Soli eravamo

Ad Est dell'Equatore, 2014
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Apro il libro di Fabrizio Coscia, sfoglio le prime pagine e mi ritrovo davanti a un esergo: “Credo che non si possa più scrivere libri. Quasi tutti i libri sono note a piè pagina. Io scrivo solo note a piè pagina”. Questa frase di Roberto Bazlen mi persuade di trovarmi davanti a un “semplice” libro appartenente alla cosiddetta letteratura secondaria, ovvero quella letteratura che si traveste da esegesi di altra letteratura, perché dichiaratamente incapace di simularne i fasti. Beninteso, sicuramente interessante, poiché gli autori citati in copertina lo sono di per sé, e non fa mai male farseli raccontare da qualcuno che li ha studiati meglio di te.

Tuttavia, mentre leggo il libro, capisco che mi stavo sbagliato. Soli eravamo è qualcosa di diverso, una sorta di diario dell’autore (o di autobiografia frammentata), un ripercorrere alcuni succulenti aneddoti di grandi personaggi (scrittori, artisti, musicisti) rimembrando la sensazione personale provata in loro compagnia. Allora giro il libro e leggo la quarta di copertina, cosa che stranamente non avevo ancora fatto: “C’è stato un periodo in cui l’arte, la musica, la letteratura erano tutt’uno con la mia vita. Un periodo in cui riuscivo ad accalorarmi e perfino a litigare per un’opera d’arte; un periodo in cui anche la biografia degli artisti – spesso inquieta, tribolata, sofferta – mi sembrava capace di illuminare la mia esistenza di nuove intuizioni.” Ecco. Questo libro racconta dell’autore, ma anche di come l’arte, la musica e la letteratura possano entrare così a fondo nell’animo umano e prenderne il posto.

Dunque, proseguo la lettura e mi imbatto nella scelte di Tolstoj e Rimbaud di andarsene, fuggire, cambiare vita, reincarnate in un ventenne ammiratore di Henry Miller che per imitarlo lascia tutto alla volta di Parigi; in un commovente racconto di Joyce riapparso nella vita reale di un uomo che dopo tanti anni dalla lettura di quel racconto si ritrova sotto la pioggia e la finestra dell’amata, proprio come il protagonista; in un convegno su Leopardi in cui quello stesso uomo sostiene, in uno slancio entusiastico non compreso dai presenti, d’aver scoperto, prove filologiche alla mano, che il romanzo Ginevra o l’orfana della Nunziata di Antonio Ranieri era in realtà stato dettato dall’amico Giacomo; e così via in un costante intreccio di narrazioni su diversi piani, tra biografie di autori e autobiografia dell’autore dell’opera.

Questo intreccio di biografie e autobiografia non toglie nulla alla veridicità delle vicende narrate – quando le tesi e le fantasie sono dell’autore è espressamente dichiarato, e tuttavia sono proprio queste che ci aiutano a cambiare prospettiva, a guardare questi mostri sacri con occhi più umani. Il lettore non si deve scoraggiare: anche non conoscendo Fabrizio Coscia, e non avendo un motivo per conoscere i suoi sentimenti, Soli eravamo (il cui sottotitolo completo suona: e altre storie su Rimbaud, Kafka, Joyce, Leopardi, Proust, Dante, Woolf, Hopper, Tolstoj, Caravaggio, Keats, Evans, Vermeer, Radiohead, Mozart) risulta un libro molto piacevole e istruttivo – perché gli aneddoti riportati sono spesso poco conosciuti –, da leggersi sia come romanzo che come saggio vero e proprio.

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