Di Straffelini apprezzo ogni volta due aspetti fondamentali: la chiarezza espositiva e l’onestà intellettuale. Le due caratteristiche sono strettamente intrecciate tra loro, perché in molti casi riesce a essere chiaro proprio per via della maniera esplicita e umile con cui dichiara le proprie posizioni.
Questa Indagine sulla scienza è già espressamente proposta nel sottotitolo come un manuale per scettici e per credenti. Il passo da manuale, in senso lato, con cui Straffelini affronta i problemi che gli sono cari è degno della sua professione ingegneristica: è un uomo di scienza, che parla con competenza del suo campo, pur mantenendo un livello divulgativo utile e comprensibile a un lettore del mio tipo che di scienza non ci campa, né per lavoro né per passione. E forse proprio in virtù di tutto questo, Straffelini ha un vantaggio nei miei confronti: sa più di filosofia rispetto a quanto io sappia di scienza. Pertanto, se può parlare di filosofia della scienza con cognizione di causa, io non posso parlare di scienza con altrettanta perizia. Mi limiterò, dunque, fatte salve queste premesse tutte a suo vantaggio e a merito del libro, a restare confinato nel mio approccio critico e prettamente filosofico. Altro non posso.
Ho già detto bene del vantaggio culturale di Straffelini; dico bene anche del libro, di cui condivido gli assunti fondamentali e la maniera di ragionare e procedere, almeno fino a un certo punto, ossia fino al punto decisivo, in cui le nostre strade si dividono irrimediabilmente, e vedremo come e perché.
L’intenzione del libro è quella di affrontare l’approccio scientifico a partire dai suoi assunti di base, i tre pilastri fondamentali: il realismo, la regolarità e uniformità della natura, il riduzionismo (cfr. pagg. 28-29), per mostrare fino a che punto è possibile una nostra conoscenza scientifica della realtà, in che rapporti stia con la cosiddetta realtà in sé e se dessa visione scientifica è conciliabile con l’esistenza di un’intelligenza divina o anzi addirittura debba necessariamente ammetterla.
I problemi sollevati sono tanti e Straffelini propone le sue soluzioni sempre in maniera chiara e relativamente semplice. Qui mi preme sottolineare i punti critici, che sono poi quelli che rendono davvero stimolante la lettura di questo libro.
Cominciamo dal sottotitolo: Un manuale per scettici e per credenti. Ora, io non sono né scettico, né credente, a meno che con “scettico” non si voglia intendere in senso comune qualcuno che non crede. La posizione dello scettico, almeno in stretti termini filosofici, è quella dubitativa estrema che impedisce di formulare qualsivoglia tipo di giudizio. Io sono ateo, il mio giudizio lo esprimo. Dire che un “non credente” è scettico lascia un sapore ambiguo in bocca, come se al massimo si possa dubitare dell’esistenza di un principio divino, ma mai negarla del tutto. Al netto di questa ambiguità linguistica, non so se voluta o meno, tuttavia il libro risulta una lettura interessante anche per me, che scettico non sono.
Gli altri due punti problematici, strettamente connessi, riguardano la questione dell’evoluzionismo come modello scientifico e l’intervento di dio proprio per spiegare l’evoluzione e quindi la nostra capacità di rappresentarci modelli scientifici in generale.
Per spiegare il rapporto dei nostri modelli mentali (anche scientifici) di rappresentare la realtà, Straffelini propone tre opzioni: l’opzione A prevede che la realtà in sé non esiste e che tutte le nostre rappresentazioni siano in un modo o nell’altro il prodotto della nostra mente (sia come doni di Dio secondo la teoria di Berkeley, sia come frutto di una stimolazione cerebrale dovuta a una macchina esterna come nel film Matrix); l’opzione B propone la spiegazione evoluzionistica, per cui tramite la selezione naturale le nostre capacità mentali si sono evolute nel tempo fino a consentirci la creazione di tali modelli (quindi la realtà in sé esiste, ma noi possiamo conoscere solo i modelli di essa che la nostra mente è in grado di rappresentarsi); l’opzione C, infine, coniuga in qualche modo le due precedenti, sostenendo che la selezione naturale da sola non basta a spiegare la nostra capacità di formarci modelli della realtà, ma Dio è intervenuto nei meccanismi dell’evoluzione, così facendo, tra l’altro, da garante per l’esistenza di un mondo esterno (pagg. 44-49).
Ora, perché secondo Straffelini l’opzione B da sola non è sufficiente a spiegare la nostra capacità di creare modelli anche scientifici per rappresentarci la realtà? Perché cadrebbe in un circolo vizioso dal quale non potrebbe uscire, ossia: 1) noi siamo in grado di creare modelli scientifici della realtà; 2) questa nostra capacità ci deriva dall’evoluzione per selezione naturale; 3) ma l’evoluzionismo è anch’esso un modello scientifico. Può dunque un modello scientifico giustificare l’esistenza dei modelli scientifici? Può un modello scientifico fondare e garantire sé stesso? Così il circolo vizioso sembra davvero inevitabile e ineludibile. A questo punto, Straffelini introduce l’ipotesi teista: l’evoluzionismo presenta alcuni punti critici e problematici, per risolvere i quali è necessario pensare (in che senso? Credere? Postulare?) che vi sia un intervento divino a guidarla; inoltre l’intervento divino garantisce che l’evoluzionismo sia un modello efficace di rappresentazione della realtà e garanzia della nostra capacità di creare modelli scientifici in generale, perché l’intervento divino garantisce l’esistenza di una realtà esterna e la corrispondenza dei nostri modelli a tale realtà.
Tuttavia, di un problema che avevamo, ora ne abbiamo due: questa visione, lungi dal semplificare il problema o risolverlo, lo complica, perché se prima il problema era giustificare l’evoluzionismo come modello scientifico, ora bisogna giustificare anche l’esistenza di dio, ossia di un’entità di cui non abbiamo esperienza e il cui operato non presenta nessun connotato specifico né peculiare.
Andiamo con ordine. Se accettiamo l’assunto del realismo indiretto (che lo si faccia per ragionamento, come nel mio caso, o per fede nella garanzia divina), per cui la realtà in sé esiste e i nostri modelli mentali sono modelli sì, ma conformi e adeguati a tale realtà in sé, allora dobbiamo di necessità ammettere che i modelli mentali stessi sono autogiustificantesi, ossia sono dei modelli che, con i dovuti aggiustamenti e misure, sono conformi alla realtà per noi, ossia al nostro modo di percepirla e strutturarla. Ogni modello fonda sé stesso, non perché sia vero, ma perché è un modello conforme a come noi siamo in grado di elaborare i dati che ci provengono dal mondo esterno. Non occorre dunque un modello che fondi e giustifichi gli altri modelli. L’evoluzionismo non devo fondare e giustificare il fatto che i nostri modelli siano conformi; piuttosto è un modello che ci fornisce utili informazioni su come si sia formata la nostra capacità di creare modelli. La capacità di formare modelli ci è già data, se ammettiamo l’esistenza del mondo esterno, in qualunque modo la ammettiamo. La spiegazione di come si siano formati è un modello anch’esso, che non intacca l’esistenza degli altri modelli. Possiamo poi discutere sul fatto se sia più o meno aderente e conforme alla realtà, ma allora proporremo altri modelli o aggiustamenti di questo. Insomma, dai modelli non si esce. Non bisogna confondere l’esistenza dei modelli con il modello tramite il quale siamo giunti alla capacità di elaborare dei modelli e che dovrebbe giustificarne ontologicamente l’esistenza. A limite ne spiega appunto l’evoluzione, ma il fatto che esistano non deve essere giustificato da tale modello.
Ora, ammettiamo per un momento con Straffelini che solo Dio possa garantire l’esistenza del mondo esterno. Bene, il mondo esterno esiste perché Dio ce lo garantisce. Così, se esiste un mondo esterno, noi ci creiamo modelli del mondo esterno; l’evoluzionismo è un modello che può spiegare la nostra capacità di crearli; dunque, per quanto detto poco sopra, anche in questo caso il circolo vizioso è scongiurato. Dio, dunque, avrebbe la sola funzione di garantire l’esistenza di un mondo esterno. Ma questo è un vizio cartesiano. Ed è già stato mostrato secoli addietro come l’esistenza di Dio fondata sul cogito e così garante di un mondo esterno sia, questa sì, un circolo vizioso.
Ragioniamo per ipotesi. Ammettiamo che esista solo il soggetto e nessuna realtà esterna: allora i modelli sarebbero autoreferenziali, non più modelli, quanto la realtà stessa in quanto prodotta dal soggetto. Quindi per forza di cose nessun circolo vizioso. L’esistenza di Dio non serve a nulla, né a garantire l’esistenza di alcunché, né a evitare un circolo vizioso inesistente.
Ammettiamo che esista una realtà esterna: se la ammettiamo per ipotesi, non c’è bisogno di un dio che la garantisca; ma una volta ammessa, per quanto detto sopra, il circolo vizioso della spiegazione dei modelli è anche qui scongiurato. Ammessa o non ammessa la realtà esterna, non si dà circolo vizioso. E Dio non serve a garantire nulla.
Infine e brevemente, per concludere, il libro di Straffelini ha senza dubbio i meriti che ho elencato e solleva le problematicità a cui ho tentato forse goffamente di rispondere. Su questo possiamo discutere, probabilmente all’infinito. Ciò su cui però mi sento di dire una parola ultima e paradossalmente non definitiva è il ruolo che attribuiamo a dio nelle questioni scientifiche o di conoscenza in senso lato. Se vi sono dei punti oscuri in un modello scientifico, se vi sono dei nodi irrisolti anche e soprattutto nell’evoluzionismo, non si può subito chiamare in causa, è il caso di dirlo, il deus ex machina. Straffelini vuole evitare che lo si ritengo una di coloro i quali considerano «l’azione di Dio come quella di un tappabuchi a cui ricorrere quando non si comprendono certi fenomeni» (pag. 143), ma non so se alla fine sia riuscito a scongiurare questo rischio. Per Nietzsche Dio è un divieto, un obbligo di non pensare. Ma è proprio quando non si comprendono certi fenomeni che deve scattare la molla del pensiero. Io sono ateo e ricerco, penso, tento di spiegare nella convinzione che non esiste alcuna azione divina. Ogni uomo di scienza e conoscenza, anche se credente, dovrebbe comunque farlo come se non esistesse. Lo sapevano anche quei vecchi curiosoni degli ebrei: o l’obbedienza alle leggi divine, o la conoscenza.
Grazie Cateno per la tua brillante e gentile recensione!
Il riferimento agli ‘scettici’ nel sottotitolo è un po’ una moda, ma riflette pure la mia prudenza verso gli atei, visto che sostengo la necessità di un intervento divino in faccende scientifiche (come l’evoluzione!). Mi sembrava quasi una provocazione; forse era meglio evitare il sottotitolo.
La questione già sollevata da Kant è evidentemente centrale: “resta pur sempre uno scandalo per la filosofia… il dover ammettere solo per fede l’esistenza delle cose fuori di noi”. Anche affidarsi all’evoluzione non basta per avere la certezza dell’esistenza del mondo là fuori; si tratta pur sempre di pensieri della nostra mente. Ma – e questa è la mia proposta – se uniamo la riflessione di Cartesio (forse l’unica concreta) e la visione scientifico-evoluzionista, un passo avanti lo possiamo fare. Cartesio trovava la certezza di Dio nel pensiero (e fin qui ci siamo: anche le neuroscienze ci garantistico che l’idea di Dio è innata, tanto o poco, nell’uomo) e poi dalla consapevolezza che Dio è buono e creatore poteva arguire che le cose fuori di noi esistono, perché Dio non ci inganna. E’ chiaro che la seconda parte del ragionamento è debolissima. Ma se noi aggiungiamo che nei nostri pensieri abbiamo anche la visione evoluzionista del regno animale, all’interno della quale compare di necessità il ruolo attivo di Dio per quanto riguarda l’ominizzazione, ecco che allora il discorso di Cartesio ne esce molto rinforzato.
Questa è la mia proposta su un tema – forse il motivo me lo potrai spiegare tu, ma temo di saperlo già – dove la filosofia si impegna poco mi pare, gira quasi le spalle.
Dio tappabuchi. Anni fa non si sapeva spiegare la superconduttività. Per fortuna nessuno ha tirato in ballo Dio: poi è stata spiegata applicando la meccanica quantistica, come era lecito attendersi. Io sto parlando dei tre passaggi fondamentali: nascita Universo, nascita vita sulla terra, comparsa dell’uomo. Questi sono enigmi insolubili, lo aveva già detto bene Du Boise-Reymond nell’Ottocento; da allora è cambiato poco. Certo, a rigore non possiamo essere certi al 100% sul futuro, e questo diventa allora il terreno di riflessione/confronto tra credenti e atei. Pertanto trovo normale e giusto che una critica di questo tipo venga da te; meno – permettimi lo sfogo – quando viene da un credente cristiano, per il quale (Bonhoffer o non Bonhoffer) il fatto che Dio abbia creato il cielo e la terra (e avanti), dovrebbe essere una certezza, no?
Un abbraccio e grazie ancora di aver dedicato tempo al mio scritto
Giovanni