Sitosophia

Magia – Matrix – Imaginatio

In una scena chiave del film Matrix (1999) Morpheus, l’iniziato a capo dei ribelli, offre a Neo, l’iniziando da lui ritenuto l’“eletto”, la possibilità di scegliere tra due pillole, quindi commenta questa azione con le seguenti parole: «Prendi la pillola blu e rimarrai prigioniero della matrice; ti risveglierai a casa nel tuo letto e continuerai a vivere come se non fosse accaduto nulla. Prendi la pillola rossa e rimarrai nel paese delle meraviglie; io ti condurrò nelle più abissali profondità della matrice». Jean Baudrillard, il Morpheus della scena teorica, ha offerto al proprio pubblico la pillola rossa, e non pochi l’hanno ingoiata. Da quel momento in poi essi erano iniziati, erano gnostici in un mondo preda di un’illusione universale, che in Baudrillard viene designato con la parola magica “simulazione”. La simulazione è la cifra di un’epoca profondamente sconvolta e di un mondo che si trova nel metafisico status corruptionis. Tutto sembra ancora come prima e tuttavia qualcosa è completamente cambiato. In maniera inavvertibile la politica, la storia, la natura, l’uomo e la realtà stessa sono passati a un’altra condizione di aggregazione: in un momento che dal punto di vista storico non si può determinare esattamente, essi sono diventati identici ai propri modelli e alle proprie idee e hanno così perduto l’essenza da cui erano caratterizzati in passato1.

La matrice è ovunque, la sua traccia pervade tutto; così lo sbigottito Neo deve farsi illuminare da Morpheus. Il mondo in cui viviamo è una gigantesca simulazione messa in scena da perfide macchine allo scopo di asservire le menti degli uomini, che sono ignari di tutto. Dal punto di vista di Baudrillard è però importante ricordare che nel mondo della simulazione questo aspetto tecnico è assolutamente secondario. Non è la tecnica a produrre la virtualizzazione, ma è soprattutto grazie al fatto che noi siamo già virtualizzati che la tecnica corrispondente può svilupparsi e prendere piede. Su questo punto Baudrillard seguiva Heidegger, che aveva insistito con forza sul fatto che l’essenza stessa della tecnica non sarebbe niente di tecnico. Se vogliamo dare credito al concetto heideggeriano di storia dell’essere – all’interno di essa la tecnica è il modo tipico della modernità in cui l’essere viene “rivelato” – allora la simulazione deve essere considerata come la sua condizione più attuale. E dove avviene oggi, infatti, qualcosa come la “Lichtung dell’essere” se non nello sfarfallio dei monitor dei computer che si ripete milioni di volte su scala mondiale?

A differenza di Morpheus, Baudrillard non era più un ribelle classico che credeva ancora nella forza sovversiva delle idee e delle azioni e che riteneva possibile la modificabilità del “sistema”, ossia della “matrice”. L’habitus integralmente messianico dell’attesa di un “eletto” che salverà il mondo gli era già completamente lontano perché per lui l’apocalisse ha già avuto luogo. Il mondo è già andato in rovina, la cosa più terribile è già accaduta – solo che (quasi) nessuno se ne è accorto. Stando allo stesso Baudrillard, la sua “strategia fatale” era in certo qual modo virale: inserire simulazioni teoriche nel mondo della simulazione per produrre almeno un equilibrio nella complessità per mezzo di questo adattamento del pensiero a ciò che deve essere pensato, quantomeno, se le sue regole non possono essere oramai cambiate, partecipare al gioco in maniera intelligente. Soltanto la lusinghiera condizione di iniziato che ha capito tutto, mentre il resto del mondo rimane confuso in un sonno profondo, risarcisce lui e i suoi seguaci dell’impossibilità di principio di cambiare la minima cosa nella compiutezza del male del mondo.

Come già accennato, l’archetipo dello gnosticismo è caratterizzato da questa forma di sapere segreto in grado di capire a fondo – tuttavia in una variante specificamente moderna. Mentre infatti nello gnosticismo antico l’orrore senza limite per il mondo caduto preda delle forze demoniche degli arconti veniva più che compensato dal giubilo sconfinato per il dio della luce che si trova nell’aldilà e da cui si sapeva di essere chiamati e salvati, il cupo gnosticismo di Baudrillard manca di un siffatto principio salvifico. La simulazione è assoluta, non ha più luogo una dialettica tra l’essere e l’apparenza, piuttosto è l’essere stesso ad aver assunto il carattere dell’apparenza. La simulazione non è affatto irreale, bensì iperreale, per esprimerci con la terminologia di Baudrillard, – originata non dalla distruzione, ma dall’eccedere del principio di realtà. Un ritorno a questo è perciò precluso in partenza; gli elementi che si possono sempre presentare come contropotere rispetto alla simulazione – il pensiero critico, la politica rivoluzionaria, le tradizioni religiose – sono agenti della matrice e nient’altro che questo. Con ciò forse Baudrillard ha incarnato lo gnosticismo latente della postmodernità in una maniera tanto radicale come nessun altro teorico, e ogni serio tentativo inteso al superamento della condizione definita “postmoderna” dovrà essere portato a termine illuminando il suo cupo gnosticismo2.

Quando Neo sta già per allungare la mano verso la pillola rossa, Morpheus dice: «Rifletti: tutto quello che ho da offrirti non è che la verità». Non è per niente ovvio il fatto che, malgrado una breve esitazione, Neo inghiotta la pillola rossa. Infatti sorge spontanea la domanda su quale vantaggio dovesse esserci nel divenire partecipi di una siffatta verità, che è sconfortante [trost-losen] nel senso più vero del termine? Essa non è troppo terribile per pretendere che gli uomini l’accolgano? Non sarebbe molto meglio persistere nell’ignoranza, tanto più che il sapere non indica alcun tipo di via d’uscita dalla fatalità della simulazione? In effetti Cypher, uno dei ribelli della squadra di Morpheus, giunge proprio a questa conclusione e denuncia i propri compagni agli agenti della matrice affinché essa in compenso lo riprogrammi facendogli perdere l’insopportabile capacità di vedere chiaramente la realtà ed egli possa fare ritorno alla vita illusoria ma spensierata della matrice. Seguendo integralmente lo stile hollywoodiano, questa figura è descritta come una persona poco simpatica e ambigua, non dovremmo tuttavia rifiutarle la nostra comprensione. Chi potrebbe negare sinceramente che la propria volontà di illusione [Wille zur Selbsttäuschung], tipica di Cypher, non gli sia “innanzitutto e per lo più” molto più affine dell’incondizionata ricerca della verità da cui è caratterizzato l’eroico superuomo [Übermensch] Neo?

Il primo che si chiese in maniera esistenziale “a che scopo la verità?” fu Friedrich Nietzsche – a suo modo un vero “eletto”, avendo sofferto in maniera esemplare la Conditio moderna. Nei filosofi metafisici fino ad allora predominanti, quando davano per ovvio che “la verità” e la “volontà di verità” erano i valori supremi, Nietzsche constatava una singolare mescolanza di ingenuità e disonestà. Infatti, in prima istanza essi non si sono mai chiesti se l’apparenza e l’illusione non fossero preferibili alla verità e in seconda istanza – cosa più importante – per mezzo di argomenti eleganti ma costruiti a posteriori, si sono preparati sempre una “verità” che scaturiva più da un loro intimo desiderio che non da un’incondizionata onestà3. Quest’ultima li avrebbe condotti – e per lo meno ha condotto Nietzsche – sulla via di una “terribile verità” che non ha più assolutamente niente a che fare con il “Vero, Bello, Buono” della metafisica e le sue forme decadenti che caratterizzano l’educazione borghese. Chi viene a contatto anche soltanto da lontano con questa “terribile verità” al contempo arcaica e moderna, che in Nietzsche si trova nel segno dell’abisso dionisiaco, viene a conoscere subito e direttamente la forza salutare della menzogna e dell’apparenza – dell’apollineo, come suona il terminus technicus di Nietzsche4. Qui, nel giovane Nietzsche, incontriamo la teoria della simulazione per così dire al suo livello romantico; nondimeno Nietzsche ha già una coscienza acutamente sviluppata per la profonda ambivalenza del mondo dell’illusione che anche la riflessione contemporanea sulla simulazione non dovrebbe perdere di vista.

In Matrix, la versione pop di Baudrillard, dietro alla bella apparenza del mondo della simulazione non si nasconde più il dolore dionisiaco originario che minaccia di distruggere l’individuo, bensì il “deserto del reale”, che è molto concreto e assolutamente materiale, e in cui Morpheus dà infatti anche letteralmente il benvenuto al nuovo iniziato Neo. Il film prende questa citazione di Baudrillard in maniera grossolanamente non metaforica e la raffigura sullo sfondo con i profili devastati di una grande città, che, come l’intero pianeta Terra, dopo che gli uomini hanno perso la battaglia finale contro le macchine, si trova in rovina. Appare evidente che questo è un platonismo rovesciato in cui non si tratta più di svegliarsi uscendo dalla caverna terrena per giungere al mondo delle idee, ma uscendo da quest’ultimo, che ora si chiama “simulazione”, per giungere alla “realtà” terrena. Del resto, in un’intervista, Baudrillard ha criticato aspramente questa separazione netta e priva di ironia tra reale e virtuale presente in Matrix e vi ha contrapposto l’indistinguibilità di principio tra i due poli. Egli pensa che Matrix sarebbe per così dire un film sulla matrice che avrebbe potuto essere prodotto dalla matrice stessa – ovviamente per trarre in inganno i suoi abitanti in una maniera particolarmente raffinata5. Così facendo, però, non soltanto non prende in considerazione il fatto che alla fine del film le macchine supposte come reali si dissolvono come illusioni e che in questo modo, tuttavia, si realizza un incrocio tra realtà e virtualità6, ma ci si deve anche chiedere innanzitutto se la filosofia di Baudrillard – e precisamente giudicandola secondo l’idea che ha di sé che abbiamo esposto sopra – non sia allo stesso modo una teoria sulla matrice che avrebbe potuto essere prodotta dalla matrice. Pardon, che da essa è stata prodotta

Per comprendere in che senso anche la teoria della simulazione di Baudrillard è ancora un prodotto della metamorfosi che investe la formazione di base dello spirito occidentale chiamata “platonismo”, dobbiamo tornare ancora una volta a Nietzsche e precisamente al suo celebre brano Come il “mondo vero” finì per diventare favola. Storia di un errore7. Questo breve testo offre nientemeno che la genealogia della storia della verità relativa alla teoria della simulazione. In appena due pagine di libro, con un countdown caratterizzato da sei stadi, Nietzsche descrive il graduale disvelamento del cielo platonico delle idee come “mondo metafisico che sta dietro il mondo” [metaphysische Hinterwelt]: Platone – Cristianesimo – Kant – Positivismo – Libero pensiero – Zarathustra (come maschera del pensiero personale di Nietzsche). In ognuno di questi stadi, l’idea platonica, cioè il supposto “mondo vero”, viene messa sempre un po’ più in dubbio, finendo per essere liquidata completamente una volta diventata superflua e inutile. Alla fine Nietzsche chiede quale mondo sia ora rimasto, «forse quello apparente?». E si dà da solo la risposta: «Ma no! Con il mondo vero abbiamo liquidato anche quello apparente8. Quello moderno, l’unico mondo rimasto, è quindi il risultato di un’implosione di essere e apparire, di verità e “favola” – questa è esattamente la stessa diagnosi formulata circa cento anni dopo da Baudrillard con il nome di “simulazione”.

Ma, insomma, a che cosa si deve il fatto che il countdown nietzscheano relativo alla storia della verità – al quale in seguito si atterrà la storia dell’essere heideggeriana – sia animato da una disposizione di spirito euforica e quasi maniacale che dilegua ogni dubbio circa il carattere di liberazione del processo, mentre Baudrillard espone le proprie analisi ostentando un’imperturbabilità da alcuni ritenuta cinismo, in cui però il fiuto più sensibile non può disconoscere una “dissimulazione” della profonda delusione e rassegnazione? La responsabilità di ciò va attribuita a una profonda ironia della storia dell’essere, che si potrebbe chiamare “la vendetta della favola” e che è consistita in un ritorno del rimosso, o meglio, in un contraccolpo dato da ciò che è stato combattuto, cioè il “mondo metafisico che sta dietro il mondo”, verificatosi nei circa cento anni che hanno separato Nietzsche da Baudrillard. Ben lungi dall’essere state veramente liquidate, le rovine della sfera metafisica divenute senza luogo e senza patria aleggiavano attorno al globo terrestre che si librava ormai nello spazio vuoto, contaminavano gradualmente la sua “realtà” e la trasformavano in virtualità, in simulazione9. Lo stesso impulso storico-ontologico che aveva privato di forza il metafisico cielo delle idee e lo aveva “reso una favola” continuava a lavorare alla realtà rimasta e la spingeva al di là di se stessa nell’iperreale, ossia nella simulazione. Questa continuazione della storia della verità potrebbe essere intitolata Come la favola finì per diventare mondo vero – ora entrambi i termini, però, sarebbero intesi in modo diverso.

Come a dispetto del pathos nietzscheano, che di fronte al dio morto della metafisica aveva gioito pronunciando queste parole: «Il nostro mare è di nuovo aperto, forse non vi è ancora mai stato un ‘mare’ così ‘aperto’»10, nel mondo della simulazione pensato da Baudrillard domina un’atmosfera claustrofobica che deriva dalla compiutezza di principio dei suoi orizzonti, dalla sostanziale limitatezza di ogni spazio di manovra. Si nota “l’artificiale” e ci si sente a disagio. Il mondo simulato è caratterizzato da una clôture totalitaria in cui non è compresa soltanto la dimensione spaziale dell’essere ma anche quella temporale. «Credi che sia il 1999, in realtà siamo più vicini al 2199» dice Morpheus a Neo «ma nessuno sa in maniera assolutamente precisa in che anno siamo». Quello della simulazione è un mondo costitutivamente post-storico; il che va inteso nel senso radicale secondo cui perfino le nostre tradizioni e tutte le testimonianze del passato non hanno nient’altro che un carattere di simulazione. Detto chiaramente: una piramide in Egitto non è neppure un po’ “più reale” della sua riproduzione a Las Vegas. Il paradosso secondo cui con ciò anche la storia dell’essere, che ha prodotto la condizione della simulazione, ex post risulta simulata e secondo cui dunque ora la fine esclude logicamente l’inizio, il paradosso secondo cui – in altre parole – la simulazione si è sempre data da sola la zappa sui piedi, sarà ritenuto inaccettabile solo da chi si rifiuta di comprendere che con la buona vecchia realtà sono state sospese anche le sue leggi logiche.

Se si osserva in maniera più precisa in che cosa consiste propriamente il contributo esplicativo di Baudrillard, si scoprirà che è difficile poterlo distinguere dall’opera di allettamento esercitata sullo spirito per farlo entrare nella stanza degli specchi della simulazione e perfino dalla produzione di questo ambiente. È evidente che la teoria di Baudrillard è quella stessa malattia per la cui terapia essa nemmeno più si spaccia. Essa non descrive la simulazione soltanto come un immaginario gonfiato fino a divenire assoluto, che nella sua incapacità di distinguere interno ed esterno somiglia molto a un sistema psicotico delirante, ma, mentre gliene spiega la logica, inizia il lettore in maniera sempre più profonda a questo sistema delirante. Se quella heideggeriana è una teoria della chiamata – all’autenticità e alla decisione – quella di Baudrillard è una teoria della seduzione. Il passaggio dal discorso della verità a un discorso della seduzione ha luogo nel momento in cui si passa dall’argomentare al contagiare. Baudrillard fa vedere che chi vuole parlare della simulazione in modo convincente deve farsi suo complice in maniera performativa – e persuasiva. E poiché questo è stato capito così bene da loro, i sedotti e i contagiati non hanno alcun rancore verso il loro seduttore, ma anzi lo celebrano come maestro e illuminatore. Il guadagno di libertà sentito soggettivamente che ogni atto conoscitivo porta eo ipso con sé, fa sì che, quando gli viene chiesto se voglia tornare alla beata ignoranza della matrice, malgrado tutto anche Neo risponda di no.

Chi si è fatto contagiare abbastanza da Baudrillard – e nessuno che voglia pensare al passo coi tempi può risparmiarsi questo esperimento su se stessi – dovrà unirsi al lamento della scimmia prigioniera in Una relazione per un’accademia di Kafka: «Ma in tutto ciò un solo sentimento: nessuna via d’uscita»11. Quando è apparsa una via d’uscita che rispetto alle aporie della simulazione non rappresentava una perdita di riflessione e di complessità, la crisi intellettuale causata necessariamente dal contagio teorico di Baudrillard ha preso una svolta produttiva. Aggiungiamo che questo equivale alla chiarificazione richiesta sopra del cupo gnosticismo di Baudrillard e che quindi può riuscire soltanto chiarendolo, traducendolo e contestualizzandolo in un altro modo e non semplicemente negandolo. Dietmar Kamper, il cui grado di contagio era tanto avanzato da essere stato anche nominato “il Baudrillard tedesco”, in un saggio del 1989 dal titolo Simulation und Differenzdenken credeva di poter almeno accennare a una simile via d’uscita. Grazie al fatto che incessantemente le immagini vengono contrassegnate come immagini e le simulazioni come simulazioni, così sostiene Kamper, il loro dominio totalitario verrebbe interrotto e l’altro della simulazione entrerebbe di nuovo nella coscienza almeno come parte mancante12. Egli considerava il corpo umano, la cui materialità e sensibilità non possono mai essere eliminate del tutto dall’astrazione disincarnata delle tecniche simulative, il garante della forza di resistenza del reale. In altri termini: è vero che non possiamo uscire dall’illusione, ma tutto “dipenderebbe” dal prendere coscienza di essa, e a questo scopo il corpo ci aiuta come ultimo ancoraggio al reale.

La morte dell’uomo Jean Baudrillard (non quella dell’autore) il 6 marzo del 2007 conferisce particolare importanza al richiamo verso la resistenza della realtà che caratterizza il corpo biologico. Ma Kamper mette in gioco ancora un’altra idea che ha il potenziale per essere sviluppata nel “luminoso gnosticismo della simulazione” che si cercava: dietro la simulazione distrutta dal pensiero della differenza, così dice, non vengono alla luce la verità o la realtà, bensì la remota “matrice magica” (!) del rapporto degli uomini col mondo che si baserebbe sulla mimesi come “autoinganno consapevole”13. Quando poi traduce “mimesi” con “anticipazione mimetica” [Vor-Ahmung] (in luogo di “imitazione” [Nachahmung]), Kamper ricorre al filosofo della cultura e della religione Leopold Ziegler (1881-1958), che con la parola “Ahmung”* aveva inteso la magia rituale in forza della quale l’uomo primitivo crea poieticamente il proprio universo magico14. Anche l’espressione “matrice magica” risale a Ziegler, in cui suona “magia-matrix-imaginatio” e dopo la teosofia di Jakob Böhme designa il “desiderio presente nella divinità” che conduce al traboccare di questa e per mezzo di ciò alla creazione del mondo – al di là dello stadio intermedio degli archetipi immaginati. In questo teologumeno Ziegler riconosce una traccia della coscienza magica arcaica iscritta nel discorso della metafisica15. Se dunque la creazione è già una simulazione di Dio, questi da parte sua è la forza imitativa e simulativa dello spirito umano che viene ipostatizzata e proiettata in cielo.

Se nel titolo del film “Matrix” riconosciamo a buon diritto un cenno filosofico, che cosa significa che la “matrice magica” preistorica riaffiora nella post-storia – cioè oggi? Ovviamente allora le circostanze di fatto della simulazione non costituiscono una novità, ma soltanto il caso particolare di quell’antichissimo gioco dell’illusione in forza del quale, nel corso di differenti stadi storici di trasformazione, la facoltà immaginativa dell’uomo costruisce e crea il mondo. La simulazione è inoltre solo la forma assunta per mezzo di questa facoltà dalla costruzione del mondo mimetico-poietica nell’ambito della civilizzazione [Zivilisation] post-metafisica e tecnica. Ciò comporta un radicale mutamento di prospettiva: ora non è il mondo simulato ad apparire come un allontanamento (più o meno perverso) dal corso normale delle cose, ma è quell’epoca in cui “realtà oggettiva” e “storia lineare” erano ritenuti dogmi incontestabili a rivelarsi il grande stato d’eccezione. In presenza di uno spazio storico molto più profondo e non lineare dobbiamo dunque contestualizzare in modo nuovo anche la nostra summenzionata derivazione della simulazione compiuta secondo il punto di vista della storia della verità, di modo che adesso appaia come un movimento circolare o spiraliforme che per vie traverse riabilita a un livello più alto la finzione e l’apparenza al di sopra della “verità” e dell’“essere”. Sebbene la (ri)scoperta della simulazione, considerata così, equivalga a una normalizzazione, è facilmente comprensibile il fatto che dapprima essa doveva presentarsi sotto forma di teorie apocalittiche della catastrofe e suscitare in modo conforme una difesa disperata o rassegnazione. È troppo traumatica l’oscillazione metafisica del “terreno della realtà” a cui ci si era abituati da troppo tempo.

Nella scena conclusiva di Matrix incontriamo un Neo che ha compreso le leggi della matrice e ne dà prova con un audace volo nell’aria simulata. Per quanto all’interno della matrice, egli non è più suo schiavo, bensì suo sovrano dominatore. Dal punto di vista di Baudrillard ciò può naturalmente costituire solo una libertà apparente permessa astutamente dalla matrice per mascherare nel modo più sicuro i veri rapporti di potere. Non dovremmo però lasciarci disorientare da questo e perciò non dovremmo disprezzare l’obiettivo di conseguire la capacità di navigare all’interno del mondo simulato. Al riguardo lo stesso Baudrillard ha compiuto un importante lavoro preparatorio, soprattutto nei punti della sua opera in cui accenna alla possibilità di una “liberazione all’interno della simulazione”, anzi a una liberazione per mezzo di essa. Se egli sottolineava sempre con un’alzata di spalle post-apocalittica che il dato di fatto della simulazione non era poi spiacevole ma in certo qual modo collocato al di là del bene e del male, tuttavia, di fronte a ciò che prima era detestato, tale neutralità perde lo strano sapore dell’accordo cinico con l’esistente soltanto quando viene integrata e sostenuta da un’effettiva trasformazione di quest’ultimo grazie alla comprensione dei segreti del suo funzionamento. Oggi la facoltà immaginativa dell’uomo si trova dinanzi al compito di riguadagnare una posizione alla pari con quelle tecniche della simulazione in cui ha messo al sicuro la sua capacità mimetica e imitativa. Qui il fatto che questo significherebbe porre accanto all’iperraltà esterna le iperimmagini interne corrispondenti che si sarebbero sviluppate ermeneuticamente a partire da essa può essere soltanto accennato16. Con i paradossali spostamenti di carte e il translogico gioco di riflessi della sua teoria Jean Baudrillard si è assicurato un posto negli archivi culturali come ostetrico di questa nuova antica coscienza.

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