Desiderio senza speranza

Tratto da Adelphi, Milano 2003, pagg. 72-74
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Rico. La senti la voce della società? È come un ronzio colossale — ma se porgi l’orecchio a seguir i singoli suoni, udirai voci d’impazienza, d’eccitamento, voci di gaudenti senza gioia, di comando senza forza, di bestemmia senza scopo. E se li guardi negli occhi, vedrai in tutti, nel lieto e nel triste, nel ricco e nel povero — lo spavento e l’ansia della bestia perseguitata. Guarda come tutti s’affrettano s’incontrano s’urtano, commerciano. Sembra che ognuno vada a qualche cosa. Ma dove vanno e che vogliono? E perché si difendono così l’uno dall’altro e si combattono?
La senti come cigola la macchina in tutte le commessure? — Ma non temere — non si sfascia — è questo il suo modo d’essere — e non c’è mutamento per questa nebbia, — poiché la sua vita è il piccolo e continuo mutamento d’ogni atomo.

Nino. Ma come rompere questa nebbia maledetta? Perché dare agli uomini questo desiderio senza speranza, questa fame che non si può soddisfare?

Rico. Perché? Non io lo so — né vale chiederlo — e male è certo ad ognuno l’esser nato. Ma se via c’è che possa in qualche modo liberarci dalla nebbia, è quella che c’insegna a non chiedere ciò che non può esser dato. Di due invitati a un pasto è quello il meno misero che avendo riconosciuto subito che tutti i piatti imbanditi sono immangiabili, non ne assaggia alcuno — mentre l’altro che tutti li assaggia e tutti è costretto a risputare, vive per sempre in pena per quelli che ancora non ha assaggiati, perché altri non lo privi della sua parte d’inganno, e per la tema di non doversene andare — e si dispera infine quando è cacciato dal banchetto disgustoso.

Nino. Meglio vale allora levarsi per tempo e per propria volontà da un tale banchetto.

Rico. E mi no giogo più! vero? Se non mi fate fare il re — non gioco più — mentre tutta la tua persona non vuole che giocare.

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