizionario del Lessico Erotico; Carmelo Bene che scrive della «copula come surrogato della masturbazione» (Autografia d’un ritratto, in Opere, p. xxiv); Marziano Capella che riconduce il ‘sesso’ al ‘sex’ (il numero 6). Attributo di Venere, dice il Marziano, è il ‘sex’ perché ex utriusque sexus commixtione conficitur, id est ex triade, qui mas, quod impar est numerus, habetur; et dyade, quae femina paritate; nam bis terni sexis facit.
Questione dell’«uomo finito»: egli «non si fa da parte, né lascia spazio ai figli. Per Parmenide “la sfera della generazione è estranea alla sfera dell’essere”, ciò significa che si sta dalla parte dell’essere proprio quando non si vuol generare, ― ecco il vero “principio responsabilità”. Quest’uomo finito non si “adatta” (non può evolvere): si adotta da sé, risorge in effigie. L’unica virtù a disposizione è passare dall’atto del concepimento al concepimento pensato, all’atto del concetto. Il migliore anticoncezionale è questa cultura della pace tra soggetto e oggetto (da Carmelo Bene detta «porno») dove non c’è tempo di scontrarsi ma soltanto spazio per incontrarsi. […] L’incontro perfetto è quello in cui non ci si vede, tocca e sente ― mai. La pace riposa nella distanza (il segreto è la segregazione stessa)» (tratto da Quel che viene a mancare, VME 2012).
La citazione finale spetta a Kierkegaard, da La ripetizione.

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