«La filosofia è il sogno della pace»

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Jean-Michel Palmier: Nella prefazione a Histoire de la philosophie, lei dice che la «filosofia forse sta morendo sotto i nostri occhi»1. A quale morte si riferisce? Pensa, come Hegel, che si possa conchiudere in un sistema, o, come Heidegger, che si ritragga dalla realtà storico-mondiale presente?

Brice Parain: La filosofia non ha meritato di morire. La mia prefazione serve a indicare per quale via può provare a rinascere.

JMP: Qual è questa via?

BP: Oggi i promotori delle scienze umane […] vorrebbero farci credere che nessuno abbia cominciato a pensare prima di loro. La pretesa è falsa, le conseguenze disastrose. Quanto ho letto finora non mi consente di pensare che in tale movimento ci sia una scoperta tanto importante che possa dar luogo a un cominciamento. La novità è la morte di Dio e l’emancipazione dello spirito dall’autorità clericale. Ma questo non basta a creare un mondo nuovo. La rivoluzione russa ha tentanto anche di fondare un mondo nuovo. È stato un avvenimento straordinario, di cui sono stato contemporaneo: avevo vent’anni nel 1917. Ci ho creduto. La Russia ha voluto divenire una grande potenza industriale e ci è riuscita. Non credo che ci si possa sottrarre oggigiorno alla civilizzazione industriale e alla crisi cui essa conduce. Se si vuole cambiare questo mondo, bisogna pensarlo: esso è radicalmente diverso da tutti gli altri.

JMP: Come inquadra questa crisi della civilizzazione industriale in rapporto alla tradizione filosofica?

BP: È una crisi dell’insegnamento. È certo che l’insegnamento della filosofia in Grecia s’identifica con la sua nascita; Platone fu il primo a fondare una «scuola» dove si insegnava la filosofia. Forse si è trattato di una strada sbagliata, poiché non mi pare sia certo che si possa insegnare la filosofia, come Socrate diceva della virtù. In ogni caso, bisognerà trovare qualcos’altro rispetto a questo sistema di lezioni e tesi. Alla filosofia insegnata manca il pudore, e ciò giustifica la rivolta degli studenti. Questa pretesa professorale è perniciosa. Altrettanto nociva è la pretesa dei filosofi di governare lo Stato. Condanno anche questo moralismo impraticabile che insegnano e questa rinuncia alla poesia. Nietzsche è stato un poeta, anche se c’è un abisso tra filosofia e poesia.

JMP: Eppure Heidegger sostiene che «la filosofia e la poesia, sebbene appartengano a monti opposti, dicono il medesimo»2.

BP: Ebbene, quel che dice Heidegger è falso. La poesia è la ricerca incondizionata della libertà, un poeta è un uomo che vuole essere libero. Questo perché è sempre un «ragazzaccio», per non dire altro. Un filosofo, al contrario, sa di non poter essere libero, accetta tale condizione poiché essa rende possibile la sua riflessione sulla vita in comune: la vita della società stessa.

JMP: Le sembra che lungo tutta la storia della filosofia le domande siano identiche ed eterne?

BP: Sì, nella misura in cui gli uomini hanno sempre dovuto vivere assieme. L’uomo è un animale sociale capace di distruggere la società, e i problemi rimangono identici.

JMP: E le risposte? Per comprendere il mondo moderno, Marx, Freud e Nietzsche non sono più indicati dei presocratici?

BP: I filosofi hanno ripetuto sempre la stessa cosa. La filosofia è il sogno della pace. Lo stesso in Eraclito, Platone o Tommaso d’Aquino. È una questione eterna, perché l’uomo non cambia mai — è il vocabolario a cambiare. In fondo i filosofi si contraddicono raramente, ma quel gioco al massacro che è il concorso a cattedra3 vuole che li si faccia distruggere a vicenda! La filosofia comincia una volta abbandonati questi esercizi puerili.

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