Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau – Riflessioni sul suicidio

intr. e cura di L. Ghersi, trad. di A. Inzerillo, Bibliosofica, Roma 2016
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Gli individui credono che lo scopo dell’esistere sia il raggiungimento della felicità, e constando di non poter raggiungerla pongono fine alla loro vita. Ma questa credenza è del tutto fallace, poiché il fine ultimo dell’esistenza è l’adempimento del dovere; il suicidio si presenta dunque come un errore.

Ecco la tesi della Madama de Staël nutrita dalle sonore letture di Marco Aurelio, Rousseau e dalla testimonianza accorata e tragica di Lady Jane Grey (pagg. 152-62). Ne viene delineata la figura del suicida quale ateo ed egoista.

Dal punto di vista religioso, afferma Madame de Staël, «le passioni portano a compiere atti colpevoli che hanno come scopo la felicità, ma nel suicidio vi è una rinuncia a qualsiasi forma di soccorso dall’alto, rinuncia che è inconciliabile con qualsivoglia disposizione religiosa» (pag. 126). Ma l’accusa di ateismo fondata sull’atto di rifiuto della vita come rinuncia eterna all’aiuto di dio dà disposizione a una concezione creaturale dell’umano che non può non finir per assumere connotati morali noti. Una proposizione metafisica corrisponde a una morale. Infatti, che la creatura sia sempre insufficiente alla vita e si debba rimettere al suo creatore sta al fatto che l’umano non può vivere felice e che dunque lo scopo della vita stessa sia il dovere; in entrambi questi aspetti si raccoglie il concetto di redenzione. Voilà, creazionismo tomismo neo-stoicismo messi in fila.

Nella definizione morale di ‘egoista’ l’Autrice prosegue su questo sentiero, dichiarando con tutta l’eloquenza a lei solita che «quando si rinuncia alla vita soltanto perché non si è felici si sta mettendo il proprio sé davanti a tutti, e si è per così dire egoisti dandosi la morte» (pag. 132). Anteponendo il proprio Sé al mondo, colui che pianifica la propria morte sarà sempre egoista, perché non soltanto non tiene conto dell’aumentare della sofferenza che potrebbe causare la propria morte a chi resta, ma pure del mancato aiuto che potrebbe sempre prestare alla comunità. Il suicidio oltre che immorale è un atto profondamente antisociale.

In realtà, la morale della rassegnazione cristiana non è altro che quella borghese della consapevolezza mascherata da autocoscienza. Si tratta d’indebolirsi di fronte alle costrizioni e continuare a sopravvivere più saggi, sì, ma anche più tristi di prima, di ribadire l’amor proprio e coltivare la memoria, di pensare che la felicità è eterna mentre nel mondo che diviene si può dare solo l’effimerità del piacere, la quale certo non può colmare affatto la pienezza totale di dio. Laddove l’incognita è lo scopo della vita, questa forzata equazione espone ancora una volta la sua tesi: se la felicità non è cosa terrena, il fine terrestre umano è il dovere. (Corollario: Nell’eternità di dio felicità e dovere coincidono, così come due rette parallele s’incontrano all’infinito): «Com’è raro saper consolare gli infelici! Com’è difficile porsi in armonia con la loro anima! Opponiamo invece la nostra ragione al loro smarrimento, il nostro sangue freddo alla loro agitazione, e la fiducia svanisce, e il dolore penetra ancor di più nel loro cuore. Non cercate di persuaderli che non hanno reali motivi di pena: offrite loro semmai qualche nuova ragione di felicità!» (pag. 111).

Questo appena letto è uno dei passi più significativi con cui Madame de Staël scrive del carattere del grande “suicida” Jean-Jacques Rousseau (ella credeva, sulla base di una testimonianza indiretta, che questi avesse deciso di lasciarsi morire), nell’ultima lettera dedicatagli (pagg. 111-12). ‘Suicida’ infatti, poiché malgrado l’ammirazione il biasimo dell’Autrice è autentico, anzi quest’antitesi passionale rappresenta un bel rompicapo da risolvere. Basti leggere affermazioni come la seguente: «Possa una voce degna di te innalzarsi per difenderti!» (113). Date le Considerazioni sul suicidio come spieghiamo le Lettere sugli scritti e il carattere di Jean-Jacques Rousseau? Dovremmo tradurre, allora, così il richiamo di Madame de Staël: «Possa la mia voce essere degna di te e innalzarsi per difenderti!».

Sembra che Madame de Staël non riesca a capacitarsi di come il pensatore Jean-Jacques Rousseau si sia potuto suicidare, e cerchi quindi di spiegare il suicida alla luce del filosofo. Lo si evince già dalla disposizione dell’ordine delle lettere, che terminano proprio con la lunga lettera sesta Sul carattere di Rousseau. Inoltre, l’impianto della scrittura – più eloquente che propriamente filosofico – è basato su tre livelli: 1) un’analisi delle opere di Rousseau; 2) giudizi sul carattere di Rousseau; 3) un secondo ordine di giudizi di valore che ricopre una funzione metaespressiva di carattere generale. Tali livelli sono separabili solo metodologicamente, poiché si susseguono linguisticamente e si costruiscono concettualmente l’uno sull’altro. La distinzione si ferma sul piano analitico, poiché l’ordine del discorso è orientato teleologicamente dall’intenzione di giustificare il suicidio di un filosofo con il suo pensiero stesso.

L’unica spiegazione che risponde alla fine di un estenuante domandare si trova sin dall’inizio della trattazione: «Era troppo dipendente dagli oggetti esteriori per rientrare in sé stesso, troppo preso dal sentire per riuscire a pensare: non era capace di vivere e di riflettere nello stesso tempo» (pag. 61). Considerazioni di tal genere sono alquanto diffuse nel testo e non v’è bisogno di citarne altre. E risulta evidente l’intento d’imputare tutto a una biografia di Rousseau quale uomo affatto cagionevole, complesso, emotivamente labile e facile preda di depressione. In ogni caso, è ugualmente un bel ritratto del ginevrino. Che suoni come un tributo o meno alla sua memoria, poco, davvero poco importa: si tratta di un testo del tutto godibile, specie per la qualità indubbia dello stile e per l’importanza storica che questa testimonianza su Jean-Jacques Rousseau ricopre. L’ottima traduzione di Andrea Inzerillo e la puntualissima introduzione di Livio Ghersi, infine, ci restituiscono appieno le due peculiarità di questo libro.

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