Rimbaud

Fontana di Trevi, 2013.
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Il giusto bisogno di Rimbaud ce lo spiega Furgiuele nel suo libro su Rimbaud.

Dopo più di un secolo Rimbaud è ancora un mito. Gianpaolo Furgiuele – nel suo libro Rimbaud. Come difendere il mito (edito da Fontana di Trevi) – si chiede se il poeta ha esaudito le aspettative, o come lui stesso scrive a me, l’idea di una delle mie follie? Certamente ci ha lasciato un’eredità letteraria che non deve essere dilapidata in inutili interpretazioni mistificatorie, né sconquassata per dare sfogo ai bisogni esistenziali, fantastici e sentimentali delle nuove generazioni. Rimbaud è nato poeta, non lo è diventato; è contemporaneo sempreché ci sia la condizione di conservarne una certa memoria. L’attenzione e interesse alla sua vita sia parte dei critici e dei biografi, sia da parte dei lettori provoca una ridondanza non solo informativa ma anche ed essenzialmente di personificazione soggettiva del poeta con la conseguenza di creare ulteriore confusione e un morbus biographicus che stabilizza la tendenza ad accentrare lo studio sull’aspetto biografico tralasciando quello stilistico-poetico. Tra le tante biografie in cui tutto è il contrario di tutto si ricorda quella scritta da Paterne Berrichon (marito di Isabelle), in cui gli aneddoti sulla vita del poeta si susseguono in un crescendo che sa di manipolazione maldestra al solo fine di paragonarlo a Nerval, Hugo e Verlaine. Ancora, Berrichon costruisce il “suo” Rimbaud affibiandogli la resistenza fisica degli eroi greci a sostegno degli estenuanti viaggi compiuti in Europa e in Africa. G. Izambard, invece, nel suo Rimbaud tel que l’ai connu smonta le tesi di Barrichon e ci rivela testi e lettere inedite di Rimbaud. Tra l’altro dà per certo che Rimbaud non si sarebbe arruolato nei franchi tiratori della Rivoluzione (1871) e che il testo Coeur Suppliciè non sarebbe ispirato da un fatto di violenza sessuale realmente accaduto nella caserma Babilonia.

Questo è il lavoro di Furgiuele: compiuto sugli aspetti generali della vita di Rimbaud, mettendo ordine nelle vicissitudine del poeta con onestà intellettuale, con distacco e neutralità, evitando di cadere nella trappola di chi vuol dare a tutti i costi una risposta storiografica ai fatti. Rimbaud non è stato soltanto un passeggiatore di paesi e città; un negatore della propria felicità; giovane e bello ed eternamente ragazzo, così come è immortalato nella celebre foto di Carjat, posta come barriera del tempo. Il mito di Rimbaud risiede e inizia dalla foto di Carjat – sigillo della eterna giovinezza, immagine fin troppo abusata tant’è che Furgiuele espone il sospetto che la conseguenza del mito come icona vivente della giovinezza sia stato per troppo tempo sospinto dallo stupore e dal mistero scaturiti da un singolo ritratto. Non è un azzardo pensare che il ritratto di Carjat abbia negato la morte a Rimbaud, ingabbiandolo nel tempo eterno del mito lontano dall’idea del declino. Il poeta è sempre considerato un ragazzo, escludendogli la giusta maturità di un’esistenza che – seppure breve – ci dà comunque la testimonianza di una vita travagliata e al contempo vissuta e portata all’età di trentasette anni. Purtroppo non è così. Il mito si alimenta su quella eterna giovinezza e su tutti gli oggetti inutilizzabili oltre che anonimi – dichiara Furgiuele. Rimbaud è davvero l’autentico Dio della pubertà? (Breton); uno spirito del più alto rango, nel corpo di un fanciullo vizioso e terribile? (Rivière). Invero si deve tenere in considerazione l’eccessiva valorizzazione del poeta fondata su elementi non pertinenti la sua produzione (extraletterari) e l’interrogativo è d’obbligo: è così importante per certa critica utilizzare termini come Dio, spirito, vizioso, terribile, angelo, diavolo? – domanda Furgiuele.

Nel caso di Rimbaud il mito ha un significato per estensione di idealizzazione del personaggio, il quale assume – nella coscienza dei posteri e dei contemporanei – proporzioni quasi leggendarie ad uso anche improprio, esercitando un forte potere di attrazione e di simpatia incondizionata sul sentimento di coloro che ravvedrebbero in lui una estensione del loro io, che infine soddisferebbe tutto ciò che sarebbe irraggiungibile e potrebbe essere raggiunto con l’idoleggiamento del personaggio – in una sorta di fanatismo che eluderebbe ogni aspetto di verità. In tale contesto di devianza del mito, Furgiuele traccia e individua i dettagli dell’originalità poetica di Rimbaud, in linea con la definizione di mito che è parola, discorso, racconto, intercalando nell’analisi critica la narrazione veritiera della vita di Rimbaud, smontando ogni trucco biografico che a priori nel passato avrebbe intenzionalmente superato il semplice talento letterario. Rimbaud è un poeta che ha fatto della libertà non solo la condizione di uomo ma anche la base della sua versificazione – precisa Furgiuele: ha idealizzato l’indipendenza, la rivoluzione, ha reso autonoma la coscienza dell’uomo; aggiunge, che l’altra metà del mito è Verlaine, l’amante che abbandona la vita tranquilla per idealizzare insieme con Rimbaud un luogo altro, senza l’ombra di un Dio autoritario, dove tutto può accadere e ricominciare anche un’altra vita. Rimbaud, dunque, divide il mito con Verlaine, tanto da far progredire esponenzialmente la propria notorietà e successo, irrobustendo e accrescendo di meraviglie la loro storia straordinaria: attori di vita perduta nelle pieghe del destino che li macera e li distilla però in un condensato di benedetta maledizione.

Battere il chiodo del poète maudit nel XXI secolo non dà nessuna specificità all’arte poetica di Rimbaud, lo imprigiona nel pregiudizio, relegandolo in una condizione di schiavitù; non ha più senso nella società contemporanea continuare a crederlo un maledetto; oggi le sue sregolatezze sarebbero cose di poco conto; sono semmai servite a costruire di lui – così come indica Furgiuele – il suo “doppio”: comunista, omosessuale, rivoluzionario, anticlericale, esploratore. L’immaginazione collettiva ha tessuto elementi simbolici come la droga, l’omosessualità, la morte e il viaggio per innalzarlo prepotentemente come eroe della società, dimenticando il poeta e alimentando le più esagerate leggende. Eppure con una sequenza di immagini incoerenti, ha creato e cantato la città del futuro, superando tutti i tempi, sconvolgendo l’ordine spaziale in un continuo sfaldamento della realtà. Nel saggio di Furgiuele si legge: Se Rimbaud vivesse oggi, nel mondo globalizzato dalla comunicazione, forse avrebbe distolto la sua attenzione dalla poesia, forse non avrebbe scritto nulla e si sarebbe dedicato alle nuove forme d’arte, dove i deragliamento di tutti i sensi e la convergenza di tutte le forme avrebbe trovato più applicazione. In disaccordo, si ritiene invece che Rimbaud oggi rifarebbe tutto ciò che fece in vita: la sua modernità sta nel fatto di avere raggiunto la parola definitiva, conclusiva di una lingua inventata, in cui spinge il linguaggio al di là dei suoi limiti, in un luogo geografico infinito della lingua che ne determina il dosaggio e l’alchimia, alla ricerca dell’indicibile e del mistero. Rimbaud come Holderlin che in Sofocle aveva trovato la parola, dove nel tragico si nasconde la possibilità di dire l’indicibile di ciò che è più gioioso. Ed è appunto attraverso l’esperienza dell’inferno del dolore che lo porta alla sapienza, a diventare il Sapiente supremo. Ricordare il rango di veggente non è superfluo, come non è una novità il fatto che quest’idea risale ai Greci, ripresa dal platonismo rinascimentale, giunta a Rimbaud tramite Montaigne. Ma ciò che è realmente sbalorditivo è la svolta che Rimbaud conferisce al concetto di veggenza, fornendo risposte che non sono greche, anzi estremamente moderne.

Furgiuele rievoca Prometeo (colui che capisce prima), il trasgressore, il ribelle che ruba il fuoco a Efesto, per accostarlo a Rimbaud limitatamente nella pienezza del significato del mito; difatti la giovinezza, la scrittura, la ribellione sembrano essere motivi sufficienti per l’ambito paragone. L’immagine del poeta travestito da Prometeo acquista un volto di sacralità, che va difesa – appunto.
Rimbaud, come si difende un mito, il libro di Furgiuele oltre a una ragionata e piacevole biografia, rivendica la genialità del poeta operando una linea di confine tra ciò che effettivamente gli appartiene e deve essere onorato dalla critica e dal lettore, e ciò che invece è superfluo e tende a inficiare il godimento dei testi. Già perché Rimbaud va letto e riletto, annotato, immaginato per il giusto bisogno.

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