Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica

Einaudi, 2002. Nuova edizione a cura di Vincenzo Costa, «Biblioteca Einaudi, 124», LVII-468 pp.
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Le Ideen I rappresentano un testo di svolta nel complesso cammino della fenomenologia. Allontanatosi dallo psicologismo della Philosophie der Arithmetik (1891) già con le Logiche Untersuchungen (1901), Husserl non è soddisfatto di queste ultime e cerca un terreno ancora più originario. Un terreno fondativo della fenomenologia e quindi dell’intera filosofia intesa come «una scienza universale e “rigorosa” nel senso più radicale», quella filosofia sulla quale si sono costruite l’intera scienza e il mondo che chiamiamo Europa a partire da Platone (Postilla alle Ideen I, qui pag. 418). Uno sforzo estremo che ha dato vita a un’opera «difficile, stratificata e non priva di oscurità», come scrive il traduttore nella sua utile Appendice al testo (pag. 435), opera redatta da Husserl in pochissimo tempo –sei settimane- e come in uno stato di trance ma sulla base di riflessioni decennali. Il lavoro filosofico richiede tenacia e dedizione totali, soprattutto quando intende porsi in una dimensione fondativa. È anche per questo che, ammette Husserl, «tutto è difficile» (§ 96, pag. 246).

Nonostante la fatica del concetto e della lettura, il risultato è certamente tra i più decisivi del cammino filosofico contemporaneo. Husserl vi argomenta in primo luogo l’identità della filosofia, che non è un sapere di dati di fatto –dai quali non possono che conseguire altri dati di fatto e altre singolarità, non la loro comprensione generale- ma è un sapere delle essenze e del senso. Il distacco da ogni naturalismo ed empirismo è netto, fino a definire la fenomenologia come il vero positivismo se con tale definizione si intende «la fondazione assolutamente libera da pregiudizi di tutte le scienze» poiché «noi non permettiamo ad alcuna autorità, nemmeno a quella delle “moderne scienze naturali”, di privarci del diritto di riconoscere tutte le modalità dell’intuizione, come equivalenti sorgenti di legittimità della conoscenza» (§ 20, 47). Se le scienze empiriche sono “afilosofiche” e non possono aspirare ad alcuna assolutezza e certezza, è anche perché esse «sono travagliate da problemi riguardanti i loro fondamenti, da paradossi» (Postilla, 432). Fondare la filosofia significa, invece, scioglierne contraddizioni e paradossi, in modo che essa diventi il terreno sul quale possa crescere la scienza, ogni scienza.

Non essendo un sapere di dati di fatto, la fenomenologia non è neppure una psicologia. E si potrebbe dire che l’intera costruzione delle Ideen I è rivolta proprio a marcare e ad argomentare tale distinzione. La fenomenologia è una dottrina di come si costituisce la realtà nella mente e con la mente, non una dottrina della realtà in quanto tale. Una dottrina delle datità e non del dato, dottrina non del mondo empirico ma del costituirsi del mondo nella coscienza e come coscienza, non di oggetti appresi mediante atti conoscitivi ma dello sguardo che trasforma gli atti stessi in oggetti di conoscenza, come Husserl dichiarava già nelle Ricerche logiche I. La fenomenologia è un sapere trascendentale perché riguarda la coscienza pura, l’intuizione immediata, i vissuti nella «loro essenza eidetica, in quanto “coscienza di”» (§ 86, 220).

La fenomenologia è quindi una scienza delle cose fondata sull’intenzionalità che dirige la coscienza stessa verso gli enti dando a essi senso attraverso l’intuizione delle loro essenze. Tanto che «il titolo del problema, che abbraccia l’intera fenomenologia, è l’intenzionalità. Esso esprime in effetti la proprietà fondamentale della coscienza» (§ 146, 361) poiché «l’intero mondo spazio-temporale, al quale l’uomo e l’io umano appartengono come singole realtà subordinate, è secondo il suo senso un essere meramente intenzionale, quindi tale da avere il senso, meramente secondario e relativo, di un essere per una coscienza» (§ 49, 122-123). Dire coscienza umana significa dire intenzionalità.

Le cose si danno alla coscienza in quattro possibili modi: nella percezione, nel ricordo, nelle presentificazioni simili al ricordo, nelle fantasie. Gli enti come dati di fatto rimangono sempre uguali ma cambia completamente il loro modo di darsi e quindi il loro senso, ciò che Husserl chiama noema. Esso è il percepito come tale, cioè non la cosa percepita ma il modo in cui essa si dà alla coscienza: un albero, ad esempio, come ente materiale è qualcosa di assai diverso dall’albero percepito come tale. Il primo «può bruciare, dissolversi nei suoi elementi chimici, ecc. Ma il senso –il senso di questa percezione, cioè qualcosa che appartiene necessariamente alla sua essenza- non può bruciare, non ha elementi chimici, forze, proprietà reali» (§ 89, 227-228). L’atto del percepire, diverso quindi dal senso della cosa percepita, è chiamato da Husserl noesi. Il fluire incessante della noesi forma la vita della coscienza. Noesi e noema sono sempre coniugati, costituiscono l’unità indissolubile della mente: «non vi è alcun momento noetico senza un momento noematico a esso specificamente inerente» (§ 93, 238).
È chiaro, quindi, che la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno è sbagliata proprio in quanto postula l’esistenza di un dato materiale privo di senso noematico e pertanto incoglibile dal flusso noetico della coscienza. Ciò che noi percepiamo, l’ente nello spazio e nel tempo, è qualcosa appunto di percepito, di dato alla coscienza “in carne e ossa” come Husserl ama dire, anche se l’immanenza del dato noematico non esclude affatto la trascendenza dell’oggetto percepito rispetto alla coscienza che lo percepisce. E questo esclude ogni forma –o sospetto- di solipsismo idealistico nella fenomenologia la quale preserva sempre «una differenza fondamentale tra l’essere come vissuto e l’essere come cosa», tra coscienza e realtà (§ 42, 100). Una differenza che non è però una distinzione ontologica ma rappresenta modalità diverse in cui le cose del mondo si danno, una differenza che rende indubitabile la coscienza che percepisce, dubitabile la cosa da essa percepita. Una cosa spaziale (trascendente) è contingente e può essere senz’altro una finzione, una fantasia, un sogno ma il vissuto di coscienza (immanente) che la percepisce è un assoluto. La radicalità husserliana è tale da affermare che

l’essere immanente è dunque indubitabilmente un essere assoluto nel senso che per principionulla «re» indiget ad existendum. D’altra parte, il mondo della res trascendente è interamente riferito alla coscienza. Ma non a una coscienza concepita logicamente, bensì a una coscienza attuale (§ 49, 121,92).

Ad essere dato non è il mondo ma è anzitutto l’io che esperisce il mondo, lo verifica, gli offre il senso noematico e intenzionale.
L’epoché rappresenta un’altra formula nella quale Husserl ha sintetizzato il primato della coscienza rispetto agli enti che essa fonda: «attraverso l’epoché fenomenologica tutto, la natura, il corpo vivo, la psiche, il mondo in generale in quanto universo di ciò che è simpliciter e ingenuamente per me, perde la sua validità d’essere» (Postilla, 422). Il mondo –l’insieme infinito e potente dei contenuti veicolati dalla datità percettiva- non viene negato ma semplicemente posto fuori circuito (Ausschaltung), non viene cancellato dalla lavagna fenomenologica ma messo tra parentesi. Rimane lì ma non esercita più la sua influenza.
La cosa rimane in tutta la sua potenza e spessore di res temporalis, res extensa, res materialis, rimane nella sua unità sostanziale fatta di relazioni causali estremamente complesse, rimane nella sua esperibilità intersoggettiva ma la fenomenologia è interessata a cogliere non lo spessore spaziale di essa bensì il suo significato per la coscienza. Il primato è della sfera dossico-teoretica rispetto a quella empirica, assiologica, pragmatica; il primato è della dimensione critica rispetto a ogni “voce mistica” che rivendichi la verità, «come se una simile voce avesse qualcosa da dire a degli spiriti liberi come noi e non dovesse esibire il suo titolo di legittimità» (§ 145, 357). Il primato, in una parola, è della filosofia come pura teoresi rispetto alle scienze dure, alla psicologia, alle religioni e alle etiche.

La pietra d’angolo di tale primato teoretico-critico è ciò che lo stesso Husserl definisce come

principio di tutti i principî: cioè che ogni intuizione originalmente offerente è una sorgente legittima di conoscenza, che tutto ciò che si dà originalmente nell’ «intuizione» [Intuition] (per così dire in carne e ossa) è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà (§ 24, 52-53, 43-44).

Assumere la realtà come essa si offre alla coscienza, accogliendone per intero la datità ma rimanendo nei suoi limiti. Il principio di tutti i principî coniuga in sé noesi-noema, riduzione fenomenologica, epoché. E diventa la norma fenomenologica di base: «non trarre profitto da nulla se non da quello che possiamo per essenza portare a evidenza nella pura immanenza della coscienza» (§ 59, 147, 113).

La centralità del noema fa della fenomenologia una filosofia del significato, una indagine delle strutture semantiche della coscienza. “Senso” è per Husserl il modo col quale una coscienza fa suo l’oggetto, il modo in cui si riferisce a esso e lo intenziona. Gli enti, infatti, costituiscono della unità di senso le quali presuppongono una coscienza che tale senso conferisca. “Realtà assoluta” intesa come indipendente dalla coscienza sarebbe una contraddizione in termini -«un quadrato rotondo» scrive Husserl- perché «realtà e mondo sono per noi titoli atti a designare determinate unità di senso dotate di validità, cioè unità di “senso” relative a determinate connessioni della coscienza pura assoluta» (§ 55, 140).

Componente fondamentale del senso noematico è la corporeità vivente e vissuta –il Leib-, della quale tuttavia Ideen I riconosce solo per frammenti e a fatica la centralità. Husserl ha perfettamente ragione a indicare nella cosa materiale e nella psiche due diverse regioni dell’essere e a fondare la seconda sulla prima, la psicologia sulla somatologia (§ 17, 40); come anche a sottolineare l’unità psicofisica dell’essere umano, per il quale la coscienza diventa tale «soltanto grazie a un rapporto empirico con il corpo vivo» (§ 53, 135) ma aggiunge quasi subito dopo –e in un modo che appare contraddittorio- che «è senza dubbio pensabile una coscienza senza corpo vivo e, per quanto suoni paradossale, priva di psiche, impersonale, ossia una corrente di vissuti in cui non si costituiscono le unità d’esperienza intenzionali che si chiamano corpo vivo, psiche, soggetto egologico empirico» (§ 54, 138). Nella Postilla, inoltre, afferma l’autonomia dell’analisi eidetica rispetto ai «problemi psicofisici concernenti la corporeità umana» e inserisce anche tale corporeità nell’epoché (422).

Dove, invece, l’analisi husserliana risulta sempre convincente e profonda è sulla tematica del tempo, alla quale il filosofo aveva già dedicato –e spesso ripreso- le sue lezioni Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewuβtseins del 1893-1917. Il tempo fenomenologico quale «forma unitaria di tutti i vissuti in un’unica corrente di vissuti (quella di un unico io puro)» va ben distinto dal tempo oggettivo, fisico, cosmico (§ 81, 202). Diversamente dal secondo, il primo non può essere misurato, frammentato, quantificato, costituendo lo stesso flusso degli Erlebnisse, lo Stream of Consciousness della mente. Il tempo fenomenologico è presentificazione, ritenzione, protensione; è modificazione della percezione nel ricordo e quindi sua continua ricreazione dentro la coscienza, è «una forma necessaria che unisce i vissuti tra di loro», una corrente che non ha né inizio né fine e costituisce invece il presente “eterno” della coscienza (§ 81, 204). L’intuizione pura afferra questa forma trascendentale della durata ed è tale flusso a costituire la coscienza immanente del tempo, la sua radicale unità, poiché «per estranei che possano essere reciprocamente riguardo all’essenza, i vissuti si costituiscono nell’insieme come un’unica corrente temporale, quali membri di un unico tempo fenomenologico» (§ 118, 296). Questo vuol dire che se gli atti eidetici sono successivi, la memoria che li fonda e li conserva è simultanea. Le strutture temporali si mostrano così nella loro unità costitutiva che fonda il mondo. La temporalità fenomenologica è trascendentale in un senso molto rigoroso, nel senso che il tempo è insieme noetico nella percezione del suo fluire e noematico nella unità inscindibile dei suoi momenti, unificazione che avviene nella coscienza dando a essa –e quindi al mondo- un senso.

Tutto questo è da Husserl sintetizzato, quasi di sfuggita, in una formula che sta al centro fisico del libro –nel § 72- e che va oltre questo stesso testo, indicando l’intera impresa filosofica: «costituire una fenomenologia intesa come “geometria” dei vissuti» (171). I vissuti accadono, gli enti stanno e fluiscono, i processi si volgono, gli eventi esistono. La filosofia è il tentativo –forse asintotico ma intriso di razionalità e universalità- di comprendere il loro significato. Perché è questa comprensione a costituire l’umano nel mondo.

Solo qualcuno che –riferendosi a se stesso- può parlare della «disperazione» di chi ha avuto «la disgrazia di essersi innamorato della filosofia» (Postilla, 433), può tentare l’impresa temeraria e immensa di rifondare il sapere e l’essere sulla stilla della percezione che si fa intuizione di essenze (eidetica), ricordo (temporalità), intenzionalità. La stratificazione senza fine della scrittura husserliana può essere stata una delle ragioni del naufragio dell’impresa. Ma il pilota ha ben navigato e quanto di quel naufragio rimane può da solo e in dialogo con le scienze contemporanee della mente edificare una conoscenza radicale e completa dell’umano, una conoscenza della natura temporale della mente.

4 responses to “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica

  1. L'esposizione di E. Husserl è simile a quella di Obdulio Banda. Ma Husserl non mette le discussioni. Banda sì parla con le discussioni

    Obdulio Banda,"El status ontológico de la esencia o del 'qué' de la cosa":bvirtual.bnp.gob.pe/BVIC/Captura/upload/descargas.php?id=210

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