Nietzsche – Stirner

Editoriale B.M. Italiana, Roma 1984
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Ammirare la realtà attraverso il pensiero di Nietzsche è come guardare in un caleidoscopio le cui figure appaiono sì impreviste e varie, ma comunque simmetriche, fluenti e quasi sistematicamente ordite. Al confronto il pensiero di Stirner (che pure, come mi disse l’intelligenza di una mia cara amica, in quell’Unico pare si occupi di tutto tranne che di acconciature per capelli) si mostra di una monoliticità caduca, efficace ma pur sempre spigolosa.

Forse per questo uno tra i saggi più apprezzabili dei diciassette presenti in Nietzsche – Stirner (Editoriale B.M. Italiana, Roma 1984) è quello del curatore Pietro Ciaravolo, il quale sostiene che ciò che separa nettamente la concezione dei due filosofi è il fondamento metafisico che fa da sostrato ai due pensieri. Infatti Nietzsche sarebbe «il teorico del puro divenire mentre Stirner è il teorico della “permanenza” dell’“unico” nel mare del divenire» (pag. 205). Egli ci guida attraverso le analisi che il giovane Nietzsche compie riguardo ai filosofi presocratici, proponendo di questi ultimi una «interpretazione filologicamente inattendibile. Ed era un filologo!» (pag. 209). Ma a Ciaravolo importa soprattutto mostrare che il vero obiettivo “metafisico”, se mi concedete il termine, di Nietzsche non sia niente meno che superare la logica manentistica ed in qualche modo parmenidea che starebbe dietro concezioni del divenire come quella aristotelica, la quale appunto «s’appoggia sulla rappresentazione della permanenza dell’essere» (pag. 212). Certo è una prospettiva condivisibile ed affascinante, seppure stoni un po’ il senso ascetico che Ciaravolo fa risuonare nelle intuizioni nietzscheane; tuttavia la conclusione di questo ragionamento mi pare molto pregnante: «si arriva alla soglia del divenire per negationem. Una sorta di teologia negativa! Strumento è il “martello” distruttore della dialettica “eraclitea” [le virgolette sono dovute all’infondatezza filologica dell’interpretazione nietzscheana di Eraclito] dei “contrari”. La dialettica come strumento di ascesi» (pag. 212).
Insomma, permanenza e divenire cui fa eco Carlo Sini, quando occupandosi di scorcio della questione della temporalità dal punto di vista dei due autori cita la formula nietzscheana dell’eterno ritorno dell’identico, contrapponendovi quello che per Stirner sarebbe invece «il momentaneo senza ritorno del diverso. L’unico», continua, « è il momentaneo ritorno del diverso. Esso è compiuto nel suo mostrarsi, in ogni suo mostrarsi eventuale e finito» (pag. 197).

Ho di proposito cominciato queste brevi righe con lo scrivere della terza ed ultima parte di cui consta il volume; segnatamente esse sono: Parte prima: prospettive su Stirner; Parte seconda: prospettive su Nietzsche; Parte terza: Prospettive sul diretto rapporto Nietzsche-Stirner.

Ho, dunque, di proposito cominciato con quest’ultima parte perché ovviamente è quella su cui si hanno maggiori aspettative; quindi è con un po’ di delusione che affermo che alla fin fine è come se non si fosse centrato il punto, come se la discussione fosse sviata da altro e non si vedesse, per citare ancora Carlo Sini, «il fulcro teoretico della questione» (pag. 193).

Tuttavia, io porrei la questione in maniera diversa da quest’ultimo; se, infatti, per questi, sancita l’attualità di Nietzsche, si tratta di vedere «in che modo Stirner oggi tocca i nostri problemi, in che modo è presente nell’attualità del nostro pensare», io non smanierei tanto per l’attualità, quanto per un riconoscimento teoretico ed essenziale delle peculiarità di Stirner, di quelle di Nietzsche e di un eventuale confronto filologico, storiografico ma soprattutto filosofico tra i due.
Cercare a tutti i costi l’attualità porta infatti al difetto principale per cui si possono rimproverare quasi tutti gli autori di questi saggi, in tutte le tre parti. Perché proprio per questo voler attualizzare hanno per forza voluto inquadrare Stirner ora nella temperie marxista, ora nella dialettica hegeliana, infine (e questo mi pare il più assurdo e avremo modo di vedere perché) in una sorta di proto-esistenzialismo.

D’accordo, è lecito e finanche giusto riconoscere quanta influenza hegeliana e quanta polemica anti-hegeliana o anti-feuerbachiana muovano le asprezze lucide dell’Unico; ma un libro del genere non si può inquadrare in una corrente determinata senza rischiare di snaturarne o comunque fraintenderne i presupposti, gli esiti e la stessa esistenza filosofica del pensiero espresso.

Del resto, voler fare di Stirner un esistenzialista ante litteram mi pare non solo esagerato, ma filosoficamente infondato. Pure se con Giorgio Penzo concediamo che Stirner non può dirsi filosofo dell’esistenza ma solo esistenzialista perché «nella filosofia dell’esistenza, l’esistenza viene posta sempre di fronte alla trascendenza, mentre nell’esistenzialismo l’esistenza si rivela come un puro esistere fattuale», si potrebbe obiettare che Stirner non è neanche esistenzialista.
Infatti, considerata la cosa heideggerianamente, l’esserci è quell’ente la cui essenza coincide con l’esistenza; inoltre per l’Heidegger che si oppone a Sartre, siamo su un piano in cui c’è principalmente l’essere. Ora, sappiamo che per Stirner la mia essenza, proprio perché è la mia, si differenzia da me, è una mia proprietà; pure l’essere è mio, così come il pensiero è mio.

Sartre direbbe che siamo su un piano in cui c’è principalmente l’uomo. Inutile, a questo punto, ricordare la critica stirneriana su l’umanità e l’uomo, intesi come astrazione. Insomma, si potrebbe stirnerianamente dire che la mia esistenza è mia, è una mia proprietà; e con ciò il benedetto esistenzialismo andrebbe a farsi friggere, o a farsi benedire se lo preferisce.

In fin dei conti, le tematiche trattate, basta scorrere i titoli, sono tante e tutte paiono interessanti: Nietzsche e la politica, Nietzsche e Socrate: una comune tensione morale, Egoismo e solidarietà sociale. Riflessioni su Stirner, Nietzsche oltre Stirner?, e così via, solo per fare alcuni esempi.

Ad ogni modo pare che questi saggi portino addosso il segno dei tempi e dell’attualità ad ogni costo. Certo, stiamo parlando di un convegno tenutosi nel dicembre del 1983 (ossia qualche mese dopo ch’io nacqui!) ma pare che ogni grande filosofo faccia tanto bene quanto male alla filosofia; tant’è che molti di questi autori non fanno altro che applicare categorie, concetti, espressioni, trattini heideggeriani soprattutto nell’interpretare Nietzsche.

Per non parlare poi dell’hegelismo asfissiante e (perdonatemi) a buon mercato di cui Edoardo Mirri fa sfoggio nel primo saggio in cui vuole illuminarci sulla “figura” del superuomo e su ciò di cui la figura è figura. Mi pare che sia un uso improprio del termine figura. Il sistema hegeliano ha come uno dei cardini proprio la figurazione; la figurazione è una sorta di termine medio tra lo Spirito e la determinata figura; la figurazione è atemporale, la figura è il dispiegarsi storico della figurazione. Non credo che in Nietzsche sia rintracciabile qualcosa del genere se non forzando di molto l’atemporalità o la profezia del superuomo.

Ma se non altro l’intervento di Mirri ha il merito di distinguere il superuomo dall’ultimo uomo e dall’uomo superiore.
Rimangono due altri interventi su cui a mio avviso vale la pena soffermarsi, due dei quali sono molto interessanti ma paiono dare il tono su quale fosse (e per certi versi è ancora) lo statuto teoretico degli studi su Nietzsche e Stirner. Se da un lato, infatti, come ho già ricordato, costoro vengono inseriti ed interpretati con parametri derivanti da altri sistemi di pensiero o temperie filosofiche, dall’altro si deve ammettere che ciò può essere illuminante riguardo a questi canoni interpretativi stessi. Così, ad esempio, Marco Duichin ci fornisce un resoconto dettagliato sulla polemica marxiana nei confronti di Stirner; e se ciò è poco funzionale a comprendere stirner, quantomeno rende conto di come «il motivo fondamentale che spinse Marx ad occuparsi dell’Unico non va infatti ricercato in una preoccupazione di ordine speculativo […], ma nel suo tentativo di liquidare definitivamente l’ultima, più radicale e decadente propaggine filosofica tardo-hegeliana, e di fondare su un rinnovato piano teorico, fino allora ignoto al pensiero tedesco, la concezione materialistica della storia e la critica dell’economia politica» (pag. 129). Questo non per interessi squisitamente filosofici, ché anzi Marx pensava di aver compiuto un balzo al di fuori della filosofia, quanto perché l’interesse per l’economia politica voleva essere un segno di concretezza (in barba all’astratto hegeliano) che avrebbe spazzato via «le residue “illusioni filosofiche” tardo-hegeliane e, al tempo stesso, [avrebbe fondato] la reale “scienza della storia”» (pag. 143).

Per contro, il saggio al contempo più interessante da un punto di vista concettuale è anche il più bislacco nelle concezioni esoteriche e per l’interesse per il paranormale (vi si parla delle virtù medianiche di Nietzsche o di un’eventuale credenza nei fantasmi, negli ectoplasmi da parte di Stirner! Eventualità, quest’ultima, teoreticamente assurda, oltre che molto improbabile!). Mi riferisco all’intervento di Irma Latina. Esso è veramente apprezzabile nel mostrare la matrice esoterica, settecentesca, massonica, goethiana, protoromantica e romantica dell’unico e del superuomo; tuttavia ne esaspera i toni e taccia di “ignoranza” Stirner (e forse, per quel poco che ne sappiamo, non si potrebbe seriamente porre un’obiezione dettagliata e storicamente fondata) e Nietzsche (qui mi pare che voglia rubare nella casa del ladro!).

I termini della questione sono questi: i nostri due ribelli autori hanno frainteso lo spirito del dio-uomo e dell’uomo-dio in quanto non hanno saputo cogliere l’hegeliana sintesi tra natura e spirito, tra paganesimo e cristianesimo. Non avrebbero, inoltre, colto l’applicabilità del cabalistico Albero della Vita (al cui centro starebbe Tipharet, ovvero, per i cristiani, il Cristo stesso) a qualsiasi esperienza religiosa, per cui, appunto, Tipharet potrebbe essere Cristo o Dioniso, come ha colto bene Hölderlin, o Osiride; insomma qualsiasi dio dell’illuminazione. (cfr., pagg. 251-255). Insomma, i nostri sarebbero nient’altro che due “mutilati dialettici” (cfr., pag. 261). Insomma, la prospettiva di Stirner e Nietzsche, proprio perché non riconoscerebbe alcuna sacralità e nessuna sintesi non potrebbe «garantirci un simile potere sugli dei… i quali non sono morti se non nel senso che si sono già rotti i sigilli che ne custodivano il mistero» (pag. 263).

In fin dei conti, l’impressione è che ancora negli anni ottanta non si riusciva a pensare a Stirner e Nietzsche con maniere, linguaggio, prospettiva rispettivamente stirneriani e nietzscheani. Si era, insomma, ancora nel solco di una profonda incomprensione di cui forse ancora piangiamo le conseguenze.

Sennonché, tra tanti fraintendimenti, pure nasce uno spiraglio, s’erge un appiglio a cui possiamo aggrapparci. Mi riferisco ancora al saggio di Carlo Sini, cui accennavo anche prima; egli, in alcune pagine del suo intervento si rifà alla nietzscheana grande ragione del corpo. La critica che Nietzsche fa del linguaggio e che per certi versi è più radicale di quella compiuta da Stirner (o, sarebbe meglio dire, che si compie su piani diversi: sul piano metafisico-culturale per Nietzsche, sul piano della negazione dell’idealismo, dell’umanità ed in generale dell’astrazione e addirittura sulla dicibilità dell’unico per Stirner) si risolve in un linguaggio che si esprime per parole singolari e «il corpo infatti è infatti una parola singolare» (pag. 202).
Allora quest’unico qui ed ora, caduco ed in carne ed ossa trova il suo senso non solo nel divenire, ma nel divenire che è attraverso la ragione del corpo. Si potrebbe anche dire che il senso della terra è il senso del corpo, perché il corpo è humus. Dunque, orgogliosi degli istinti, unici, in carne ed ossa e formati da questo pagano insegnamento osiamo ancora una volta dire: «Poiché io ti amo, o Eternità!».

7 responses to “Nietzsche – Stirner

  1. Se vai a vedere le altre recensioni, vedrai che quella di Cateno è tra le più brevi, o comunque nella media!

    Vabbè che su internet bisogna essere brevi e concisi…ma una recensione è pur sempre una recensione ;-)

    Ciao!
    Giovanni

  2. concordo con giofilo ma devo sottolineare la prolissità di cateno:scrivendo così tanto scoraggi il lettore!!!

  3. Lassali perderi Gio! Ahahah!
    Dai, scherzi a parte, filosofessa mi ha spiegato il motivo del suo commento. Motivo che non condivido assolutamente. Colgo l'occasione, pertanto, per invitare Filosofessa a esporre i suoi pensieri sul nostro forum!

  4. Io ho letto bene, credo i due autori, ma ho letto anche Emerson, e devo dire, tirando le somme, gli influssi provenienti da Emerson sono enormemente più grandi. Emerson è un filosofo del divenire come Nietzsche, anche se ha affermato, da precursore di Severino, "è immortale solo colui per il quale tutte le cose sono immortali".

  5. Caro cteno dimostri una conoscenza abbastanza vasta. Quanti hanni hai? …sono un po' invidioso… (contemplo tutti i libri che dovrei leggere ancora e mi sembra di guardar giù in basso come da un alto promontorio.)

    Leggevo l'atra sera "una stagione all'inferno" di rimbaud, pensavo che s'intona con le tematiche ed il pathos di questi autori e soprattutto del periodo. Che ne pensate?

    Un saluto a tutti,

    Alberto

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