Ita fac: l’insegnamento di Seneca a Lucilio

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Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit.

Fai così, o mio Lucilio: rivendica te stesso per te, e il tempo che finora ti veniva sottratto o portato via o sfuggiva raccoglilo e conservalo. Convinciti che è così come io ti scrivo: parte del nostro tempo ci viene portata via, parte sottratta, parte fluisce via. Tuttavia la perdita più vergognosa è quella che avviene per negligenza.
Seneca, Epistulae morales ad Luciulum, Epistula 1

 

Massimo rappresentante dello stoicismo d’età imperiale, Seneca ha tentato fino alla sua morte di avere un forte impatto sulla politica attraverso i suoi preziosi consigli, scaturiti da una profondità di pensiero invidiabile. Il saggio con il suo intelletto persegue il logos e cerca, pur come sappiamo fallendo, di istruire l’Imperatore affinché tenda verso quella stessa sapientia. Così nel suo corpus Seneca, anche secoli dopo, istruisce noi tutti su aspetti della vita che non cesseranno mai di interessarci, come la partecipazione alla vita politica, l’utilità del sapere e in particolare della filosofia, la felicità, il modo di gestire le ricchezze, e altri ambiti rilevanti nell’esistenza quotidiana.
L’attualità di Seneca è innegabile, forse perché noi uomini siamo sempre degli inguaribili dissennati, o forse perché si tratta di un pensatore decisamente all’avanguardia, oppure ancora per entrambi questi motivi. Seneca attraverso i suoi Dialogi effettua analisi e offre spiegazioni in modo puntuale e profondo ed ecco perché tuttora lo traduciamo e leggiamo. Dialogi che, si capisce bene, si chiamano così per la componente dialogica, che chiaramente l’autore latino eredita da Platone, ma non solo. Non si tratta, come ben si può vedere, solamente di dialoghi, poiché spesso è solo lui a parlare. Eppure, il dialogo non cessa mai: Seneca non smette mai di dialogare con noi, di insegnarci qualcosa, dopo due millenni.

Del resto l’autore elabora autonomamente un nuovo modo di insegnare. Questo modus coincide con la Lettera. Eredita tale forma da Platone ed Epicuro, per cui la Lettera filosofica, ovvero una lettera di contenuto filosofico indirizzata ad amici, era genere peculiare. Prima di lui Cicerone e Orazio nella realtà latina hanno avuto questi autori come ispirazione, ma Seneca è deciso a creare qualcosa di più originale quando compone le Lettere morali a Lucilio. Ed ecco da dove nasce che quel ita fac citato all’inizio. L’incipit delle Lettere, l’inizio di questa prima epistula, è famosissimo e lodato per la sua eccezionale intensità. Ita fac, “fai così”, primo di una serie di imperativi che Seneca rivolge al suo Lucilio e, di fatto, al lettore. In queste poche righe già si può leggere la grandiosità del progetto senecano: andare oltre il genere epistolare a cui certo si è ispirato, e costruirne uno nuovo, che rappresenti una crescita morale vissuta da lui, da Lucilio e dal lettore, un nuovo modo di insegnare, come detto. Per tale motivo già in questa prima lettera vediamo un insegnamento fondamentale, che riguarda una tematica carissima a Seneca: il tempo e in particolar modo il possesso del tempo. Dedica un intero dialogo, il De brevitate vitae, a tale tema. L’idea dell’autore è semplice: non è vero che la vita è breve, ma siamo noi che la rendiamo tale. Non è vero che abbiamo poco tempo, siamo noi che non ne facciamo giusto uso.

La vita è lunga abbastanza e ci è stata data con larghezza per la realizzazione delle più grandi imprese, se fosse impiegata tutta con diligenza; ma quando essa trascorre nello spreco e nell’indifferenza, quando non viene spesa per nulla di buono, spinti alla fine dall’estrema necessità, ci accorgiamo che essa è passata e non ci siamo accorti del suo trascorrere. È così: non riceviamo una vita breve, ma l’abbiamo resa noi, e non siamo poveri di essa, ma prodighi.
(Seneca, De brevitate vitae, I)

Questo pensiero riecheggia nella prima delle Lettere morali: l’idea che la sola cosa che possediamo è di fatto il tempo. La natura, dice Seneca, tra tutte le cose che esistono ci ha dato il possesso solo di questo bene di cui dobbiamo sentirci debitori, non delle somme di denaro che ci prestano. Con metafore finanziarie e naturali (il tempo viene, come è noto, paragonato a un fiume), Seneca ci rivela una triste verità: sprechiamo spesso le nostre vite. Per non farlo, dobbiamo anelare a quel logos, a quella sapientia. Il saggio solamente, perseguendo cose più alte, vivendo fuori dal tempo, può davvero possederlo. Formalmente allora trovano un senso tutti questi imperativi, poiché ascoltare quanto l’autore ci dice non è una scelta difficile, ma qualcosa che dobbiamo fare prima di tutto per noi stessi. Lo stile è quello immediato che Seneca eredita da Epicuro, con abile uso di sententiae, frasi brevi ad effetto che sintetizzano il concetto principale, che devono fissare nella memoria del lettore l’importanza di quanto si dice. E la più famosa di queste sententiae è sicuramente Vindica te tibi, l’inno alla vita che l’autore impone a Lucilio e quindi anche a noi. L’invito ad un uso attento e meticoloso del tempo, qui così brillantemente esposto, non fa che ricordarci perché i classici sono classici e perché, parafrasando Italo Calvino, non smetteranno mai di dialogare con noi.

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