Il neoliberismo è il problema del XXI secolo

Asterios, Trieste 2019
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Il neoliberismo è il problema del XXI secolo di Fabrizio Li Vigni è un pamphlet divulgativo – o, per richiamare la collana editoriale in cui è inserito, un volantino militante –, che letto con gli occhi increduli e stupiti di questi giorni di crisi mondiale sotto scacco di una pandemia dalle tinte cinematografiche, appare quasi profetico o, meglio, fondato. Questo perché l’autore, che ha come obiettivo dichiarato quello di fornire una sintesi della teoria e della pratica neoliberiste (per mostrarne le falle), tra le caratteristiche del sistema oggetto di analisi indica il suo essere totalitario «perché aspira a controllare e influenzare ogni aspetto della vita degli individui, dal lavoro alla sanità, fino alle questioni più intime»; genocida «perché trucida interi popoli e classi sociali […] a causa di guerre, carestie, epidemie, inquinamento e disuguaglianze»; e infine ecocida «perché depreda le risorse e devasta mari, foreste, suoli e aria, con la conseguenza che sta causando un collasso degli ecosistemi, nonché l’estinzione dell’umanità». Vi dice qualcosa?

Proprio il 17 marzo 2020 sul sito del Corriere della Sera appare un articolo di Alessandro Sala che parla di un recente report WWF a cura di Isabella Pratesi, Marco Galaverni e Marco Antonelli con la consulenza scientifica di Gianfranco Bologna e Roberto Danovaro, le cui righe più dense affermano che:

Le principali epidemie degli ultimi anni – Ebola, Sars, Mers, influenza aviaria o suina ma anche l’Hiv che causa l’Aids – sono di origine animale. E ad influire la loro diffusione è stata la riduzione delle barriere naturali che per secoli hanno creato un argine al contagio. Le foreste, per esempio, sono sempre state custodi di una vastissima biodiversità e la presenza contemporanea di tante specie animali differenti ha messo i virus di fronte al cosiddetto «effetto diluizione»: avendo la probabilità di attaccare anche specie non ricettive, i virus non trovano un ambiente fertile in cui propagarsi e di conseguenza si bloccano, si indeboliscono, si estinguono. La deforestazione finalizzata alla creazione di pascoli, alla produzione di legname e carta o all’avanzata delle aree urbane ha di fatto cancellato parte di questo «gregge» multiforme e multi-specie che come una sorta di prima linea permetteva di mantenere una maggiore distanza tra i virus che potremmo definire «selvatici» e l’essere umano. Il quale si è invece spinto sempre più, per esplorazione o caccia (anche a specie protette), all’interno delle stesse foreste pluviali, i principali scrigni di biodiversità del pianeta, aumentando i rischi di contagio (https://www.corriere.it/animali/20_marzo_17/coronavirus-altre-epidemie-perche-sono-legate-cambiamenti-climatici-perdita-biodiversita-da0878c0-6862-11ea-9725-c592292e4a85.shtml).

Quest’ampia parentesi sull’attualità serve al lettore, anche al più convinto che altro sistema non possa darsi sulla Terra, che qualcosa nell’ordine del mondo non va. Sì perché, perlomeno stando alla tesi di Li Vigni, «l’ideologia e il programma d’azione neoliberista è fondamentalmente lo stesso dappertutto: dalle democrazie liberali e aperte come la Svezia fino ai regimi dittatoriali come la Cina», nelle quali assistiamo in ugual misura a «logiche di privatizzazione del pubblico, di concorrenzialità accanita, di defiscalizzazione in favore di ceti più abbienti, di aumento delle disuguaglianze e di distruzione dell’ambiente».

Dopo aver fornito una definizione del neoliberismo attraverso la sua genesi storica, l’autore passa poi in rassegna le élite composite che nel mondo attuano questa politica dagli effetti “devastanti”, individuando e ricostruendo il ruolo dei vari attori: multinazionali, banche, politici, teorici, think thank, lobby, istituzioni internazionali, agenzie di rating, premio Nobel per l’economia, media. Questi ultimi hanno un ruolo fondamentale, poiché vengono utilizzati da decenni per diffondere la “morale capitalista” e “colonizzare il nostro immaginario” attraverso la valorizzazione dell’individualismo a discapito della collettività, la valorizzazione della competizione a discapito della cooperazione, la valorizzazione dell’adattamento, l’instillazione del desiderio della ricchezza foriera di disuguaglianze, la valorizzazione dell’innovazione a tutti costi e del consumismo, e infine la convinzione che non vi sia alternativa possibile a questo modello di sviluppo.

A discapito della sua brevità, neanche una cinquantina di pagine, questo pamphlet offre un quadro molto chiaro e documentato, oltre che ben scritto, su quello che probabilmente – come dice il titolo – è davvero il problema del XXI secolo, malgrado (o proprio per questo) la maggior parte delle persone non lo voglia (o non lo riesca) a vedere. Queste pagine servono a questo, a svegliare le coscienze assopite da una narrazione unidirezionale.

In chiusura troverete anche un utile “manuale di difesa dalle manipolazioni mediatiche”, nonché, seppur soltanto enunciate, le possibili alternative al neoliberismo. Per una loro approfondita trattazione aspetteremo il prossimo libro.

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