L’eroe della montagna. Ascesa e cadute di Marco Pantani

Villaggio Maori Edizioni, Catania 2016
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Difficile immaginare un titolo più chiaro di così, in cui l’autore ci informa subito di quello che troveremo all’interno del romanzo: la storia di un eroe che ha segnato, tra luci e ombre, un’epoca della corsa su bici, scalando le classifiche delle manifestazioni ciclistiche più importanti per poi imboccare una china da cui non è mai più risalito. Lui, che aveva fatto delle scalate impossibili un marchio di fabbrica. Il tentativo, riuscitissimo, di rappresentare la vita di Pantani, passa in primo luogo dalla scelta fatta dall’autore di tacerne il nome, che compare, in tutte le centoquarantasette pagine che compongono il romanzo, esclusivamente nel sottotitolo. È Tempio stesso a fornirci una convincente motivazione: «Rappresentare un eroe è non poterlo nominare, come impronunciabile è tutto ciò che si prova intimamente, tutto ciò che è al di là delle parole: la mistica, l’assoluto, l’odio, — l’amore» (p. 8).
La storia di un eroe, si diceva in apertura. A narrarcela è un personaggio inventato, un “onesto impiegato” della bici, Paolo Ponchielli, che ha corso in quegli stessi anni ’90 in cui esplode la stella de “l’eroe della montagna” e che di quest’ultimo è stato fan, amico, rivale, seguendo le sue gesta ora dalle tv, ora fianco a fianco nella corsa. Il rapporto tra i due è una miscela di sano agonismo, lo stesso che dovrebbe esserci in ogni manifestazione di sport e che, tante volte, la luce accecante dei media tende a sublimare in una competizione spietata, ma anche di affetto e stima reciproca. Dopotutto è lo stesso narratore a essere cosciente che il campione e lui si trovano su due livelli diversi, nonostante in uno degli episodi si ritrovino a gareggiare ruota contro ruota. A testimoniare il legame speciale che unisce questa strana coppia, un personaggio reale dai connotati leggendari e un uomo comune frutto della fantasia, si presta un episodio in particolare, verso la fine del romanzo. I due ciclisti si sono già ritirati, Ponchielli per sbarcare il lunario gestisce con discreto successo un negozio di biciclette e Pantani sembra essere sparito dai radar. In un’atmosfera surreale di un giorno di ottobre, sotto una pioggia fine, lui fa il suo ingresso in quello stesso negozio di biciclette dove Ponchielli accoglie i clienti. È un’epifania, ma dura poco: «C’erano tante cose che avrei voluto chiedergli. […] I ciclisti hanno tanto da raccontare e in fondo invecchiano presto, come i reduci di guerra. Sollevai le serrandine, aprii la porta. Si avviò tra le pozzanghere. Lo vidi svoltare l’angolo, avvolto dal rezzo ottobrino che alzava nebbioline di pioggia e mi nascondeva le cose lontane» (pp. 139-140).
Un punto di vista privilegiato, dunque, attraverso il quale la lettura consente un’immersione totale in questo sport fatto di abnegazione e sofferenza ma allo stesso tempo capace di dare, avaramente, grandi emozioni. La vita di Pantani è seguita in tutti i suoi drammatici risvolti, di cui non viene taciuto l’epilogo tragico, né la delusione provocata dal sempre scomodo argomento del doping, citato da Tempio sin nel primo capitolo. Ma nella sua cronaca Ponchielli non tralascia, naturalmente, ciò che ha fatto innamorare gli appassionati di ciclismo dello scalatore con la bandana, capace di avvicinare tanti a questo sport per i quali, prima di lui, la bici non rappresentava altro che un mezzo per destreggiarsi più agevolmente nel traffico cittadino: mi riferisco alle imprese, alle vittorie così come alle sconfitte più brucianti, entrambe narrate con tonalità quasi epiche nel romanzo. Al punto che diventa impossibile non appassionarsi alle gesta del “Pirata” e non rimpiangere, ancora oggi, la sua pesante assenza.
Essendo centrale l’argomento delle corse, di primo acchito il lettore profano in merito potrebbe essere tentato di ritirarsi dalla lettura, timoroso magari di non capire alcuni dei riferimenti riscontrabili all’interno del testo. Niente di più sbagliato! L’autore non si risparmia nella spiegazione dei termini, pochi a dire il vero, concernenti il gergo più strettamente legato al mondo della bicicletta, inventando una sorta di “pedalata assistita” al suo testo.
Venendo a quello che è lo stile del testo, i periodi brevi e incalzanti rendono bene lo spasmo con cui lo sportivo vive le gare: Tempio ricalca la pedalata agile dei suoi personaggi con una narrazione concisa e incalzante, scorrevole, che avvinghia il lettore per tutte le quasi centocinquanta pagine del romanzo.
Personalmente, pur non nutrendo una passione particolare per il mondo ciclistico, ho letto questo romanzo di volata, arrivando al traguardo con un nodo in gola e con la consapevolezza di avere tra le mani una grande storia. Ed è per questo che ritengo sia un volumetto immancabile tra gli scaffali di ogni sportivo o semplice apprezzatore del ciclismo con il vezzo per la lettura.

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