Scegliere nel tempo di Facebook

Carocci, Roma 2011
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Scegliere nel tempo di Twitter di parlare d’un testo che ha come titolo Scegliere nel tempo di Facebook è senza dubbio una scelta coraggiosa – ammesso che di scelta si possa parlare nel caso in cui a un volenteroso volontario venga l’uzzolo di leggere e recensire, a scatola chiusa, un libro gentilmente arrivato in redazione. Ma si sa: un bibliofilo, di fronte all’ennesimo libro, non si tira mai indietro1. Peraltro il titolo è promettente e le aspettative alte, a patto di mettere almeno temporaneamente da parte qualsiasi dubbio sulla possibilità del libero arbitrio – problema da filosofi, non certo da sociologi né da economisti.
Tesi dell’opera è che «la rivoluzione di Internet sia destinata a cambiare nel profondo i modi con cui formiamo le nostre preferenze nel tempo delle reti sociali» (p. 11). Una tesi forte – si parla di mutamenti profondi dovuti a Facebook – che avrà bisogno di una solida argomentazione: gli “apocalittici” d’ogni epoca hanno sempre sollevato clamori d’ogni sorta contro la tecnologia coeva; frattanto l’uomo non sembra mutare preferenze con la stessa rapidità – cambiano le mode, non i modi.
Il primo capitolo del libro, “La scelta come questione di preferenze”, si occupa essenzialmente di confutare il paradigma della scelta razionale, sul quale si è basato il modello economico standard – un po’ ciò che ha fatto, in modo più leggero, Matteo Motterlini col suo Economia emotiva. La scelta di rado è il frutto di un percorso decisionale perfettamente razionale, scevro da influenze emotive e/o sociali; pertanto dev’essere reinterpretata «non più in un’ottica di razionalità, ma in un’ottica di costruzione sociale delle preferenze» (p. 16). Nel secondo capitolo la scelta viene caratterizzata meglio come “costruzione sociale” e viene collegata al concetto d’identità e di narrazione di sé stessi: «la cultura forgia le nostre rappresentazioni producendo, di conseguenza, un certo tipo di narrazioni degli accadimenti; ci rimanda dei messaggi su ciò che è giusto, su ciò che è desiderabile, su ciò che è normale e accettabile e su ciò che non lo è» (p. 63). Gli individui, individuati sulla base della costruzione continua e flessibile della propria identità, vengono presentati come agenti al contempo conformisti e anticonformisti; l’identità si forma sul filo del rasoio che separa ciò che fa la massa indistintamente e ciò che permette di distinguersi in mezzo alla massa (cfr. p. 69). L’agente è un attore: «plasmiamo noi stessi e i nostri desideri in conformità con l’immagine che desideriamo trasmettere» (p. 73). Le preferenze pertanto sono meno personali di quanto siamo disposti ad ammettere; per gli autori sono un vero e proprio affare sociale.
Alla fine del terzo capitolo, quando siamo ormai quasi a metà libro (p. 106), viene nominato per la prima volta Facebook. A questo punto le prime cento pagine del volume appaiono come un’ottima introduzione alla psicologia della scelta – aggiornate alla luce dei più recenti studi di economia comportamentale – a uso e consumo di studenti universitari, probabilmente i principali destinatari dell’opera. Dal quarto capitolo comincia la parte più direttamente legata al mondo dei social network. E sinceramente, benché non tratti esattamente del problema della scelta nell’epoca (quanto ancora lunga?) di Facebook, è proprio il quarto capitolo quello che, indirettamente, pare analizzare meglio come la diffusione dei social network stia davvero cambiando le nostre vite. Gli autori fanno propria la tesi esposta da Nicholas Carr in Internet ci rende stupidi?: «in nome dell’ampiezza dell’informazione, stiamo distruggendo noi stessi e la nostra capacità di pensare» (p. 107). Pare oramai assodato che l’overload informativo e il multitasking applicato al cervello umano facciano inesorabilmente decadere le nostre capacità di attenzione e di profondità di pensiero: lo può sperimentare ognuno di noi – anche tu, o lettore che consulti al contempo una ventina di pagine e scorri codesta recensione frettolosamente, tentando d’appigliarti a qualche grassetto o una parola chiave. «La capacità di “dare un’occhiata” diventa il nostro modo dominante di leggere» (p. 110); la nostra attitudine, finché stiamo davanti allo schermo di un computer, diventa quella di dividerci tra più attività, procrastinando letture più impegnative o frammentandole in più sessioni (cfr. pp. 110-111). La serialità e la serietà di lettura che il libro ci imponeva, nei testi che scorrono sullo schermo è definitivamente perduta. Era inevitabile? Sicuramente il fenomeno si è accentuato da quando Internet Explorer 6 con modem 56k (l’accoppiata con cui molti di noi si sono affacciati al mondo della rete) è ormai un lontano ricordo: nuovi browser che permettono di aprire decine di schede e connessioni internet sempre più veloci hanno, di fatto, reso internet sempre più simile alla televisione. La rete che ci appariva un oceano da navigare ora sembra rivelarsi uno stagno in cui galleggiare, magari annaspandovi in giornate particolarmente insipide o in nottate in cui la mente è troppo stanca per dedicarsi a letture cartacee. E a proposito tanto di stagno che di vere letture, a p. 138 del testo (ri)leggo una citazione di Proust che voglio riportare (integrandola di due virgole che sono andate misteriosamente perdute, come il tempo):

Il tetto di tegole creava nello stagno, che il sole aveva reso di nuovo specchiante, una marezzatura rosa alla quale, prima, non avevo mai fatto attenzione. E vedendo che sull’acqua e sulla superficie del muro un pallido sorriso rispondeva al sorriso del cielo, gridai in preda all’entusiasmo, brandendo il mio parapioggia arrotolato: “Accipicchia, accipicchia!”. Ma immediatamente sentii che sarebbe stato mio dovere non accontentarmi di quell’opaca esclamazione e cercar di vedere più chiaro nel mio trasporto2.

Tornando al nostro oggetto, c’è da capire se Facebook cambi il nostro modo di pensare così come sembra fare il medium internet – così come ha fatto la televisione. È un dubbio che non può essere risolto agevolmente: internet non coincide con Facebook, nonostante tutto; la ricchezza sovente disorientante e altrettanto spesso superficiale della rete non necessariamente si riflette nel social network mainstream, ché anzi nella rete opera dei tagli, rendendocela a brandelli; il fenomeno di Facebook è tutto sommato recente ed effimero nonché mutevolissimo, tant’è che gli ultimi capitoli del libro, alla luce della nuova e recente riorganizzazione dei profili di Facebook, rischiano già oggi di dover essere riscritti. I nuovi profili con la “timeline” – in italiano resa come “diario” – che stanno venendo progressivamente attivati proprio in questi giorni a tutti gli utenti spostano la questione sull’identità dallo spazio al tempo. Non c’è più spazio per le preferenze, precedentemente ben individuabili nella pagina “Info” – fossero musica, libri, film, attività, interessi, filosofia di vita (sic). L’identità sociale costruita tramite la composizione di un puzzle di preferenze (argomento del quinto capitolo del libro) è sostituita da un incessante flusso di coscienza in cui, al posto del costume d’arlecchino che andavamo cucendoci addosso, risalta il chiacchiericcio perenne e continuo in cui si può sprofondare all’infinito, cioè l’anno di nascita, o almeno fino al momento dell’iscrizione a Facebook. Il profilo è sempre meno statico; al posto di ciò che ci piace abbiamo adesso ciò che stiamo facendo e ciò che abbiamo fatto – il tutto meticolosamente archiviato nei database californiani. Il vezzo di sistemare e condividere le proprie preferenze e le proprie abitudini in un’istantanea durevole è scombinato, a tutto favore degli aggiornamenti fugaci e delle “storie” sempre nuove – un’abitudine nuova che non molti utenti sono disposti ad accettare, come dimostrano molti che hanno tentato invano di tornare al vecchio profilo. Come s’accennava all’inizio, c’è già chi trascura Facebook a favore di Twitter, invogliato dai “cinguettii” di parecchie note star televisive – il che implica la voglia di ascoltare in silenzio (in gergo lurkare) piuttosto che quella di mettersi in mostra – così come c’è chi abbandona Facebook a favore di altri lidi più “appartati”, come Google+ o Path, che si profila già come la nuova tendenza del 2012…
Vista la leggerezza degli internettiani, l’unica cosa che resta da dire è che «nei social network la scelta è nulla più che l’espressione di un lieve moto dello spirito, un’adesione momentanea a qualcosa» (p. 247). Dare peso a quest’alito nel nome di quel dovere dell’intellettuale tratteggiato da Hitchens – requiescat in pace – nelle prime righe di un celebre articolo (riportate nell’ultima pagina del nostro libro) è un’operazione tanto meritoria quanto sisifea, se è vero che Facebook, a differenza che l’11 settembre, è un processo più che un evento.

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