Contro la civiltà

Ortica, Aprilia 2023
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La civiltà costituisce un problema. Qualsiasi cosa intendiamo con questa parola e pure se accettiamo tutte le sfumature del caso, non possiamo nascondere che la riflessione della civiltà – la quale è davvero civiltà forse solo con l’inizio della riflessione – è sempre una riflessione sul problema che costituisce la civiltà stessa. Le domande alle quali si tenta di rispondere risuonano dunque da almeno un paio di millenni e mezzo: la civiltà è un bene o un male? La civiltà ha un senso solo nel suo sviluppo o sono possibili più sensi in cui la civiltà può dirigersi? La civiltà è un processo reversibile o non si può più tornare indietro? A queste domande cerca di rispondere la collezione antologica curata da John Zerzan e che porta il titolo significativo di Contro la civiltà.

Ecco, in soldoni, le risposte che i diversi brani ci forniscono: la civiltà è un male, ha un senso solo ma è un processo reversibile, ce ne possiamo trarre fuori e tornare a vivere più felicemente in una condizione più vicina allo “stato di natura”.

Certo, la mole del lavoro di Zerzan è notevole, vengono presentati in poco meno di quattrocento pagine circa settanta autori, che criticano per diversi motivi e nei modi più disparati la civiltà. Tra gli autori figurano, in ordine sparso, Rousseau, Freud, Spengler, Sloterdijk, Schiller, Baumann, Adorno, ma anche Thoreau, Kaczynski (Unabomber)e il manifesto degli anarco-futuristi. È un notevole dispiegamento di forze e gli argomenti sono molto interessanti e spesso stringenti.

Il libro si compone di cinque parti che analizzano segnatamente la condizione di chi si trova o si trovava al di fuori della società (con un particolare occhio di riguardo ai nativi americani), l’avvento delle civiltà e l’incontro tra i civili occidentali con altre popolazioni non “civilizzate”, la natura della civiltà, perché dessa natura è patologica e infine spunti di resistenza alla civiltà.

Appunto in quest’ultima parte emergono dei temi che aggiungono ampiezza al discorso, in quanto sottolineano come la critica della civiltà non possa che passare anche attraverso il femminismo, il riconoscimento di come la violenza perpetrata per secoli sulla natura abbiamo sconvolto molti equilibri, per esempio quelli climatici, e la lotta per la liberazione animale.

È un volume che apre a diversi interrogativi; probabilmente la maggiore forza di queste pagine molto varie è quella di suscitare più domande di quante risposte offrano. Si tratta, come dice Zerzan nell’introduzione all’ultima parte, di fare anche delle «proposte che vogliono illuminare il cammino oltre la civiltà, alle fonti e ai metodi della resistenza e del rinnovamento» (pag. 313). La questione è chiaramente molto complessa, forse irrisolvibile teoreticamente, ma bisognosa di pratiche che la illuminino.

In definitiva potremmo considerare questo libro come un manuale di critica e sopravvivenza alla civiltà, o se preferite come un prontuario per cercare qualche modo per trarsi fuori da essa. Il dubbio rimane, a livello personale, se questo libro ci ha convinti o meno. Non tanto o non solo sulla questione cardine se la civiltà sia un bene o un male. Quanto piuttosto nel sembrare offrire una visione chimeriche di una possibile esistenza felice in qualche modo. Ci ha convinti su questo? Probabilmente no, perché da vecchi leopardiani si potrebbe chiosare che «forse in qual forma, in quale | stato che sia, dentro covile o cuna, | è funesto a chi nasce il dì natale». Certo, il disfattismo magari non ha mai portato da nessuna parte e comprendiamo bene come la critica della civiltà sia una parte irrinunciabile della riflessione filosofica, se non anche e forse sopratutto della pratica di vita. Ma probabilmente il fine non può mai essere la promessa della felicità, quanto piuttosto la ricerca di una giustizia sociale che quanto meno non renda l’esistenza difficile a coloro i quali invece dentro la cosiddetta civiltà non hanno nemmeno di che cibarsi. Il punto non potrebbe mai essere cercare di ricostruire una fantomatica età dell’oro primordiale, cosa a cui Zerzan pare credere («La civiltà è anche la separazione dalla totalità e dall’armonia originarie» (pag. 14). La costruzione di un modello alternativo, se ancorata alla visione idilliaca o ingenua di un passato paradisiaco, potrebbe condurre disastri ben peggiori che la civiltà attuale. Zerzan ne è consapevole, ma rimane la domanda su come e cosa potrebbe essere un modello di società che non sia quello strettamente affine a un ipotetico stato di natura o la fuga individuale nei boschi.

Tali interrogativi rimangono, ma questo libro ha il grande e indubbio merito di fornire una molteplicità di approcci alla critica e alcuni tentativi di risposte ai modelli civili in cui siamo inevitabilmente invischiati. Non sappiamo se e quando ne potremo venire fuori, ma che almeno, anche sulla scorta di questo libro, che ne si dica peste e corna.

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