Ho ucciso il re

Ortica Editrice, Anzio-Lavinio (RM) 2019
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Dietro a quello che nei libri di storia viene etichettato come atto di terrorismo o deviazione del naturale fluire delle cose, vi è una storia di vita e valori, quella dell’anarchico pratese Gaetano Bresci, fattosi regicida il 29 luglio del 1900 quando a Monza sparò tre revolverate contro l’allora Re d’Italia Umberto I. Bresci aveva maturato la sua decisione dopo la fatidica goccia che fa traboccare il vaso, che nel suo caso fu la dura repressione delle proteste popolari del 1898 a Milano ordinata da quello che il popolo rinominerà “Re mitraglia”.

Con Ho ucciso il re (Ortica editrice, 2019), Maurizio Centi ricostruisce in un centinaio di pagine la vicenda di Bresci, in un romanzo ispirato ai momenti chiave della vita dell’anarchico toscano che ci restituisce vividamente la sua personalità estrosa e ammaliante, nonché la sincerità della sua lotta per la libertà, o meglio per il “diritto all’esistenza”, nome del gruppo di anarchici riuniti a Paterson, in New Jersey, a cui apparteneva. Così dagli Stati Uniti – dove tuttavia era riuscito a emanciparsi dalla povertà che viveva in Italia, lavorando in una fabbrica manifatturiera di Paterson, e a mettere su famiglia –, fermo nella sua decisione che avrebbe cambiato le sorti dell’Italia, torna in patria per andare incontro al suo destino.
Le pagine scorrono velocemente lasciando il segno. Centi si prende delle libertà, soprattutto nel finale, e aggiunge pennellate emotive – ad esempio quando racconta del processo – che mi hanno fatto pensare a Lo straniero di Camus.

Ho ucciso il re è un libro importante, perché, come scrive nella postfazione lo stesso autore, ci lancia «segnali di un passato nel quale la passione al prezzo della vita era ancora in auge, e che ci appare ancora più distante a paragone di questi nostri tempi anestetizzati da un’indolenza senza fine e dalla rassegnazione a un modo passivo e insignificante di stare al mondo».

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