Söhne und Weltmacht

Piper, 2008
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Il testo1 dello studioso tedesco, la traduzione italiana del cui titolo può suonare “Figli e potere mondiale. Terrore nell’ascesa e nella decadenza delle nazioni”, pubblicato nel 2003, propone un’originale analisi dello scatenarsi di disordini sociali, guerre e terrorismo, individuandone la causa principale nell’evoluzione demografica dei singoli popoli e attribuendo per ciò stesso, nel contesto della genesi di tali fenomeni, un’importanza secondaria alla mancanza di risorse economiche e alle diverse ideologie politiche e religiose. Tale tesi, proprio in quanto riesce a giungere alla radice del problema, si rivela tanto radicale da suscitare stupore quando non indignazione nel lettore cui più caro è il primato dello spirito sui fattori biologici (e qui si ardisce di considerare all’interno della sfera spirituale perfino l’elemento economico). In particolare, l’elemento decisivo per il sorgere di violenze che possono manifestarsi all’interno come all’esterno dei confini di una nazione viene individuato nella presenza, in seno alla popolazione di un singolo paese, di un tasso percentuale pari almeno al 20% di giovani tra i 15 e i 24 anni (il che dà luogo ad uno youth bulge) o di un tasso percentuale corrispondente almeno al 30% di bambini con meno di 15 anni (situazione in cui si produce un children bulge). In entrambi i casi, come si può vedere, il fattore determinante è un eccesso di individui giovani, per l’appunto un rigonfiamento (bulge) della piramide demografica. In forza di questa tesi l’autore ridimensiona tanto l’efficacia esplicativa delle teorie malthusiane sulle crisi di popolamento, basate su un disequilibrio tra la quantità di mezzi di sussistenza e il numero degli abitanti di una determinata regione, quanto il valore di tutta l’ampia libellistica che vede nelle guerre americane da una parte e nel terrorismo islamico dall’altra il segno inequivocabile di uno scontro di civiltà tra culture reciprocamente incompatibili.

La linea argomentativa che sostiene questa innovativa ipotesi, che tra le pagine del testo tradisce il proprio debito nei confronti degli studi di Fuller2 e di Bouthoul3, procede talvolta in maniera non del tutto lineare, cedendo a divagazioni di cui peraltro qui non si vuole sottovalutare l’interesse visto che esse contribuiscono ad arricchire il saggio4, ma nel complesso la sua esposizione è chiara e non lascia spazio ad equivoci interpretativi. Inoltre, particolarmente apprezzabile risulta essere la prudenza dell’autore, il quale, per sfuggire alle prevedibili critiche che si muovono contro un modello esplicativo monocausale, precisa in più di un luogo della sua opera5 che l’ipotesi relativa allo youth bulge non vuole annullare il valore di tutte le altre spiegazioni della genesi di guerre e terrore6, bensì solo affermarne, nella maggior parte dei casi, la subalternità rispetto ad essa. Per questa via sembrano eccessive le critiche di sociologi come Klingholz7, i quali rilevano che paesi con una situazione demografica analoga a quella in cui si trovano le nazioni che promuovono il terrorismo non si trovano in una condizione di conflitto interno o esterno, mentre nazioni come gli Stati Uniti sono perennemente in guerra senza che il loro profilo demografico sia caratterizzato dallo youth bulge; Heinsohn afferma che dei 67 paesi con un eccesso di figli maschi ben 60 versano in situazioni conflittuali: quanto basta per dire legittimamente che egli non sia convinto di aver trovato una condizione necessaria e sufficiente. In tale contesto è da collocarsi anche la puntualizzazione dello studioso tedesco quando sottolinea che l’analisi demografica deve accompagnarsi allo studio dei doveri morali, delle limitazioni legislative e di tutte le altre pressioni che una società esercita per assicurarsi un’esistenza futura attraverso le nuove generazioni, pena il rischio di cadere in una unidimensionalità biologistica8.

Procedendo più dettagliatamente nella disamina del testo, l’idea che può forse maggiormente stupire il lettore è il tentativo di spiegare il terrorismo islamico attribuendo alla violenta ideologia che lo sostiene un ruolo marginale rispetto a quello rivestito dalla notevole percentuale di giovani maschi che nei paesi interessati dall’estremismo religioso, visto il loro numero esorbitante, non riescono a trovare adeguato sfogo alla propria ambizione sociale: «La religione offre una dose aggiuntiva di olio per un fuoco il cui combustibile originario non deriva da essa»9. L’origine dell’odierna violenza islamica come dell’aggressività espansionistica delle potenze coloniali europee che a partire dalla fine del quindicesimo secolo volsero alla conquista del mondo, senza dimenticare gli episodi di crisi interne che riguardarono sempre i paesi del Vecchio Continente e che furono rappresentati ad esempio dalle rivoluzioni inglesi del diciassettesimo secolo e dalle guerre sul territorio germanico di tutta l’età moderna, avrebbero un’analoga spiegazione: «Già laddove per parecchie generazioni due milioni di padri lasciano tre milioni di figli maschi sorgono delle difficoltà. Dove due milioni di padri ne mettono al mondo perfino sei o nove milioni la situazione diventa molto seria»10. A ciò, continua nell’argomentazione Heinsohn, occorre aggiungere una distinzione netta tra la morte per fame e la morte da eroi. I paesi origine di instabilità e violenza non sono tanto da individuare in quelli con una gioventù denutrita, bensì in quelli in cui i giovani sono almeno discretamente nutriti e perfino sufficientemente istruiti: «Il pane lo si mendica. Si uccide per lo status e il potere»11. Coerentemente con queste dichiarazioni, l’autore non teme di andare controcorrente e nemmeno di essere accusato di cinismo e chiarisce con coraggio che «quanto maggiore successo sarà conseguito dalla lotta contro la fame e l’analfabetismo tanto più i giovani uomini che mirano verso posizioni di rango elevato diventano bellicosi»12.

Da quanto fin qui detto apparirà giustificato il quadro geopolitico delineato dall’autore, che lungi dal considerare la Cina il pericolo maggiore per l’Occidente, con cui invece starebbe venendo a patti per una suddivisione delle sfere di influenza planetarie, addita nei paesi con uno numero assoluto di giovani inferiore a quello cinese ma con uno youth bulge ben superiore anche al 30%, quali la Striscia di Gaza, l’Afghanistan, lo Yemen, l’Arabia Saudita o il Pakistan, la sfida maggiore dei prossimi due decenni. Infatti, secondo le stime proposte dallo studioso tedesco, a partire dal 2020-25, la bomba demografica13 innescata dai paesi islamici e dell’Africa subsahariana dovrebbe cominciare a venire disinnescata, se così si può dire di una bomba che esploderà proprio nei prossimi anni; in altri termini, il mondo islamico, che nell’ultimo secolo ha moltiplicato di otto volte la propria popolazione, sarebbe destinato a seguire un destino analogo a quello vissuto dall’America latina, che – dopo una crescita demografica non di molto inferiore a quella dei paesi islamici e dopo le guerre e le violenze che ne sono derivate – si è avviata negli ultimi decenni ad un superamento dell’instabilità politica e sociale, portato di uno sgonfiamento dello youth bulge.

Il testo propone un numero notevole di altre interessanti considerazioni, tuttavia ci limiteremo qui ad accennare solo a quelle che abbiamo ritenuto più significative e perciò prendiamo le mosse da quanto detto dall’autore in merito all’improvvisa crescita demografica dell’Europa a partire dal quindicesimo secolo, la cui spiegazione viene individuata nello sterminio delle cosiddette streghe, da considerarsi le levatrici dell’epoca e le uniche in grado di esercitare un controllo delle nascite (che a dispetto dei luoghi comuni fu inequivocabilmente presente già prima dell’età moderna). L’incremento della percentuale di giovani sull’intera popolazione che ne derivò sarebbe stata la ragione principale dell’espansionismo coloniale delle potenze europee, ma ci sembra utile sottolineare che l’autore, coerentemente con l’assunto secondo cui il modello teorico dello youth bulge non esaurisce ogni spiegazione delle dinamiche di potenza, nel quarto capitolo del suo libro indica diffusamente nelle strutture di proprietà della nuova economia europea un elemento fondamentale della conquista europea del mondo. Su un diverso piano segnaliamo i frequenti riferimenti presenti nel testo al futuro quadro geopolitico globale, all’interno del quale Heinsohn vede ancora alcuni decenni di dominio per gli Usa, potenza che sta già attraversando una parabola discendente ma che anche grazie ad una maggiore dinamicità demografica rispetto alla sua sfidante più credibile, vale a dire la Cina, potrà ritardare per almeno un altro mezzo secolo l’abbandono della scena. Ciò che tuttavia, in questo contesto, suscita le nostre maggiori perplessità è il ruolo che l’autore attribuisce agli Stati Uniti nell’ambito della difesa delle democrazie e della stabilità internazionale. A nostro parere, troppa fiducia viene riposta nell’intelligenza dei fenomeni legati allo youth bulge da parte dell’amministrazione Bush, che, a detta di Heinsohn, avrebbe proceduto nell’impegno militare in Afghanistan e in Iraq seguendo i consigli degli strateghi dello youth bulge; mentre contemporaneamente viene rimproverato agli europei di ignorare, a rischio della loro stessa sicurezza, le dinamiche demografiche che invece detterebbero l’agenda politica d’oltreoceano. A riguardo lo studioso tedesco sembra trascurare i progetti economici di approvvigionamento energetico degli Americani.

11 responses to “Söhne und Weltmacht

  1. Avevo già letto una teoria simile riguardo alla Cina, paese che, nonostante il controllo dele nascite, si avvia verso una situazione particolare (e disastrosa): per merito o colpa del limite di un solo figlio, si ha oggi in Cina una forte prevalenza di giovani uomini a discapito di giovani donne; ora, tralasciando la questione degli infanticidi femminili (altra piaga non da poco), questi giovani uomini rimarranno senza moglie — immaginate le conseguenze. In altre parole sarà facilissimo arruolarli in situazioni in cui potranno dare fondo alle proprie energie corporee per le più disparate cause.

  2. Link interessante (dalla solita Wikipedia) sullo youth bulge.

    (A proposito, ho sempre pensato che la causa di molti mali — forse di tutti — sia la sovrappopolazione, ma non avevo mai riflettuto anche sul fattore dell'età dei suoi componenti. Interessante.)

  3. Tommy David, permettimi di sottolineare che ad ogni modo la Cina non ha niente a che vedere con lo youth bulge e ancora meno lo avrà in futuro: la sua percentuale di bambini sotto i quindici anni è pari al 24%. Forse non ho potuto spiegarlo bene nella recensione per ragioni di spazio, ma la Cina, in base alla tesi di Heinsohn, non costituisce il più serio pericolo per l'Occidente. Essa si sta occidentalizzando soprattutto nel campo economico e probabilmente, se dovessimo attenerci all'evoluzione delle dinamiche demografiche, gli Usa potrebbero tenerla dietro nella corsda al primato nella potenza mondiale ancora per un altro mezzo secolo anche grazie alla propria maggiore vitalità demografica. Quanto alla questione del figlio unico cinese, piuttosto la Cina avrà presto notevoli problemi per la questione del disequilibrio tra popolazione attiva e pensionati, proprio come li avranno i paesi occidentali. Giusto per dilungarmi ancora un po' e fornirvi qualche ulteriore informazione sul testo, sappiate che il paese messo peggio da questo punto di vista ci riguarda da vicino: si tratta della Romania, unica nazione al mondo con più pensionati che lavoratori. Naturalmente una cura per tutto questo ci sarebbe: le politiche di incentivazione al concepimento, oltre che, per i paesi più ricchi, una massiccia immigrazione di giovani del terzo mondo. Per farvi capire le proporzioni del problema, la Germania, vale a dire un paese con un tasso di natalità pressocchè uguale al nostro, avrebbe bisogno di 500000 immigrati all'anno fino al 2050 per compensare la scarsa natalità.

  4. Infatti citavo la Cina non come esempio di youth bulge, ma come caso di paese con forte squilibrio tra popolazione giovane maschile contro femminile. Mi sembra un problema da non sottovalutare.

  5. Io non sono un sociologo però credo che quella che in fin dei conti non è altro che una leggera prevalenza dei figli maschi sulle femmine non costituisca un problema molto grave. In fin dei conti nella maggior parte delle altre società si riscontra una leggera prevalenza di figlie femmine sui maschi e ciò non porta particolari problemi. Io non credo che se un uomo non ha chance di avere una moglie sia più facilmente arruolabile per una qualche causa violenta: potrebbero solo cambiare i costumi sociali e forse perfino venir meno in maniera più rapida la struttura patriarcale.

  6. Il problema è che, a quanto ne so, la prevalenza non è affatto "leggera", né dev'essere presa alla leggera.

    Ci sono molte fonti di "pericolo sociale". Per l'Italia una non indifferente mi sembra il crescente numero di disoccupati, specie laureati. Ma questo è un altro discorso.

  7. In effetti ho controllato quale è la differenza numerica tra donne e uomini in Cina e ho trovato dei dati discordanti: in diverse occasioni avevo letto che lo squilibrio era grosso modo quello presente negli altri paesi ma semplicemente invertito; ora ho letto invece che negli ultimi anni sembrano essere nati 120 maschi ogni 100 femmine, che credo sarebbe, come tu hai rilevato, un dato significativo. Io comunque rimango ottimista: di recente, soprattutto a livello provinciale, la legislazione in materia di concepimento è stata resa meno rigida e ad ogni modo continuo a vedere in questo squilibrio tra popolazione maschile e femminile la possibilità di una radicale trasformazioen delle strutture sociale in direzione di un'attenuazione dei vincoli patriarcali.

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