«Casa casa. Una prova d’amore» di Nino Romeo

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Casa Casa. Una prova d’amore
di Nino Romeo
Sala Chaplin, via Raffineria 41 – Catania
dal 17 al 20 ottobre

 

Sommessa ma potente, Casa casa è un’opera necessaria. Vive sospesa tra una componente eterna dell’animo umano – la paura dell’oltre, ossia dell’altro – e la stretta attualità, ossia l’incanalamento e sfruttamento politico di questa paura atavica. Protagonista una vecchia coppia di sposi, tenuta assieme da un amore a tratti tenero, nel prendersi cura l’una dell’altro, con tutte le sue insopportabili manie e i capricci riguardo al cibo, ma una tenerezza che non viene mai confessata esplicitamente e che non si traduce in nessun contatto fisico: anche il sesso tra i due è privo di contatto reciproco e si svolge come autoerotismo in contemporanea.

Il sipario si apre su un talamo, come pure in un precedente capolavoro di Nino Romeo, quel Fatto in casa di cui quest’opera riprende la vita di coppia e il non mostrare mai nulla al di fuori delle mura domestiche, con piglio meno dissacratore e divertente ma più politico e sociale, con un risultato parimente incisivo. La coppia non esce mai di casa, le scene si susseguono scandendo diversi momenti della giornata – sveglia, colazione, pranzo, riposo e tv pomeridiani, la messa in televisione, la cena, il rimettersi a letto – che accompagnati da cambi di parrucca sembrano mostrare anche una dimensione temporale più estesa nel tempo.

Marito e moglie sono ossessionati e inquietati dal mondo esterno, pur non mettendo da anni un piede fuori di casa: le uniche finestre sul mondo sono internet e i programmi televisivi. Ma l’oltre e l’altro paiono sempre sul punto di irrompere, esistono come rumori di passi, tonfi, pioggia, tuoni. La paura incornicia il dramma. Per paura non si esce di casa, per paura i coniugi vorrebbero installare un sistema d’allarme, per paura il marito ha acquistato su internet una pistola semi automatica, poiché ormai la legittima difesa è sdoganata, grazie al loro politico di riferimento, il “messia”, “l’uomo nuovo”, Salvini, di cui si sentono le interviste televisive.

Ma Salvini è qui il simbolo e l’incarnazione di un sentimento tanto irrazionale quanto radicato, tanto pervasivo quanto immobilizzante. La casa è il luogo per eccellenza dei drammi di Romeo. È il microcosmo in cui guardare come con la lente di ingrandimento ciò che accade nel macrocosmo. I vecchi coniugi siamo noi. Non una parte di noi, ma tutti noi. È la Sicilia, anzi l’Italia tutta, chiusa tra le propria quattro impenetrabili mura, il mare e le Alpi. Marito e moglie hanno due figli, gemelli, di cui la madre si rifiuta di pronunciare il nome, chiamandoli semplicemente “il maschio e la femmina”. Lui, il maschio, è da anni in missione umanitaria in Africa; lei, la femmina, da anni studia negli Stati Uniti. Sono tanto diversi dai genitori al punto da sbeffeggiarli, da deriderli mentre guardano i loro stupidi programmi televisivi, da rifiutare i valori borghesi e l’attaccamento al denaro di cui i vecchi coniugi sono impregnati. E com’è possibile, si chiedono questi ultimi, che da loro due siano nati figli così distanti dal loro modo di pensare e di vivere? Sembra esserci un barlume di speranza che affiora nel dramma di Romeo, rappresentato da questi giovani che leggono, studiano, si documentano, girano il mondo, si impegnano, sono attivisti, sono aperti all’altro.

È che l’Italia è vecchia, la Sicilia vecchissima, pare dirci quest’opera. E tanto più si invecchia quanto più ci si rinchiude “casa casa”, dipendenti da internet e televisione.

Nicola Costa interpreta un credibilissimo pensionato, con gli occhi talvolta sgranati per i suoni del mondo esterno e altre volte smarriti per la mancanza di autosufficienza, che si tramuta in dipendenza dalla moglie. Le sue movenze sono ora leggere e danzanti, ora davvero degne di un ipoglicemico.

Non si trovano mai abbastanza parole di elogio per le interpretazioni di Graziana Maniscalco, per la sua voce, per il viso che improvvisamente si increspa per lo sdegno verso un mondo che fa ribrezzo al suo personaggio, per la rabbia che deve mutarsi in rassegnazione nei confronti del marito, per la frustrazione e la delusione nei confronti soprattutto della figlia.

Le canzoni malinconiche di Jacques Brel aprono e chiudono le scene, qualche volta scomponendosi, deformandosi.

Il fattaccio avviene sempre tra le quattro mura domestiche. La vita dovrebbe essere apertura; rinchiuderla significa creare un comodo alloggio per paure e pregiudizi. Un primo passo in direzione dell’umanità è proprio questo: varcare la soglia, aprire la porta, uscire di casa.

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