Segnaliamo con vivo piacere l’uscita de Il filosofo impertinente di Tiziano Gorini. Si tratta di un pregevole volume dallo stile piano e divulgativo, ma con una precisa intenzione filosofica di fondo, ossia definire chi e cosa è il filosofo, soprattutto in funzione anti accademica e in netta opposizione alla cosiddetta “cacciarite”, morbo di cui effettivamente è infetta gran parte della filosofia contemporanea italiana.
Nei diciassette capitoli che compongono l’opera, Gorini tratteggia la figura di un filosofo che non si lascia incantare dalle voci suadenti della superstizione metafisica. Ogni traguardo e ogni ipotesi sono messe in discussione; a conti fatti a farla da padrone sono il dubbio e la critica, ma sempre con tono brioso, che non concede nulla alla boria e alla spocchia. Di quando in quando, Gorini si diletta a riportare per intero componimenti poetici ora più ora meno noti, da Leopardi a Zanzotto, passando per Machado, dai quali trae occasione per riflettere e proporre i propri concetti, in costante dialogo, senza soluzione di continuità tra filosofia e letteratura.
È Gorini stesso a chiarirci il significato da attribuire al titolo del suo libro:
Si chiarisce perché mi definisco un filosofo impertinente: quest’aggettivo ha un duplice senso. Uno originario, “non pertinente”, “non attinente”, secondo l’etimologia latina di impertinens, composto dal negativo in- e dal participio presente di pertinére (“appartenere”), cioè il dire o il fare qualcosa di inappropriato all’occasione, o errato o inopportuno. L’altro succedaneo, poiché conseguentemente l’impertinenza può divenire insolenza; quindi impertinente è colui che si comporta in modo irrispettoso o inadeguato. Impertinente, per esempio, è lo studente che fa osservazioni fuori luogo, cioè non pertinenti con l’argomento della lezione, al docente, ma lo è anche lo studente che il docente lo dileggia.
Io per l’appunto sono un filosofo impertinente in entrambi i sensi: se m’ingegno a stigmatizzare la filosofia, è però probabile che tale critica sia soltanto l’effetto della mia insipienza filosofica.
Ma se fosse la filosofia a essere impertinente, fuori luogo? (pag. 21)
In questo modo, fuori-luogo, fuori-tempo (anacronistico come secondo l’autore è stato Giorgio Colli) e in maniera insolente, Gorini analizza i temi classici del pensiero filosofico, passandoli in rassegna con fare divertito: la scienza, il dibattito tra analitici e continentale, la realtà esterna, il mondo, l’educazione e così via. Ne emerge il quadro di un filosofo senza peli accademici sulla lingua, ma scafato a sufficienza per fare i conti anche con la definizione stessa di filosofia. Sulla conclusione, ossia che «chi pensa non ha bisogno della patente di filosofo per pensare» (pag. 128), non possiamo che essere d’accordo. Già definire, categorizzare, etichettare sono attività che implicano un depotenziamento. Intanto si cominci a pensare, poi il resto verrà da sé. Per adesso ci troviamo perfettamente a nostro agio tra gli impertinenti, tra i seduti all’ultimo banco, tra gli irrisori e i derisori del buon senso comune, insomma tra quella gentaglia che sono i filosofi.