Antonio Vallisneri

Olschki, 2007
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Leggere questo testo è immergersi piacevolmente e proficuamente non solo nella vita di Antonio Vallisneri (1661-1730), ma anche nel più ampio ed affascinante contesto culturale in cui egli visse ed operò. Difatti, dalla narrazione che si occupa principalmente e programmaticamente degli anni della formazione e delle prime ricerche di Vallisneri, si diramano sconfinamenti negli anni successivi alla chiamata alla cattedra universitaria patavina, nella delucidazione della personalità scientifica di collaboratori, maestri, corrispondenti che tanta parte hanno avuto nella formazione e nel confronto teorico e pratico di Vallisneri, fin nella complessità della cultura scientifica italiana ed europea a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Tutte queste digressioni e diramazioni, tuttavia, non scalfiscono ma anzi chiariscono e contornano magnificamente quello che resta l’asse portante del testo, ossia la descrizione della straordinaria statura culturale e scientifica di Antonio Vallisneri. La narrazione, nondimeno, non è semplicemente un esempio di narrativa biografica, ma si presenta come un’opera di storia della scienza in cui sono riportati eventi essenziali, mai aneddotici, in accordo con quanto lo stesso Dario Generali dice nell’introduzione in quanto il fine di questo studio è quello di «comprendere genesi, caratteristiche e sviluppi del suo [di Vallisneri] pensiero, collocandolo nel contesto culturale e sociale nel quale ebbe luogo e con il quale interagì» (D. Generali, Antonio Vallisneri. Gli anni della formazione e le prime ricerche, Olschki, Firenze 2007, pag. X).

Antonio Vallisneri fu medico pratico e teorico, entomologo, etologo; ebbe interessi di botanica, di filosofia ed allestì un museo molto noto all’epoca, se è vero che la Prima Dama di Milano, Clelia Grillo Borromeo, se ne incuriosì (cfr. pag. 369) e che nel 1724 la sua raccolta poteva ormai considerarsi «più ricca e più qualificata di quello dell’Istituto delle Scienze [di Bologna]» (pag. 359).

Ad ogni modo, le notizie più strettamente biografiche Generali le fornisce nei primi due capitoli; più precisamente nel primo abbiamo notizia dei primi studi di Vallisneri, dell’eredità testamentaria e dell’influenza dello zio Giuseppe Vallisneri, anch’egli medico e che gli lasciò una cospicua somma, da destinarsi agli studi ma solo sotto determinate condizioni (alcune delle quali saranno ripetutamente lamentate da Antonio, cfr. pagg. 8-23), e poi degli studi universitari a Bologna dove sarà allievo e seguace di Malpighi (collaboratore della Royal Society, sostenitore del metodo sperimentale baconiano e medico novatore) e costante uditore di Sbaraglia (sostenitore, invece, della medicina empirica e convinto dell’inutilità dell’anatomia per la pratica medica). Vallisneri ebbe così modo di conoscere a fondo anche le tesi contrarie al suo approccio teorico e razionalistico, per cui l’anatomia (anche quella comparata) era fondamentale per comprendere il funzionamento del corpo e le cause della malattia e per cui la cornice teorica e la prassi debbono andare di pari passo.

A conferma dell’influenza di Malpighi, basti notare come sia un profondo convincimento di Antonio quello di usare il meno possibile i farmaci (esclusi la china china ed il mercurio) ed il sottolineare, fin dal 1715, che «il creder troppo all’arte medica era da buon cristianelli, ma il credervi nulla era da stolto» (pag. 145).

Dopo la laurea, ottenuta a Reggio Emilia a seguito di un decreto che vietava di laurearsi fuori dai confini dello stato, svolse un periodo di tirocino a Venezia e a Parma e quindi si diede alla professione di medico, scontrandosi con la grettezza e l’indivia dei medici paesani. Di questo dà notizia il secondo capitolo, narrandoci come l’interesse medico in questi anni cominci a cedere il posto al crescente gusto per le osservazione e le descrizioni degli insetti. Tuttavia, e fino alla morte, Vallisneri non venne mai meno al suo dovere di medico, pur lamentandosi sempre del tempo che la cura dei pazienti sottraeva al suo studio. Ed a questo proposito è curioso ed interessante rilevare come la sua diligentissima attività di studio non conobbe che due sole flessioni. Di una abbiamo già riferito, ossia la deontologia medica; l’altro «unico momento di disinteresse per gli studi di tutta la sua operosissima esistenza [fu] determinato dal prevalere dell’attenzione per i preparativi del matrimonio e della passione per la fidanzata» (pag. 79). Del resto, Antonio trasse giovamento dal matrimonio, sia perché così poteva ottemperare ad una clausola testamentaria dello zio Giuseppe (ossia di continuare la discendenza maschile), sia perché in Laura Mattacodi trovò una moglie che, occupandosi di tutte le faccende di casa, gli permise di dedicarsi mente e corpo allo studio; basti considerare che fu solo dopo il matrimonio, avvenuto il 27 aprile 1692, che «prese avvio la sua intensissima stagione sperimentale in ambito entomologico» (pag. 79).

Così, nonostante l’esperienza di medico senza incarico pubblico a Scandiano e di medico condotto a Luzzara e poi a Castelnuovo di sotto e fino alla chiamata all’università di Padova dove tenne la prima lezione il 17 dicembre del 1700, fu nel periodo che va dal 1694 al 1701 che presero in gran parte forma i Quaderni di osservazioni e i Giornali sopra gli insetti.

Ed appunto all’analisi di queste due opere è dedicato il terzo capitolo. Si tratta di due opere mai pubblicate dall’autore, il quale le scrisse come memorie, annotazioni personali e utili strumenti di consultazione per sé e per qualche discendente che avesse avuto le stesse passioni naturalistiche. In queste due opere, che pur si differenziano per il fatto che «i Quaderni hanno la struttura di raccolta di osservazioni, di estratti di autori, libri e articoli e di annotazioni diverse finalizzate a fornire i materiali per la composizione di altre opere» (pag. 191) ed invece «i Giornali si presentano come un’opera impostata, da riorganizzare, perfezionare e integrare in molti punti» (pag. 191), lo stesso è l’intento scientifico dell’autore, l’impianto teorico e la sottile motivazione di fondo, ossia compiere una ricerca al fine di adempiere all’ideale baconiano della completezza della descrizione della natura, confutare la tesi della generazione spontanea e, più in generale, fare «progredire in modo rilevante tale settore scientifico, avendo falsificato molti errori e illustrato numerosi fenomeni fino ad allora sconosciuti» (pag. 189).

Come non notare la meraviglia di fronte a certe osservazioni e la passione scientifica che addirittura lo porta a pratiche che tanti suoi colleghi rigettavano, ad esempio, l’assaggiare il contenuto dell’intestino di un topo acquatico (cfr. pag. 223)?

La grandezza etologica di Vallisneri sta anche nel non cedere al meccanicismo cartesiano, notando invece come gli insetti paiono procedere ed operare secondo una certa progettualità ed avvedutezza. Inoltre, lo studioso nega fermamente la differenza qualitativa tra l’essere umano e gli altri esseri viventi, differenza che viene irrimediabilmente intaccata nell’osservazione, per esempio, di una “simia”, cioè di una scimmia (cfr. pagg. 229-230).

L’estrema onestà intellettuale che lo ha sempre contraddistinto è mostrata anche dal rapporto critico con le fonti e coi propri maestri. Il metodo sperimentale di cui fu sostenitore ed applicatore gli consentiva di smentire e correggere errori, equivoci, superstizioni che denunciava candidamente e diplomaticamente; a questo riguardo basti su tutti l’esempio del rapporto col suo maestro Malpighi, che pur definito “onorato, famoso, immortale”, viene sottoposto «al vaglio dell’esperienza, evidenziandone l’erroneità nei casi in cui ne rileva la discordanza» (pag. 204).

In linea con le sue convinzioni è anche la posizione antimiracolistica assunta in certi casi o, più in generale, contro la superstizione, anche se vi sono pure dei rari casi che fanno eccezione e che ci danno anche la dimensione storica del personaggio, ad esempio quello in cui come rimedio ad un fatto che non sa distinguere se sia naturale o diabolico, prescrive un distillato di gatto nero senza peli bianchi (cfr. pagg. 215-216).

A rendere esaustivo e godibile questo libro, vi sono anche due interessanti capitoli, il quinto ed il settimo, che trattano il primo della collaborazione e corrispondenza di Vallisneri con Francesco Mattacodi, medico e naturalista, e Diacinto Cestoni, speziale del quale Generali ci dà un’ampia delucidazione concludendo che fu uno «scienziato e sperimentatore instancabile e abilissimo» (pag. 350), e l’altro delle strategie e dei percorsi editoriali di cui Vallisneri si servì per diffondere la propria opera, tramite l’invio di propri scritti a personalità culturalmente affermate, la pubblicazione di scritti anonimi o firmati da propri studenti che difendevano le sue posizioni e, infine, cosa molto rilevante, i contributi e la collaborazione con i periodici eruditi; tali operazioni, secondo Generali, presero la forma di «un vero e proprio disegno di egemonia scientifica sulla cultura italiana e, in particolare, settentrionale, del tempo» (pag. 383).

Ma i due capitoli più interessanti e che, a mio avviso, più danno il segno della figura di Vallisneri sono il quarto ed il sesto, ossia quelli che trattano dell’uso del microscopio e del collezionismo scientifico.

L’uso del microscopio ci dà il segno dell’apertura mentale e della curiosità scientifica di Vallisneri. Egli ne venne a contatto sin dai suoi studi bolognesi. Anche per questo furono essenziali la guida di Malpighi (che ne faceva ampio uso) e le lezioni di Sbaraglia che gli fecero comprendere a fondo le critiche che si formulavano riguardo all’utilizzo dei microscopi. Negli anni delle prime ricerche, che come abbiamo visto fruttarono i Quaderni ed i Giornali, Vallisneri possedette un microscopio di qualità inferiore a quello utilizzato all’università; tuttavia «non sembra che in questo periodo Antonio abbia destinato le stesse energie economiche ed intellettuali investite per l’accrescimento della sua già ricchissima biblioteca allo sforzo di procurarsi strumenti migliori, limitandosi a cercare di ottenerli in prestito» (pag. 275).

Vallisneri si documentò sulle tecniche di costruzioni microscopiche; ciò che gli stava a cuore era ottenere «una visione non eccessivamente turbata da aberrazioni cromatiche e sferiche» (pag. 290). A tal proposito sappiamo che conobbe l’opera del padre gesuita Filippo Buonanni, Micrographia curiosa, dove l’autore proponeva miglioramenti tecnici riguardo la preparazione dei reperti da esaminare soprattutto riguardo l’illuminazione e spiegava, anche tramite illustrazioni, come costruire un microscopio del genere.

Dunque, oltre che per l’osservazione degli insetti, il microscopio interessa a Vallisneri soprattutto per confutare la teoria della generazione spontanea. Difatti, spese notevoli energie per cercare di osservare le ovaie dei vermi intestinali e confermare l’esistenza dei cosiddetti “vermicelli spermatici”, ossia degli spermatozoi.

Per quanto riguarda le ovaie, notiamo come lo studioso riesca a superare l’iniziale ripugnanza ad osservare questa materia definita “fetente” e “sordida”, tanto che dice di non aver avuto stomaco di “trescarvi” troppo all’interno, ma poi, spinto dall’amore del vero aveva vinto l’orrore (cfr. pag. 285). E così scoprì che anche le ovaie dei vermi dell’uomo, come quelle precedentemente osservate dei vermi dei vitelli, sono piene zeppe d’uova, dando così un contributo alla confutazione della generazione spontanea.

Parimenti affascinante è il tentativo (dapprima annunciato, con la consueta onestà, decisamente fallito) di osservare i vermicelli spermatici. Dopo dieci anni di osservazioni (dal 1698 in poi) non aveva ancora avvistato nulla ed era propenso ad attribuire la presunta osservazione di Leeuwenhoek (che li aveva scoperti e resi noti in tutta Europa) ad un semplice «inganno ottico delle lenti degli strumenti» (pag. 289). Ancora nel 1713 ammetteva, onestamente ma forse non considerando risolta la questione, di non essere riuscito ad osservarli. Tuttavia venne a conoscenza del fatto che anche un inglese li aveva osservati; quindi si adoprò per conoscere quell’inglese a Venezia e per farsi mostrare le sue lenti. Pare, insomma, che nonostante fosse convinto teoricamente dell’esistenza degli spermatozoi, «in sintonia con le sue abitudini sperimentali, non poteva però adattarsi ad accettare per la scoperta di Leeuwenhoek senza accertarsi con una serie di osservazioni personali» (pagg. 291-292). Così, soggiornando a Venezia tra il 2 e il 15 febbraio 1713 (nel periodo di carnevale), finalmente l’11 riuscì a vedere chiaramente gli spermatozoi, anche se non gli attribuì eccessiva importanza nel processo di fecondazione, ritenendoli «semplici ospiti dei canali spermatici, con una funzione complementare e non essenziale» (pag. 295).

Una questione che ci fa comprendere l’ideale scientifico e l’influenza dapprima baconiana e poi più marcatamente leibniziana riguarda il collezionismo scientifico. Come abbiamo accennato, Vallisneri si dotò di un museo di tutto rispetto, molto noto all’epoca; il primo nucleo di questa collezione è da rintracciarsi nei reperti soprattutto entomologici che raccolse ed ordinò in vista delle osservazioni dei Quaderni e dei Giornali.

La collaborazione ed i rapporti di scambio più proficui furono soprattutto con Luigi Ferdinando Marsili che «considerava un maestro negli ambiti geologici e mineralogici» (pag. 351). Vallisneri ne mutuò le idee museografiche (anche se in parte già le aveva in mente) secondo cui il museo deve essere strutturato in maniera tale da riproporre la progressione naturale degli esseri e ricondurre ad una certa unitarietà la frammentata e dispersiva multiformità della natura; doveva essere, insomma, una sorta di enciclopedia del sapere, che poco o niente concedeva al criterio estetico, ma si ordinava in base «all’ordine della natura» (pag. 355) ed al progredire ed allo svolgersi delle teorie scientifiche.

Grandi energie furono spese anche in questo da Vallisneri, che appena poteva acquistava parti di altri musei oppure chiedeva o entrava in rapporti di scambio con altri collezionisti in molti casi sin dalla prima missiva che inviava. Anche in tale caso, Vallisneri mostrò la sua profonda umanità e l’onestà di una vita dedicata interamente allo studio, favorendo «studiosi, amici, ed allievi impegnati nell’impostazione e nell’ampliamento delle proprie raccolte naturalistiche» (pag. 372); un aiuto che andava dalla chiarificazione, al suggerimento, dalla spiegazione al dono di alcuni reperti.

In definitiva, per Vallisneri il museo non era altro che una chiave di lettura del mondo, un tentativo di riprodurne ordinatamente la grande catena degli esseri, una sorta di riproposizione dello sperimentalismo applicato alla magnifica varietà della natura (cfr. pag. 382).

A conclusione, alcune note tecniche. Il volume di Generali presenta un ampio apparato di note (ben milleottocentodieci) la gran parte delle quali riguardano citazioni vallisneriane, tanto che il libro costituisce anche quasi una sorta di breviario piacevole ed utilissimo per accostarsi alla vita ed allo studio di Vallisneri. Completano il testo più di trenta pagine di bibliografia, la quale riguarda non solo le opere di Antonio Vallisneri e gli studi su di lui, ma anche i testi che più lo hanno influenzato e quelli dei suoi maestri e dei suoi collaborati.

Infine, le sette tavole a colori e le interessanti quarantuno illustrazioni; di queste ultime le più belle e godibili sono la numero quindici (pag. 225) dov’è riportato un disegno a mano della zanzara Sangallo, e la numero ventitre (pag. 283) che illustra particolari della mosca dei rosai visti al microscopio. Entrambi i disegni sono stati realizzati dall’infaticabile Antonio Vallisneri.

Dario Generali, che è il Coordinatore scientifico dell’Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri (www.vallisneri.it), è riuscito, insomma, a condurci tramite la vita e l’opera di uno scienziato in un affascinante mondo ricco di fermenti culturali dovuti alla profonda integrazione e collaborazione tra scienza, tecnica e filosofia.

2 responses to “Antonio Vallisneri

  1. Caro Cateno,
    una recensione di largo interesse, pronta a rivelare la passione che spesso viene negata ad arti antiche quali lo studio al microscopio, la zoologia, l’esperimento vero e proprio, la medicina in generale. Infatti in questa tua recensione si colgono ad un tempo la passione di Vallisneri e la cura di Generali.
    E la tua.

  2. E' disponibile presso la casa editrice Scienze e Lettere il volume:

    Epistolario ad Antonio Vallisneri, con introduzione ed a cura di Silvestro Baglioni, Reale Accademia d’Italia, Roma 1940-1941, in due tomi rilegati in tela rossa Euro 50,00

    Per contatti:

    info@scienzeelettere.com

    tel 06/4817656

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