Vivere al ritmo della radicalità nella storia

Bibliosofica, Roma 2015
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Alla casa editrice Bibliosofica dobbiamo riconoscere quantomeno l’onore al merito. A differenza di altre editrici, i libri che pubblica sono sinceri, senza fronzoli, spinti in una direzione squisitamente filosofica. Ne è prova questo Vivere al ritmo della radicalità nella storia (come pure l’avere tradotto la biografia di Stirner scritta da Mackay; mentre da questo punto di vista è un passo falso quel L’abbraccio della vita, così imbarcato d’accademici noiosi). Perché nei testi che pubblica si ricerca il concetto, senza dogmatismi e apparati di note bibliografiche sconfortanti, che del dogmatismo sono sempre propaggine. Il dogmatismo peggiore è quello della citazione compulsiva. E dunque per questo possiamo definire l’accademia come il dogmatismo della citazione. Se la citazione viene presa sul serio – dogmaticamente, appunto –, non è da prendere sul serio chi cita. Farse accademiche. Citare è scherzo. In fondo il dogma è di cattivo gusto, mentre la filosofia – che è scrittura – è il bello stile, è estetica espressa in concetti e figure. Il bello stile c’è quando c’è il concetto.

Partiamo dunque dal peggio di questo libro: non sempre vi troviamo il bello stile. Giovanni Feliciani è il fondatore e direttore di Bibliosofica. Questo suo Vivere al ritmo della radicalità nella storia vuole essere una summa di tutta la sua esperienza di vita e di letture. È strano, di questo libro ho condiviso quasi tutti i pensieri dell’autore, sono d’accordo con lui pressoché su ogni cosa. Eppure è un libro che mi ha lasciato perplesso. Non perché non valga la pena leggerlo, non perché sia scadente: tutt’altro. Lo consiglierei come introduzione all’anarchia esistenziale. È che sono combattuto. Questo libro ha tanti difetti, e l’autore mi perdonerà per la mia spudoratezza, perché un testo scritto è qualcosa di morto, sempre, e quindi se ne dovrebbe parlare solo bene, o non parlarne affatto, specie se il “morto” è ancora caldo. E invece, in barba alla prassi contemporanea, posso anche parlare male di un libro: è ripetitivo, a volte contraddittorio, con passaggi banali o talvolta presuntuosi (su tutti: «Io sono una bomba!», pag. 11; andiamo!, se non è del tutto deflagrata la dinamite nietzscheana…). Soprattutto è prolisso. Avrebbe potuto essere lungo la metà. Eppure…

V’è in questo libro la schiettezza che me lo fa voler bene. C’è la vita di un uomo che ha vissuto di pensiero. Vi sono frasi e passaggi che testimoniano una sincerità assoluta nell’approccio filosofico e nella vita di tutti i giorni. Si respira l’aria più salubre per un filosofo: la libertà assoluta, la sottrazione a ogni tipo di gerarchia e sottomissione, sia essa politica, religiosa, sociale. I numi tutelari di questo scritto sono ovviamente Stirner e Nietzsche. Sulla loro scorta, da una parte Feliciani si schiera con quelli che in una parola possiamo definire “fuoriusciti”: «Sono uno di voi, vagabondi senza nome» (pag. 25) e critica qualsivoglia apparato di potere; dall’altra v’è una volontà di affermazione con accenti superomistici: «Affermare sé stessi, i propri sogni e desideri, al di là di tutti i condizionamenti che tendono a sottomettere gli individui» (pag. 153).

Potremmo definire la visione di Feliciani come utopismo universalistico e rivoluzionarismo esistenziale. Le componenti del suo pensiero sono prettamente anarchiche e non violente. Addirittura arriva a sostenere che «vanno raggiunte le tre “A”: Amore, Armonia, Anarchia» (pag. 280).

La prospettiva di Feliciani approda a una società in cui tutti saranno liberi da “capi”, schiavitù, sottomissioni. V’è un ottimismo di fondo nella sua concezione, che tuttavia non mi sento di accettare. La radicalità a cui si cenna nel titolo significa immergersi totalmente nella storia per esaurire le possibilità offerte fino in fondo, per consumarle tutte, per accedere a un “oltre” in cui al di là della storia stessa e delle sue condizioni contingenti si possa dispiegare assolutamente l’individualità: «Il fascino della Storia è il fatto che essa perennemente continua, e il nostro viaggio è teso a disvelarla. […][…] L’unico “senso” possibile della Storia è quello del perpetuo movimento, rinnovamento, cambiamento, miglioramento, sulla spinta del profondo desiderio dell’umanità, di tutti gli individui, di vivere sempre meglio nel mondo, di cercare la felicità, la pace, l’armonia» (pag. 470). Oppure, nelle battute finali: «Per capire “me”, occorre andare oltre gli orizzonti della Storia. Io ho fatto il mio compito. Sta ad altri proseguire il mio cammino, ad altri il dovere di continuare» (pag. 473).

Questo è un libro sofferto, per questo parla un linguaggio veritiero. È vero, a volte ciò non basta, perché la verità deve andare a braccetto con l’estetica; e non sempre, lungo le fitte pagine di questo scritto, l’estetica, la forma, l’impalcatura sono impeccabiIi. Ma tanto basti: un uomo ha messo a nudo i propri pensieri, rivestendone la carta. Tanto di buono, tanto di male. Prendiamone atto, grati dell’onestà, a cui abbiamo cercato di rispondere in maniera critica ma altrettanto onesta.

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